Testori e Visconti: Quel senso di meraviglia…

Nel 1972 Giovanni Testori scrive una biografia dell’amico Luchino Visconti. Quel prezioso dattiloscritto viene trovato intatto qualche anno fa. Adesso, finalmente, esce per l’editore Feltrinelli alla vigilia del centenario testoriano. La curatela è di Giovanni Agosto. “Luchino”, è il titolo scelto per un’opera a chi Testori non aveva ancora pensato: “Luchino”. Una scelta che traduce, efficacemente, lo spirito di quel testo. Nel quale Testori manifesta grande affetto e familiarità verso Visconti. Un sodalizio umano, artistico e di pensiero tra due protagonisti della cultura del secondo 900. Un ritratto incisivo, vero, che non tace contraddizioni e frizioni. Anche dure. Ma che non impediscono ravvedimenti. Come il commosso ricordo di Testori alla commemorazione per la morte del suo grande amico. Nessun discorso preparato. Solo parole per chiedergli perdono.


18 novembre 2022
di Giuseppe Frangi

Luchino Visconti

Aveva detto di averlo distrutto, per uno sgarbo ricevuto dal regista. Invece la biografia di Luchino Visconti scritta da Giovanni Testori nei primi mesi del 1972, giaceva intatta, in forma di dattiloscritto nelle carte dello scrittore. L’aveva ritrovata qualche anno fa Paola Gallerani, incaricata dalla Fondazione Mondadori di inventariare tutti i materiali acquisiti dalla Regione Lombardia dall’erede di Testori, Alain Toubas. Ora, alla vigilia del centenario testoriano, esce finalmente, pubblicata da Feltrinelli con la curatela di Giovanni Agosti.

Nessuna retorica

Non aveva titolo quel dattiloscritto che era stato anche rivisto da Visconti. Ma il titolo che è stato scelto per questa edizione ricalca perfettamente lo spirito della biografia. “Luchino” indica immediatamente la familiarità che regolava il rapporto tra questi due protagonisti del secondo 900. Nello stesso tempo il titolo si allinea allo stile di un testo, regolato da un tono sempre affettuoso, nel quale Testori si rivolge innanzitutto a lui, più che al pubblico che leggerà.
Il diminutivo del titolo si presta anche alle dimensioni del testo: è un ritratto che non eccede nelle misure come non eccede nella retorica. Se il volume si presenta di 400 pagine, non è solo per le tante foto, molte inedite, che lo accompagnano. La dimensione è l’esito dell’incredibile lavoro del curatore Giovanni Agosti, che ha preso spunto dalle pagine di Testori per regalare al lettore un apparato di informazioni che restituiscono i contesti e che diventano una sorta di “ritratto” di una stagione culturale italiana.

L’Arialda, i segreti di Milano – 1960 Feltrinelli

Testori e Visconti erano entrati in rapporto nel corso del 1959: il regista aveva letto i racconti del “Ponte della Ghisolfa” usciti l’anno prima e stava mettendo a fuoco l’idea di un film che da tempo covava: “Rocco e i suoi fratelli”. La lettura del libro di Testori era stata decisiva per trovare la quadra del film. Il fascino che il libro aveva suscitato in Visconti è documentato da una sua intervista: «Mi piace, in Testori, la sua capacità di distaccare delle tranches de vie nette, precise, crude. Mi piace il suo coraggio. Mi piace, nei suoi racconti, quel penetrare a fondo i problemi di un certo tipo d’umanità (che sia verismo, naturalismo: definire a quale “ismo” ciò appartenga, ora non mi interessa), con una sincerità e una violenza che nessun altro autore, mi pare, possiede». Il film sarebbe diventato uno dei classici del cinema italiano, ma per la gelosia della sceneggiatrice Suso Cecchi d’Amico il ruolo di Testori finì in secondo piano. «Quando uscì il film, l’impressione fu che Gianni fosse stato “saccheggiato”», ricordava Alberto Arbasino.
In realtà Visconti era stato conquistato da Testori e l’anno stesso dell’uscita del film, aveva firmato la regia di un lavoro teatrale di Testori, “L’Arialda”, con una grande compagnia guidata da Paolo Stoppa. Purtroppo incappò nella stupidità di un procuratore milanese che ne chiese il sequestro, così di quello spettacolo resta memoria del caso giudiziario che fece discutere l’Italia intera. Nel 1967 Visconti era di nuovo approdato su Testori, con la regia della “Monaca di Monza”: i rapporti non furono idilliaci, perché le idee del regista non collimavano con quelle dell’autore. Comunque l’interpretazione di Lilla Brignone, per chi la vide, rappresentò qualcosa di memorabile.

Giovanni Agosti, storico dell’arte

Oltre il patatrac

Si arriva così a quel fatidico 1972. Visconti sta apprestandosi a girare il “Ludwig”, Testori ha tagliato i ponti con il Piccolo Teatro e sta scrivendo il testo destinato ad aprire un nuovo capitolo di storia del teatro milanese: è “L’Amleto” per Franco Parenti, con il quale si apre il Salone Pier Lombardo (oggi Teatro Franco Parenti).
È in questo contesto pieno di scadenze e di idee, che Testori si ferma per scrivere “Luchino”. Un testo dal quale, come scrive Agosti nell’introduzione, «non ci si devono attendere rivelazioni di vicende altrimenti ignote, dettagli scabrosi, episodi succulenti. Testori schizza un profilo, a strati, che punta ad andare all’osso di quella che, quando queste pagine sono state scritte, si sarebbe definita la poetica di Visconti. Qualcosa di molto diverso insomma da ogni altro libro – e quanti ce ne sono – relativo al regista milanese».

Rocco e i suoi fratelli set con Luchino Visconti Annie Girardot e Alain Delon

Ma a questo punto succede il patatrac: il trattamento subito da Alain Toubas, l’amico di Testori, sul set di Ludwig provoca nello scrittore un’ira sconfinata, che non si limita solo alla mancata pubblicazione del ritratto di Visconti. Sempre nelle carte ci sono due testi violentissimi e carichi di sarcasmo che hanno proprio Visconti come obiettivo. Non li darà mai alle stampe, e anche pubblicando “Luchino” si è ritenuto di non includerli perché avrebbero attirato su di loro tutta l’attenzione, in modo assolutamente fuorviante.
Dal punto di vista letterario, non c’è dubbio, che quel senso di meraviglia (di chi lo ha scritto e anche di oggi legge) che riempie le pagine di “Luchino” è il fattore di fascino del libro.
Testori restò dispiaciuto dell’accaduto. Quando Visconti morì nel 1976, venne chiamato a tenere un discorso alla commemorazione alla Scala. Non preparò un testo. Si limitò a chiedere perdono a quel suo grande amico.