Vampate di sincerità
Goffredo Fofi: «Senza amici, la vita non è vita»

Con “Cari agli dèi”, uno dei rari intellettuali della sinistra sinistra che ancora si fa sentire perché distante da conformismi e altro culturame, offre 27 ritratti di compagni di strada che non ci sono più. Ma con cui Fofi continua a dialogare per trovare un aiuto a voler bene, nell’impegno quotidiano, a questo complicato e confuso presente


di Enzo Manes
3 giugno 2022

Quaderni piacentini. Quaderni rossi. Ombre rosse. Linea d’ombra. Dove sta Zazà.
La terra vista dalla luna. Lo straniero. Gli asini.
Sono titoli di riviste più o meno militanti. Laboratori pensosi della sinistra – sinistra che hanno attraversato sessant’anni di vita politica e culturale del nostro Paese.
Ne ha fatto parte, le ha animate, alcune fondate e poi chiuse per avviarne di nuove. Un avversario irriducibile della cultura come fuffa così simpatica a intellettuali mediocri e conformisti.
Quel satanasso, ancora interessato a dire qualcosa, a coltivare la cultura come sponda ideale per provare ad incidere e magari cambiare il corso della realtà sociale è Goffredo Fofi, ottantacinque anni, saggista, critico cinematografico e letterario, animatore sociale. In una parola: rompiscatole necessario.

Meraviglioso antagonista di «questi strambi festival dove la cultura si fa chiacchera e passerella e debole è l’attenzione di chi ascolta, frastornato dalle proposte più facili (…)».
Fofi non si è mai accomodato in un posto. Un migratore nato.
Non a caso il suo primo lavoro è stato un saggio dedicato all’immigrazione meridionale a Torino. Doveva uscire per Einaudi – era tutto deciso – ma venne bloccato “per tempo” forse perché non dispensava lodi per la Fiat (così disse il musicologo di area Massimo Mila in un lampo di insospettabile sincerità).
Uscirà, anni dopo, per Feltrinelli (è il libro a cui tiene di più: non perde mai di ricordarlo, altrimenti che rompiscatole sarebbe).

Dei suoi mancati accomodamenti e del suo vivere il presente recuperando il dialogo con chi ha inciso nel suo cammino umano, culturale e politico, Fofì offre una partecipata testimonianza nel suo ultimo e interessantissimo libro: Cari agli dei. Sottotitolo, impegnativo: “Muore giovane colui che gli dèi amano”, frase di Menandro (in libreria per Edizioni e/o.
Certi volti e certe esperienze
Il libro è scandito e “segnato” di incontri. I suoi. Con persone, compagni di cammino che non ci sono più.
Passati ad altra vita per i più diversi motivi, alcuni per morti violente. Scrive per suggerire le ragioni del suo desiderio di dialogare, grazie alla scrittura innervata di memoria, con quelle precise persone: «È in questo quadro, quello della “sconfitta storica del socialismo” che appariva ormai ai più attenti come definitiva, che si sono consumate le morti, così diverse tra loro, dei “cari agli dèi” che ho sentito fratelli».

Non tacendo la fatica di questa esperienza: «A questa irrequietezza devo le più grandi allegrie della mia vita ma anche alcuni grandi dolori, i lutti di cui ho sofferto avendo perduto, negli anni del “movimento”, persone sempre o quasi più giovani di me, “fratelli minori” bensì più coraggiosi e “più esposti” di me.
Con il solo fine di rendere giustizia a chi, troppo presto, gli dèi hanno voluto strapparci, anche se ripercorrere e ripensare a certi volti e a certe esperienze mi ha dato e mi dà molta angoscia».
L’esperienza di angoscia esistenziale vissuta da Fofi durante la scrittura non ne fa un libro angoscioso. Piuttosto affettuoso, in molti tratti dolente, non privo di giudizi netti e ricostruzioni storiche talvolta parziali e con venature che ancora risentono della sua acuminata, seppur eterodossa, vicenda ideologica.

Detto con franchezza: non è un libro per vecchi, solo per chi ha conosciuto e magari anche vissuto dall’interno accadimenti della nostra storia.
La giovane età non dovrebbe essere motivo di obiezione alla lettura. Accostarsi al racconto appassionato e lucido di Fofi potrebbe rivelarsi un dialogo a distanza sorprendente. Con una nota bene: da scansare la preoccupazione del condividere o meno le fotografie di contesto dove non riesce a liberarsi del tutto delle supervisioni ideologiche. Le stesse che mette esplicitamente sotto accusa: «Lotta Continua non amava definirsi “partito” ma piuttosto “organizzazione” che si diceva “spontaneista” ma era infine non meno verticista degli altri gruppi che volevano partiti, sorti dalle difficoltà di crescita del ‘68».     

