Sul patibolo il soffio salvifico della libertà

Riecco un’opera che riporta al centro della scena un fatto: Dialoghi delle Carmelitane. Traendo dalla pièce di Georges Bernanos e dal romanzo “Ultima al patibolo” di Gertrud von Le Fort, arriva sul palcoscenico l’opera della regista Emma Dante su musiche di Francis Poulenc.
Un ritorno importante grazie alla non convenzionale scelta della regista: «Indago i Dialogues partendo dal desiderio di scoprire l’intimità delle protagoniste, le loro stanze segrete in cui sono ancora donne pervase dai ricordi e dai desideri». Che ci riporta a una precisa vicenda storica: il martirio di suore carmelitane al tempo del Terrore post Rivoluzione francese.
Una vicenda per nulla lontana anche se datata 1794. Che rimanda alle insidie di un presente fosco. Dove proseguono le violenze in odio della fede nel mondo. Dove la libertà è quotidianamente sotto attacco. Per il tentativo di condannarla a morte e chiudere così la partita. Un tentativo che però, come la storia insegna, non ha chance di averla vinta. Come dimostra il sacrificio di Massimiliano Kolbe. E il martirio dei Beati di Algeria.


18 novembre 2022
di Enzo Manes

Talvolta riappare. Torna con parsimonia come tutti i testi che si portano appresso l’etichetta di affondi reazionari e controrivoluzionari. Lasciamo stare. Etichetta solo appiccicaticcia. Diciamo di “Dialogues des Carmélites” (Dialoghi delle Carmelitane). E diciamo della poco convenzionale regista Emma Dante che porta al Teatro dell’Opera di Roma l’opera che rimanda direttamente al testo di Georges Bernanos e allo scritto “L’Ultima al patibolo” di Gertrud von Le Fort, su musiche di Francis Poulenc e la direzione di Michele Mariotti. La prima domenica 27 novembre al Teatro dell’Opera di Roma, in diretta su Rai 5 e su Radio3 Rai.
Si ricorda ancora la rappresentazione che ne fece Luca Ronconi nel 1988; vinse il premio della critica teatrale: «Ho scelto le riflessioni di Bernanos sui grandi temi dell’esistenza: la paura, la libertà, la morte. Mi piace leggere il testo in questa chiave piuttosto che, come hanno fatto altri registi, nella chiave del conflitto tra la religione e la politica».
E prima di lui, nel 1956, Orazio Costa sul grande schermo. Anche in Francia uscì un film nel 1960 che ebbe una diffusa notorietà in patria seppur gli eredi dello scrittore francese fecero causa alla produzione perché la sceneggiatura non risultava fedele al testo.

Teatro Arcimblodi di Milano – Dialogues des Carmlites diretto da Riccardo Muti – 2004

Un testo sbilanciato verso la verità

Eccoci ai “Dialoghi”, adesso. Irrompono in questo presente frastornato. L’approccio di Emma Dante al testo è nel segno e nel senso degli interrogativi. Ha detto che è partita provando a dare lievito a precise domande: «Chi erano le carmelitane prima del voto? Che tipo di donna si cela dentro la tunica da suora?».
È interessante come ognuno possa trarre da quello scritto che rimanda a una storia realmente successa qualche cosa di autentico prima di tutto per sé, lo abbiamo visto con Ronconi. E questa messa in scena ha certo il merito di accendere l’attenzione su un fatto preciso, su un radicale vissuto di fede, sul contrasto tra libertà e ideologia (mai superato…). E sul significato del martirio in odio della fede che nulla ha a che fare con l’elogio del martirio secondo interpretazioni oggettivamente nocive.
Fa dire Bernanos: «Una carmelitana che si augura il martirio è cattiva carmelitana, quanto sarebbe cattivo soldato un militare che cercasse la morte prima di aver eseguito gli ordini del suo Capo». L’intento è altro., piuttosto sbilanciato verso la verità dell’esperienza di fede, la verità dell’uomo.
La storia è nota. O potrebbe esserla. Siamo nella Francia dopo la Rivoluzione e nel furore di una caduta verso l’abisso della ragione si afferma il terrore come metodo. Chiamiamola pure dittatura termine novecentesco ma calzante. I più accomodanti, cioè coloro che faticano a fare i conti con la realtà delle cose, liquidano quella stagione da resa dei conti alla stregua di un eccesso.
Ma torniamo a quella Francia della violenza pensata e praticata come metodo salvifico.
Il 17 luglio del 1794 a Parigi sedici suore carmelitane del Carmelo di Compiègne – piccolo borgo collocato nella parte nord est rispetto alla capitale – che rifiutarono di rinunciare ai loro voti vennero condannate a morte. Costrette a salire sul patibolo.

