Una lezione anomala nata in un giorno di sciopero
L’ormai tradizione blocco dei mezzi pubblici falcidia la presenza degli alunni nelle classi. Con i pochi superstiti: che fare? Il racconto di un venerdì qualunque in un’aula decimata. Quando qualcosa di interessante accade comunque. E c’è lo zampino di Dante in quel cammino di risalita per vedere le stelle. Una bella risalita.
29 novembre 2024
La “commedia” del venerdì
di Paolo Covassi

Venerdì, sciopero. Ormai ci si ride su: praticamente non c’è venerdì che non ci sia uno sciopero… qualche volta potrebbero indirlo di lunedì, così, giusto per cambiare mantenendo il week end lungo. A scuola però ormai non si sciopera più, almeno nella mia, le adesioni sono veramente poche e solo gli studenti ci credono, o meglio, ci sperano. Ci sono certi venerdì, però, che lo sciopero è più “sentito” o aderiscono più sindacati e, anche se la scuola resta abbastanza immune, a creare problemi sono i mezzi pubblici. Nella mia scuola la maggior parte dei ragazzi arriva da altri paesi, già di default collegati piuttosto malamente, così succede che se lo sciopero “funziona” le classi si spopolano perché gli studenti o non arrivano o non sanno come tornare a casa.
“Non vorrà mica fare lezione vero?”
Ora, immaginate di entrare in una classe alla sesta ora del venerdì dove metà degli alunni è assente… aggiungiamo che è una classe in cui spesso, quando entro, mi accolgono con un “prof, pausa!”
“Fatemi almeno fare l’appello prima!”.
È una classe di ragazzi veramente simpatici e pensandoci non è che abbiano meno voglia di fare lezione di quanta ne avessimo noi, semplicemente loro danno voce ai pensieri senza troppe inibizioni.
Così quando entrano in classe (da noi sono gli alunni che cambiano aula, non i prof) li attendo al varco armato del mio migliore sorriso, della ferma intenzione di fare lezione e del purgatorio di Dante che voglio iniziare a leggere con loro. Sì, anche in un istituto tecnico si può (si deve!) trovare lo spazio per la Commedia. Li saluto mentre entrano più o meno rumorosamente e qualcuno individua subito il libro che tengo in mano… “No prof, non se ne parla proprio” “Siamo stanchi” “Siamo in pochi” “Che sbatti!” “Ma non vorrà fare lezione vero?” frasi come queste, spesso colorite con un intercalare più infernale che purgatoriale, si accavallano e si susseguono quasi senza sosta; io difendo, rintuzzo, provoco, attacco ma alla fine, dignitosamente, cedo. Alcuni sprofondano dietro barricate zainesche nei posti in fondo, altri si siedono sui primi banchi (d’altronde io sono seduto sulla cattedra, mi viene prontamente fatto notare) per esprimere non solo a parole il loro fermo proposito di non fare lezione.
Come detto, cedo: “Però non possiamo buttare via un’ora così…” si alternano proposte più o meno fantasiose e allora provo a rilanciare. “Guardate che il Purgatorio di Dante è proprio una bella storia da leggere, si parla di speranza pur nelle pene che le anime subiscono”.
“Ma come, ci sono pene pure qui? Ma quindi chi ci sta nel purgatorio, quelli né bravi né cattivi?”
“No, no, non è così. Qui non si trovano coloro che hanno peccato ‘meno’ ma quelli che, anche solo all’ultimo istante, ‘per una lagrimuccia’ come dice uno dei personaggi che incontrerà Dante, hanno saputo riconoscere che ciò che conta realmente non è la donna, il potere, i soldi o ciò per cui hanno vissuto ma Dio stesso. Questo non basta però… c’è bisogno che l’anima si pulisca, si purghi, appunto”.
“Non ho capito”.
Mi verrebbe da rispondere “non hai ascoltato”, ma preferisco non infierire visto che a loro insaputa sto facendo lezione…

