Testori, il colore ideologico e il tarlo dell’egemonia culturale

La Rai da controllare, gli scontri sul Salone del Libro, il rimbalzo delle responsabilità anche su un dramma come l’alluvione in Romagna.
Cosa non si fa per servire la propria parte. E non il bene di tutti. Ma così la cultura è astrazione. Moralismo. Dunque: non cultura. Ritornare a confrontarsi con il pensiero di Giovanni Testori, con la sua passione per la vita, per la maestà della vita, è la risposta concreta alla deriva umana dell’egemonismo. Come si rintraccia in “Testori Corsaro” (La nave di Teseo”), l’ultimo libro del giornalista culturale Alessandro Gnocchi. 


02 giugno 2023
Editoriale

Testori al Centro Cultrurale San Carlo-di Milano

Lo stracco e infruttuoso bla bla circa l’egemonia culturale perduta (da parte degli sconfitti nelle urne) e l’egemonia da conquistare (da parte dei vincitori nelle urne) è l’opaca fotografia di un presente dimentico della cultura in quanto espressione viva dell’uomo quotidianamente e appassionatamente impegnato nel corpo a corpo con la questione della verità e, dunque, della maestà della vita.
La cultura, conviene ridirselo, non ha simpatia alcuna per l’egemonia di qualsiasi colorazione. Il colore della cultura non è mai di parte, non appartiene a una parte. Il colore della cultura, bello vivace e intenso, proviene da un pensiero, da un’appartenenza culturale preoccupata di esprimere giudizi che aprano, che invitino, che provochino per il bene di tutta la comunità. Eppure, come ha scritto Giovanni Testori, «è sempre il colore ideologico, mai la verità del cuore e della carne, che si continua a proporre».

Giovanni Serodine – Abbraccio di San Pietro e san Paolo prima del martirio – Serodine il pittore di Ascona, amato e riscoperto da Giovanni Testori

Le baruffe su don Milani
Ed è così che, davanti a qualsiasi circostanza, anche quella enorme di un disastro come l’alluvione, non vi può essere tempo per fermarsi anche solo per un secondo, per lasciarsi toccare da quel fatto, da quella pietra d’inciampo. Neppure un secondo per chinare il capo, per agire facendo tesoro di quell’umile e grandioso gesto. No, non c’è tempo di farlo. C’è un gran tempo per puntare l’indice verso il nemico politico, culturalmente lontano: la colpa di tutto questo è tua. Punto. In quel puntare l’indice vi è il senso del vuoto, dell’assenza, del ciarpame culturale di una politica meschina. In lotta per l’egemonia: vittoria peregrina. A ciascun partito il suo, con quel che ne viene.
Oggi tutto è nel cono d’ombra asfissiante del metodo egemonico.
Persino su don Lorenzo Milani si baruffa. Che fastidio! Verrebbe da dire che la cultura l’è morta come la pietà, come ebbe a ricordare l’irrequieto Testori. E’ già due volte che lo chiamiamo, quasi invocandolo.
Nel centenario della sua nascita e nel trentennale della sua morte lo avvertiamo come obbligo naturale, come impeto morale.
E un libro, “Testori corsaro” (La nave di Teseo) scritto dal giornalista de “Il Giornale” Alessandro Gnocchi (è il responsabile delle pagine di cultura e spettacoli), per così dire, concorre a tener accesa l’attenzione verso uno dei rari esempi di intellettuale disorganico e perciò totalmente impegnato con la dimensione pubblica.
Gnocchi sceglie di evidenziare le riflessioni del Testori editorialista di quotidiani e settimanale (“Corriere della Sera”, “Il Sabato”).
Sono articoli a tutto campo – scritti nell’arco temporale che va dalla fine degli anni settanta ai primissimi dei novanta – dove coglie l’inesorabile tramonto delle ideologie, la falsità del borghesismo, le tentazioni moralistiche, un diffuso clericalismo, i risultati nefasti prodotti dall’attacco all’ordine tradizionale dei valori, l’inconsistenza del mito del progresso, il cinismo dei media, la politica sorda e cieca, la dimenticanza della fede non in generale ma come precisa presa di distanza dalla persona di Cristo.

Don Luigi Giussani e Giovanni Testori per Interrogatorio a Maria a Milano

L’astrazione è bestemmia
Negli estratti proposti da Gnocchi si colgono sollecitazioni testoriane così pertinenti all’oggi. Ad esempio questa, per tornare alla cultura che, evidentemente, gli stava a cuore: «Allora una cultura che si dice nata per l’uomo come evento storico, come atto storico e basta, di passaggio in passaggio, s’è trasformata in cultura fuori dalla storia; che, da fuori dalla storia, per adesso, domina l’uomo; poi cercherà di produrlo. Cosa può pensarsi di più astratto di questo».   
L’astrazione a Testori non andava proprio giù, una bestemmia la riteneva: «L’astrazione è la più orribile delle bestemmie. Quando Gesù dice: “Io sono la via, la verità e la vita”, in questa terza parola, “vita”, riassume anche le altre due. Il moralismo è il contrario di questo: è usare astrattamente la parola per tagliare via i pezzi di vita che non vanno bene. Più bestemmia di così…».
L’egemonia culturale è per sua disdicevole natura un tagliare via pezzi di vita.

Testori e il sindaco Carlo Tognoli alle Serate del CMC (il cui nome era CSC San Carlo) per San Carlo Borromeo