Tra Oriente e Occidente
Perché la guerra in Ucraina divide l’Islam

A Kiev i musulmani sostengono posizioni nazionaliste e per la maggior parte sono a combattere. I musulmani di Russia appoggiano le scelte di Putin (liberamente o no?). La guerra ha reso ancor evidente le complessità che attraversano l’Islam politico. In gioco alleanze sempre più variabili. E tensioni palesi vedi le posizioni sul conflitto degli Emirati arabi. Mentre la posizione defilata degli Usa a chi giova? Dialogo con Michele Brignone, professore di scienze linguistiche e letterature straniere all’Università Cattolica e direttore esecutivo della rivista internazionale Oasis.


di Andrea Avveduto
3 giugno 2022

“E’ una crisi che ha delle conseguenze più nei rapporti ecumenici che in quelli interreligiosi, ma l’Islam è una dimensione che va considerata visto che in Ucraina è presente con una comunità molto grande (circa l’1% della popolazione) e antica, con radici storiche molto profonde”. Michele Brignone, docente alla Cattolica di Milano e direttore esecutivo della Fondazione Oasis, traccia un quadro complesso e delicato di quella che è la variegata galassia islamica di fronte alla crisi in Ucraina. Che parte da Kiev, ma tocca diversi aspetti nelle piccole o grandi politiche all’interno gli stati del Golfo e non solo.

Professor Brignone, come ha reagito la minoranza islamica ucraina in questa crisi? E come invece la stanno percependo i musulmani che vivono in Russia?

I musulmani in Ucraina hanno assunto da subito una posizione nazionalista, e la maggior parte è andata a combattere per il proprio paese. Lo stesso Muftì dell’Amministrazione religiosa dei musulmani d’Ucraina, una delle principali autorità religiose del Paese, è andato a difendere la propria patria contro gli invasori. Dall’altra parte, i musulmani di Russia – non saprei però dire quanto liberamente o meno – hanno appoggiato senza riserve le decisioni di Putin. E anche se questa non è certamente una dimensione centrale nel conflitto, va rilevata.  

Come d’altronde dobbiamo rilevare anche le altre implicazioni nelle relazioni tra Mosca e gli stati musulmani…

L’aspetto più interessante, ed è questa forse la più grande novità di questo periodo, è l’allontanamento di alcuni di questi stati, in particolare l’Arabia Saudita e gli Emirati Arabi Uniti, da Washington. E’ un fenomeno che certamente precede la guerra in Ucraina ma che si è accentuato in queste settimane. Uno degli esempi di questa “tensione” si è verificato all’inizio del conflitto, quando gli Emirati si sono astenuti dal votare la risoluzione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite contro la Russia. Gli Usa hanno percepito questo gesto come un affronto vero e proprio. Molti paesi musulmani sono formalmente neutrali nel conflitto in Ucraina, ma hanno mostrato una certa propensione per Mosca, con la quale hanno solidi rapporti non solo economici e militari, ma anche culturali e religiosi. Per esempio il leader ceceno Ramzan Kadyrov, che intanto è diventato generale dell’esercito russo, ha da anni relazioni molto strette con l’Arabia Saudita e soprattutto con gli Emirati. La conferenza di Groznyi del 2016, che fece molto discutere perché nel suo comunicato finale escludeva i salafiti dal novero delle scuole sunnite, fu organizzata dalle autorità cecene, e quindi dallo stesso Kadyrov, e da due istituzioni emiratine.  

Quali vantaggi concreti ha prodotto questa convergenza tra Stati musulmani e Russia?

E’ una scelta ardita, e lascia aperte molte domande. In generale negli ultimi anni diversi stati musulmani stanno scommettendo su un mondo multipolare. Il rapporto tra Arabia Saudita ed Emirati da un lato, per parlare ancora di tra gli attori più influenti della regione, e Stati Uniti dall’altro è peggiorato perché i primi hanno percepito un disimpegno statunitense dal Medio Oriente, cominciato con l’amministrazione Obama. Il grande shock è stato nel 2019 quando due impianti della compagnia petrolifera saudita, l’Aramco, vennero attaccati dai ribelli houthi dello Yemen e gli Usa non reagirono. Con Trump, tuttavia, le relazioni erano ottime a livello personale. Con Biden sono peggiorate ulteriormente dopo le dichiarazioni che il presidente americano rilasciò durante la campagna elettorale, quando disse che avrebbe fatto dell’Arabia Saudita uno stato “paria”. E’ facile immaginare come in questa situazione precaria i paesi del Golfo si siano avvicinati alla Cina. Prendiamo ad esempio i vaccini: le popolazioni del golfo si sono vaccinate prevalentemente con i vaccini cinesi. La crisi in Ucraina ha semplicemente reso evidente un processo che va avanti già da qualche tempo. Ora gli Stati Uniti stanno cercando di ricucire le relazioni con i loro alleati del Golfo, per allontanarli da Mosca e contrastare la crescente influenza cinese.

