Verità e riconciliazione oggi

Trent’anni fa le prime elezioni libere in Sudafrica dopo l’infamia dell’apartheid. In quei giorni nasceva una novità: la possibilità di costruire una convivenza di pace fra neri e bianchi. Quando ci si aspettava solo una resa dei conti. Una lezione illuminante, quella. Ancora di grande attualità e interesse. In un tempo scandito da guerre e inimicizie vale moltissimo la frase del leader africano: «La fraternità più scandalosa è la fraternità con il colpevole».  


10 maggio 2024
Editoriale

@PinoNinfa – Soweto township

Due parole: verità e riconciliazione. Due parole che fuoriescono da una fessura.
Da lì, per quanto piccola possa essere, ci possono passare. Sì, anche oggi possono passarvi. Può accadere ancora che verità e riconciliazione abbiano a farsi carne viva. Proprio perché c’è la fessura. Proprio perché è da lì che passano.
In un tempo avverso come questo, dove si fa di tutto per negare la presenza, il compito certosino delle fessure. E perciò ostile alla possibilità della verità e della riconciliazione. Eppure è già successo qualcosa del genere. Qualcosa di bello. Trent’anni fa. Nel Sudafrica incarognito per lunghi e lugubri anni di apartheid. Trent’anni fa quando ci furono laggiù – dal 26 al 29 aprile 1994, trent’anni fa – le prime elezioni libere. Dopo che Nelson Mandela, il leader carismatico Nelson Mandela, era stato rimesso in libertà l’11 febbraio 1990. Dopo 27 anni di carcere. Sì, 27 anni.

Perdono: nessun rancore, nessuna vendetta

Quello storico appuntamento elettorale segnò il suo trionfo. Così poteva avviarsi un nuovo Sudafrica. Chi si attendeva un’architettura costruita sul rancore e sulla vendetta indiscriminata verso i bianchi ne uscì deluso; anche non pochi dei suoi. Mandela aveva in mente altro. Aveva in mente la fessura che lascia passare la luce. Aveva in mente un altro disegno pensato con il reverendo Desmond Tutu. Già perché il Sudafrica liberato doveva evitare di rimanere prigioniero di logiche perdenti, scontate, guerresche. Sarebbe stata, quella, una libertà mozzata. Un’occasione mancata. Il Nuovo Sudafrica poteva nascere solo se si fosse specchiato nella cosiddetta Commissione per la verità e la riconciliazione. Eccole le due parole.
Per giudicare la terribile stagione delle violazioni sistematiche dell’integrità di un popolo, della sospensione delle norme del diritto umano, Mandela e Tutu introdussero un criterio fresco e limpido come l’acqua: la riconciliazione e delle pratiche di amnistia laddove possibile. Ma senza oscurare la ricerca della verità. E ancora: far sì che oppressi e oppressori unissero le proprie testimonianze allo stesso scranno processuale veicolando così un protocollo giuridico davvero rivoluzionario, perché eretto sull’istituto religioso ed etico del perdono.

Nelson Mandela Presidente del Sud Africa e Desmond Tutu, primo Arcivescovo anglicano di colore di Città del Capo Premio nobel nel 1984

«Forgive but not forget»

Un programma dirompente.  Ambizioso. Sorgivo di nuova vita. Scandito dal metodo di una giustizia autentica. Si materializzò, attraverso il riconoscimento della presenza di quella fessura, un processo che non passava sopra i crimini e i misfatti commessi in nome di un farneticante suprematismo bianco perpetrato da una assoluta minoranza coloniale; piuttosto andava in scena un fatto che ha fatto la storia: un lavoro sulla memoria condivisa, sulla verità e sulla riconciliazione quale unica e realistica opportunità per evitare la piaga della vendetta, la degenerazione ordinaria affidata alla dialettica delle armi. La fessura attraverso le macerie. In una illuminante frase di Mandela il senso di quella proposta. Di quel patto di pacificazione: «forgive but not forget». Mandela era convinto che solo da una comunità coesa è possibile promuovere un tragitto di riconciliazione che prevede il reinserimento nella società anche dei colpevoli; beninteso, quelli disposti a riconoscere le proprie responsabilità. L’arcivescovo Desmond Tutu ne ha chiarito la portata innovativa, spartiacque, sgombrando il terreno da qualsiasi ambiguità e tentativo di riduzione della posta in gioco: «Non esiste avvenire senza perdono. Ma per perdonare bisogna sapere ciò che accaduto».

@Lucia Laura Esposto – Napoli – Istagram @lulae

La fraternità con il nemico

A trent’anni di distanza dall’avvio di quel clamoroso passaggio della storia, quello del Sudafrica resta un esperimento di grande interesse. Con tutte le contraddizioni e le inevitabili imperfezioni, è stato un tentativo assai avanzato e ancora meritevole di essere approfondito. Ricordarlo adesso quando i mondi sono in fiamme, quando le fessure sono tutti i giorni bombardate, quando verità, riconciliazione, perdono sono parole prese di mira, sempre e comunque nel mirino, rimane una possibilità concreta di non rassegnarsi alla triviale pratica dell’amico – nemico. Una cosa buona e giusta. La geopolitica analizza. Fa il suo mestiere. Non si occupa di fessure. Mandela credeva alle fessure lui che per 27 anni è stato oscurato, chiuso in cella. Nell’ultima pagina della sua autobiografia sta scritto: «La fraternità più scandalosa è la fraternità con il colpevole». Più fessura di così…