Non c’è fine alla luce

Forse più vicino al movimento operaio che al movimento studentesco; pacifista della prima ora con Aldo Capitini; critico militante ma avversario colto della cultura e della pratica militante, Fofi è quell’intellettuale che ancora ingaggia le sue battaglie senza risparmiarsi e senza risparmiare.
Non ha una buona parola per tutti, se così fosse gli dèi gli presenterebbero il conto come i suoi amici, i suoi compagni di vita e di lotta che non ha più con sé pur avendoli con sé tutti i santi giorni.
Non è fondamentale leggere il libro secondo il percorso suggerito dall’autore. Si può scorrere l’indice, lasciarsi incuriosire dal nome affidato al capitolo e incominciare da lì. Alcuni nomi sono famosi, altri lo sono molto meno, qualcheduno addirittura sconosciuto. Non vi trovi nomi aperti a tutti i venti e a tutte le mode.
Sicuramente ben coperto a quei fastidiosi spiferi è stato (è) Severino Cesari, giornalista, umbro nell’animo, anche lui prossimo a Capitini.
Poi anche animatore editoriale. Fofi nel ritratto ricorda un suo libro/diario Con molta cura (Rizzoli). E si concentra su snodi di respiro che vi rintraccia nei quali avverte il sapore delle buone cose, l’aria familiare di casa. Ecco quel che sottolinea perché vi si riconosce: «Le notazioni più belle sono quelle, profondamente cristiane, che ci ricordano il vecchio proverbio ‘l’amaro tienlo caro’, spesso ricordato dal grande scrittore cattolico Salvatore Mannuzzu. Scrive Severino: ‘Il nostro male, ho capito, fa sempre parte di noi’; e ‘Che questo giorno possa avere memoria della notte’; e ‘Guarisco in ogni istante in cui mi curo’. Ci ricorda che ‘Non c’è fine alla luce’».

Sentirsi vicini

Altri “Cari agli dei” sono più noti, anche loro malgrado. Dall’anarchico Pino Pinelli morto in Questura a Milano tre giorni dopo la strage di piazza Fontana a Peppino Impastato ucciso dalla mafia lo stesso giorno del ritrovamento del cadavere di Aldo Moro (9 maggio 1978; dalla scrittrice e meridonalista Fabrizia Ramondino «degna allieva e corrispondente e amica di Anna Maria Ortese ed Elsa Morante» all’amicissima e assai intelligente Grazia Cherchi che però, in un dato momento, gli tolse il saluto perché lui, da rompiscatole impenitente, ebbe l’ardire di scrivere da qualche parte che la sinistra era ormai morta.
«Visse come una sorta di offesa personale questa mia dichiarazione: la sinistra era viva, checché io ne dicessi (e lei, diciamolo, se ne sentiva la dimostrazione…). Fu solo attraverso il comune amico Pivetta che riuscimmo ancora a comunicare e a sentirci vicini. Purtroppo ero io ad avere ragione».

Eppoi Alex Langer, altoatesino, prima in Lotta Continua e in seguito figura autorevole della galassia verde (libero dalle scorie dell’ambientalismo duro e puro, però) impiccatosi nel 1995 in un uliveto alle porte di Firenze «un cristiano dei non molti che cercavano di attenersi agli insegnamenti evangelici negli anni del ‘Movimento’ e non, come tanti di noi, che gli eravamo amici, e che avevamo convinzioni “marxiste” assai fragili o eravamo mossi confusamente da una visione solo etica del cristianesimo».

E Mauro Rostagno, morto ammazzato per mano mafiosa, con cui Fofi ci litigava quasi ogni volta che si parlavano. Ma affettuosamente. Non come con altri leader o leaderini del ’68, troppo “politici” con cui si era costretti a stare sulla difensiva. Sempre. E ancora Fausto e Iao, due giovani del Centro sociale Leoncavallo freddati nella notte del 18 maggio 1978 a pochi passi dall’ingresso della struttura.
Una storia paradigmatica di quegli anni di piombo.
Fofi si chiede se quella pagina drammatica dica qualcosa ai giovani, ai diciottenni di oggi «il cui limite maggiore è proprio una certa assenza di vitalità e una giustificata diffidenza nei confronti del futuro, un futuro che non sono riusciti a cambiare i giovani di ieri e che pensano di non poter più cambiare i giovani (e i vecchi) di oggi. Che però ancora ben conoscono – i giovani – il valore essenziale dell’amicizia, e sanno che, senza amici, la vita non è vita».
Fofi in questo suo personale viaggio continua ad innaffiare la pianticella dell’amicizia. Giovane ottantacinquenne che non cede alla rassegnazione.


Immagini (in ordine di apparizione):
Goffredo Fofi
I Piacentini: Fofi, Grazia Cherchi e Bellocchio
Goffredo Fofi
1983 – Linea D’Ombra n°1
Lo Straniero, copertina
Goffredo Fofi si racconta in Suole di vento