Il Purgatorio di Stefania
“Facciamo un esempio – riprendo – immaginiamo che la nostro compagna Stefania cominci a frequentare delle brutte compagnie” non è un esempio mio, ma spesso “rubo” quando trovo spunti interessanti “e per diversi mesi sparisce, vi ‘ghosta’ come dite voi. Non vi considera più, non viene neanche più a scuola perché sta sempre con questi brutti ceffi che, inoltre, la portano a provare sostanze varie”. Faccio finta di non sentire i commenti e continuo… “Immaginate poi che a un certo punto la nostra amica capisca che si sta facendo del male e decida di tornare. Voi che fate? La accogliete, la perdonate, siete felici di rivederla e che voglia stare ancora con voi. Però, dice Stefania, ora devo andare in ospedale qualche giorno perché il mio fisico deve curarsi. Ecco, questo è il purgatorio: l’anima è già salva, ma deve ‘rimettersi in forma’ prima di andare definitivamente in paradiso”.
“Perché cosa?”
L’esempio, soprattutto visto che l’ho preso in prestito, funziona bene ma li accende sulla questione “sostanze”.
So che tanti ragazzi fumano (maledette sigarette elettroniche! Quanti hanno iniziato così), scopro che molti non si limitano al tabacco anche se, giurano, solo in maniera sporadica, magari al sabato sera. Mi chiedono se ho mai provato, faccio fatica a convincerli che no, mai neanche una sigaretta e approfondisco. È uno scambio continuo, loro che chiedono e io che provo a rispondere e, quando non so qualcosa, sfruttiamo l’IA per porre domande. Messi di fronte ai danni che fumo e cannabis possono fare, soprattutto alla loro età, arriva la solita obiezione: anche il vino fa male… Allora via con un’altra ricerca, per scoprire che l’alcool è dannoso soprattutto se si abusa, il fumo invece crea danni fin da subito e dipendenza.
La “lezione” è partecipata, ognuno ha qualcosa da dire o da chiedere, almeno finché non pongo un’altra domanda: “perché?”
“Perché cosa?” risponde il solito professionista del prendere tempo per pensare a una risposta. “Perché fumare? Perché bere fino a sballarsi? Che gusto c’è ad andare a una festa per andarsene portati via a braccia dagli amici?” E sto parlando con ragazzi che tutti definiremmo “per bene”. Sono ragazzi simpatici, intelligenti, che vanno anche bene a scuola (chi più chi meno, ovviamente), educati, alcuni lavorano per non pesare su famiglie magari fragili… la risposta tarda ad arrivare; cercano di sviare ma incalzo: nicchiano, minimizzano, abbozzano e, alla fine, ammettono: “Non lo sappiamo bene neanche noi, fan tutti così”
“Non tutti” interviene timidamente uno che di solito non parla, ma anche loro si rendono conto che “lo fanno tutti” non regge. Alla fine, qualcuno si espone un po’ di più: “Prof, è un modo per non pensare”
“La vita è un inferno!” aggiunge un altro ammiccando al mio libro e stemperando un po’ il clima. Raccolgo al volo l’osservazione e rilancio: “Vero, lo abbiamo visto proprio con Dante no? Però leggiamo la Commedia proprio perché Dante ci mostra che dall’inferno si può uscire. Occorre chiederlo e avere una guida”.
Il suono della campanella ci sorprende, tempo zero e sono tutti con giacche e zaini in spalla.

“Prof ha visto? Nessuno si è messo a guardare il telefono oggi!”
Non è del tutto vero, ma apprezzo il messaggio e sorrido vedendo le loro facce soddisfatte per un’ora che non è stata buttata.
“Ma ora prof dica la verità – mi dice Lorenzo prima di uscire – cosa si fumava Dante per scrivere ‘ste cose??”. Cerco di colpirlo con il Purgatorio ma è più veloce e schiva il colpo mentre tutti ridono. “Bravo! Hai proprio capito il succo della questione” aggiungo ridendo. E usciamo verso il fine settimana, magari con un pezzettino di desiderio in più di voler tenere stretto tutto ciò che ci può portare a rivedere le stelle, fosse anche una lezione anomala in un venerdì di sciopero.