DIALOGHI CON LEUCÒ
UNA TESTARDA INSISTENZA
dai Dialoghi con Leucò
di Cesare Pavese
di Andrea Carabelli, Matteo Bonanni e Matteo Tagaste
Centro Culturale di Milano e Teatro degli Scarrozzanti
presentano uno spettacolo film teatrale On Line
Mercoledì 21 e in replica il 28 aprile 2021 – ore 21:00
Due serate uniche con biglietto-cortesia sostegno artisti
con il patrocinio di
Introduzione di
Valerio Capasa, docente e critico letterario
Con
Matteo Bonanni, Andrea Carabelli, Matteo Tagaste, Diego Becce, Jacopo Santambrogio, Stefano Gramegna, Alberto Versace, Noemi Senigallia, Elisabetta Conte, Michele Rossi, Daria Necchi, Chiara Moneta
Tecnico del suono e mixaggio audio: Ivano Conti
Riprese: Mattia Ascione
Costumi: Giulia De Cesare, Anna Leidi
Musiche: Marco Simoni
“Annata strana, ricca. Cominciata e finita con Dio, con meditazioni assidue sul primitivo e selvaggio.
Potrebbe essere la più importante annata che hai vissuto. Se perseveri in Dio, certo. (Non è da dimenticare che Dio significa pure cataclisma tecnico -simbolismo preparato da anni di spiragli”
Cesare Pavese, 9 gennaio 1945, Il Mestiere di vivere
Lo spettacolo
“Testarda insistenza” è il termine con cui Pavese nell’introduzione ai Dialoghi con Leucò definisce il suo approccio al mito classico. Perché oggi vale ancora la pena stare su argomenti che la nostra cultura legge e discute da secoli?
Perché “una grande rivelazione può uscire soltanto dalla testarda insistenza su una stessa difficoltà”.
Questa ipotesi ha guidato anche il nostro lavoro nella comune convinzione che “fissare imperterriti” il nostro sguardo, la nostra attenzione su personaggi come Edipo, Orfeo, Eros o su eventi come il Diluvio universale possa essere “il più sicuro e più rapido modo di stupirci”.
Questo stesso miracolo di poter vedere quello che costantemente abbiamo di fronte come qualcosa che “ci sembrerà di non averlo visto mai” ci auguriamo possa accadere a ognuno di noi di fronte alla letteratura così come di fronte alla vita.
Andrea Carabelli
I Dialoghi con Leucò
Sono il libro più caro a Pavese (“certamente la mia migliore opera” 1947 e che egli aveva con sé al momento della morte.Si tratta di 27 dialoghi in forma poetica tra figure delle mitologia antica, incastonata in tematiche permanenti della vita umana.
Composto negli ultimi anni di vita, a partire da meditazioni, dialoghi, letture avvenute nel rifugio di Collegio Trevisio dei Padri Somaschi a Casale Monferrato.
Là, lo scrittore aveva incontrato e stretto amicizia, con “il Padre Felice” della Casa in collina, il giovane Padre Giovanni Baravalle (qui la conferenza testimonianza del sacerdote al Centro Culturale di Milano, davanti a Fernanda Pivano nella quale anche rivela di aver confessato e comunicato Cesare Pavese). In quella sede il padre Baravalle ricorda la lettura assidua di Pavese di un libro del 1500, posto nella parte chiusa della biblioteca, sui miti greci riletti in chiave cristiana, che sicuramente ispirò i Dialoghi con Leucò.
Dal dicembre ’43 all’aprile ’45 (confronta le pagine del Mestiere di vivere) il sacerdote fu quotidianamente in contatto con Pavese, il quale, ricercato dalla polizia fascista, aveva trovato rifugio nel collegio scolastico di Casale Monferrato, sotto il falso nome di Carlo Deambrogio.
I due restarono amici anche in seguito, tanto che lo scrittore chiamava affettuosamente padre Baravalle ”il mio prete”. Per l’autore di ”Lavorare stanca”, i colloqui con l’allora educatore del collegio di Casale furono fonte di ispirazione ma anche di approfondimento di argomenti religiosi. E’ a quel periodo durante la guerra che i biografi fanno risalire la ”crisi religiosa” di Pavese.
Di quegli anni pavese scrisse nel 1957, ho vissuto “una gioia disperata”
L’anniversario della nascita di Cesare Pavese invita a rimettere a fuoco l’opera di uno scrittore per tanti anni stretto nella morsa di una critica ideologica e poi scaricato da un canone in cui non ha trovato più spazio.
Quando nel 2001 la prima pagina della Luna e i falò fu inserita nelle tracce degli Esami di Stato, alcuni intellettuali parlarono di una colpevole «svista» ministeriale, poiché non valeva la pena «propinare» ancora certi libri così «lontani» dalla «sensibilità» dei ragazzi del terzo millennio. Eppure Pavese mette in guardia contro i libri buoni soltanto per un’epoca o per un certo tipo di lettori: «tutti i libri» sono fatti «per te», ma per accorgertene occorre anzitutto «imparare le parole di un altro uomo», perché è attraverso la «pazienza» di questo metodo che «incontri un altr’uomo e ti senti più uomo anche tu» (…). La sua tragedia non è stata cercare bensì non trovare una risposta adeguata al «mestiere di vivere», ossia alla grande «smania» con cui l’Odisseo dei Dialoghi con Leucò continua a inseguire l’isola del suo destino, senza accontentarsi, come vorrebbero Calipso e gli «individui autosufficienti», di un’isola qualsiasi.
Tratto da Un’esigenza permanente, Linea Tempo,
di Valerio Capasa
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