C’è il rischio in futuro di un’ulteriore polarizzazione?

Per i paesi del Golfo è molto difficile gestire questa fase, sono coscienti di non poter fare a meno del rapporto con gli Stati Uniti ma preferirebbero non doversi schierare, non solo rispetto al conflitto in Ucraina, ma anche nella frattura tra Usa e Cina. Credo che cercheranno di preservare alcuni interessi un po’ contradditori con entrambe le parti.  Pensiamo solo a quella che Arabia Saudita ed Emirati percepiscono come una delle minacce più gravi, l’Iran, che è vicino a Cina e Russia. Entriamo in un vero e proprio cortocircuito: in caso di guerra quali schieramenti si andrebbero a creare?
Resta il fatto che Riyad, Abu Dhabi e Mosca hanno una visione culturale piuttosto simile, e negli ultimi anni si sono avvicinate molto. Pensiamo ad esempio alla Siria: gli Emirati, che in precedenza avevano puntato al rovesciamento di Assad per cambiare gli equilibri regionali a scapito dell’Iran, recentemente hanno ospitato il presidente siriano, storico alleato di Putin. Anche su questo fronte dunque si stanno riavvicinando.

Quali sono gli aspetti che descrivono meglio questa vicinanza culturale di cui ci ha parlato?

Arabia Saudita, Emirati a Russia condividono la stessa ostilità verso i movimenti islamisti e jihadisti. Ma soprattutto sono accomunatati da una forte avversione verso i processi di democratizzazione, le manifestazioni di piazza, gli attivisti della società civile. Val la pena ricordare che durante le primavere arabe i paesi che più hanno combattuto i tentativi di democratizzazione del Medio Oriente furono proprio Arabia Saudita ed Emirati. D’altra parte, molto dipende anche da come finirà la guerra in Ucraina. Se la Russia dovesse andare incontro a una disfatta, anche l’atteggiamento degli stati del Golfo probabilmente cambierebbe.

Cosa succede invece all’interno delle società civili?

Dipende: dove c’è un forte sentimento anti-americano, per riflesso condizionato si tende a schierarsi con la Russia. Però tra i dissidenti, penso in particolare a intellettuali e attivisti di sinistra che contestano i regimi esistenti, c’è un forte sentimento filo-ucraino. È una posizione diffusa soprattutto tra i siriani, che vedono nella guerra in Ucraina un remake di quello che è successo nel loro paese e accusano le sinistre europee di non capire realmente la situazione. Sono comunque gruppi piccoli e non particolarmente strutturati.

E nella galassia di movimenti e partiti islamisti?

In questo contesto è in corso un processo che non dipende dalla guerra in Ucraina. I partiti dell’islam politico sono in grande difficoltà perché hanno fallito la prova del governo in seguito alle primavere arabe (in Tunisia, in Egitto e in Marocco). Inoltre, l’idea dello Stato islamico per la quale essi hanno militato a lungo è stata compromessa dall’Isis. Così, oggi sono a corto di idee e di sostenitori, perché a differenza degli anni del “risveglio islamico” non hanno più l’appoggio degli stati sunniti, che oggi perseguono una politica indipendente e lontana da obiettivi religiosi. Persino l’Arabia Saudita sta progressivamente abbandonando l’ideologia salafita. Nell’agosto scorso alcune organizzazioni islamiste alcuni hanno salutato euforicamente la presa talebana di Kabul, nella quale hanno visto il riscatto dell’islam, ma questo è un segno della loro debolezza più che alla loro forza.


Immagini (in ordine di apparizione):
L’Islam nel mondo
Putin con Kadirov al tempo della fine della seconda guerra Cecena
Putin con Erdogan
Ramzan Kadyrov e Vladimir Putin

© Francesco Santosuosso / Evoluzione
© Francesco Santosuosso / Nichilismo vs Cristianità