Teniamoci per mano in questi giorni tristi
«L’ora è confusa, e noi come perduti la viviamo». Un verso poetico di Pier Paolo Pasolini ci provoca in questa fase della Storia così grondante di violenza. Le immagini dalla Terra Santa ci inchiodano. Cosa ci sta dicendo quel che accade? Cosa mi dice?
È un adesso che fa molto male. Il demone è sempre qui.
La grande letteratura non mente mai. Il rischio è quello di oltrepassare il limite del disumano. Ma permane lo spazio per coltivare un altro rischio.
13 ottobre 2023
Editoriale
di Enzo Manes
E adesso? La realtà vera non mente mai, denuda le nostre farlocche illusioni. L’invasione dell’esercito russo in Ucraina e la guerra che persiste; la fuga della popolazione armena dal Nagorno Karabach; la deriva disumana nell’attacco di Hamas alle prime luci del mattino con quello che di terribile ne sta venendo.
E adesso come la mettiamo con il volto funesto di questa realtà? Come ci mettiamo? Per intanto, un po’ di franchezza aiuta a non battere in ritirata dalla vita.
Per intanto rileggiamo il sempre presente Pier Paolo Pasolini. Così sulla rivista “Officina” nel 1956 (anno orribile, a proposito di invasione, carri armati, violenza, libertà negata in Ungheria) in Una polemica in versi:
«L’ora è confusa, e noi come perduti
la viviamo…», mi mormoravi, amaro,
disilluso di ciò che hai avuto
per dieci anni dentro, così chiaro
che tra mondo e mente quasi era un idillio.
[…] E io… io cedo: posso soltanto
appassionarmi, come sempre: pazzo,
ché dovrei tacere, non offrire il fianco,
non confessare che sono un ragazzo,
ancora, eternamente indifeso;
che non sempre la passione è grazia.
Sgraziati e graziati
Già. L’ora è confusa, e noi come perduti la viviamo. C’è l’attracco alla passione per provare a non cedere definitivamente il campo all’esperienza drammatica della “perdutezza”. Ma, dice il poeta, potrebbe non bastare. Perché, non sempre la passione è grazia. Non è pessimismo, il suo. Vi è coscienza nel suo esprimere in forma poetica una polemica di verità.
Questo fanno gli intellettuali non appena sulla carta, mai un passo indietro o di lato. Polemizzano prima verso sé stessi, non si chiamano fuori dall’ora di confusione. E così rendono più credibile quel che pensano. È così il loro metodo di stare nel loro adesso. Pasolini è quel loro sgraziato e graziato. Confusamente vivo, in allerta. Perduto ma non sperduto. Come non ritrovarsi in quei versi dentro questo nostro adesso.
L’ora di confusione scandisce terribilmente questa armata quotidianità. Tuttavia nel non fuggire quell’ora vi è, forse, il riconoscimento che passione e grazia si possono ancora prendere per mano. Un barlume di qualcosa di diverso, di un’umanità giammai sfinita e finita.
Orwell e Lussu: due episodi di… pace
Bene ha fatto Antonio Polito a ricordare sul “Corriere della Sera” due episodi che stanno nell’orizzonte di una resistenza terra terra al trionfo della parte sbagliata della Storia che sono presenti nell’ultimo libro di Pierluigi Battista (“I miei eroi. Un amore testardo e duraturo”, La Nave di Teseo). Il primo riguarda un episodio vissuto da George Orwell durante la guerra civile spagnola; il secondo riguarda una vicenda vissuta da Emilio Lussu nel 1916, nel cuore della Grande Guerra, sull’altopiano di Asiago.
In entrambe le situazioni i protagonisti arrestarono il normale tran tran di uccidere il nemico. Non esplosero i colpi. Si diedero e diedero una chance a quel qualcosa di diverso. Improvvisamente opportuno. Nelle ore di tremenda confusione si lasciarono sopraffare da un’irruzione salvifica. Da un pulviscolo di cultura di pace. Un improvviso a suo modo definitivo. Perché quel fatto è storia nel disadorno scenario della guerra.
La frattura del mondo e la domanda sensata
Quel che sta accadendo in Terra Santa è l’ennesima dimostrazione di come il mondo è fratturato. Il rischio di farsi inghiottire dalla melma dell’irragionevolezza, dalla cultura (ma è cultura?) imbarazzante delle logiche, dalla perversa tentazione di vivere ormai tutto come acida rassegnazione, è più di un rischio. Lo stato di confusione esistenziale potrebbe averla vinta. Si potrebbe uscirne storditi, anche incattiviti, comunque divisi a noi stessi e più che sospettosi, quasi nemici, verso gli altri.
Questo è un adesso che fa sprofondare. I demoni non appartengono solo alla grande letteratura così lontana. Quel che stiamo vedendo urla una domanda di senso, una via d’uscita affinché l’umano non vada via. Non esca di scena. Allora, perlomeno teniamoci per mano in questi giorni tristi. Molto tristi. Da piangere.