Da “I Dialoghi delle Carmelitane” – Regia di Luca Ronconi

Una comunione affettiva

Nel 1789 l’Assemblea Nazionale aveva posto il divieto a tutti gli ordini religiosi di pronunciare nuovi voti. Un gran numero di conventi subì l’oltraggio di veder sfollare religiose e religiosi.
Nel 1792 quelle suore patirono la stessa onta. Dovettero abbandonare la propria casa. E dismettere i panni che testimoniavano la scelta del loro cammino. Non rinunciarono però a ritrovarsi di nascosto per pregare, per vedersi, per vivere la loro comunione affettiva.
Nel mese di giugno del 1794 le carmelitane vennero scoperte. Denigrate. E arrestate. Con la seguente accusa: «Per aver tenuto conciliaboli antirivoluzionari, mantenuto corrispondenze fanatiche e conservato scritti liberticidi». Con le dittature funziona sempre così. Le formule accusatorie sono sempre di quel tenore. La condanna è già in quelle parole feroci. Inutile perciò il tentativo della Madre Superiora di prendere su di sé ogni responsabilità.
Quel Tribunale rivoluzionario aveva già deciso. Furono fatte salire su un carro e condotte al patibolo. Dove le attendeva la legge della ghigliottina. Loro, le carmelitane, così umane e così liete (la Chiesa le ha beatificate nel 1906), videro nella ghigliottina la croce. Non un’allucinazione ma un’evidenza. Proruppero in un canto che si alzò all’unisono mentre si avviavano; quel gesto semplice aveva il respiro di un annuncio caldo, di una salvezza già conquistata.

Dialogues des Carmélites – The Metropolitan Opera (2019)

Donne coraggiose, libere, con la paura dentro, l’angoscia che si faceva largo (ed è giusto che sia così) e il cuore acceso. Ancora il testo precisa scompaginando tranelli interpretativi: «Quando si consideri da quel giardino di Getsemani nel quale fu resa divina, nel Cuore Adorabile del Signore, tutta l’angoscia umana, la distinzione fra paura e coraggio mi pare quasi quasi superflua e l’una e l’altro ci appaiono come gingilli di lusso». Preziosi da indossare in quella via crucis parigina. Là dove si consumava, si materializzava (ecco la concretezza!) l’esperienza di vivere, di pronunciare ancora una volta il proprio sì.
Come quella volta Pietro alle ripetute insistenze di Gesù andato dritto per dritto al punto: «Mi ami tu?». In quella domanda, diretta, direttissima, la domanda che percuote con amore ogni tempo: l’amore, l’affermazione secca che ha già vinto sul terrore nell’attimo del colpo secco dell’arma che offende. Sul Terrore di quella precisa stagione storica. Sul terrore che invade continuamente il campo della vita con qualsivoglia maschera.

Il compositore Francis Poulenc

La vera rivoluzione

Il sì delle Carmelitane ha fatto deragliare i programmi “rivoluzionari” rivoluzionando lo stato delle cose.
In quel preciso momento si giudicava chi le aveva giudicate. A chi le aveva condannate si proponeva, non si opponeva, un metodo di vita. Uno schiaffo che fa male come una carezza, perciò fa del bene. Che ha generato. Come prima è più di prima. Altre e altre volte. Per dire: con Massimiliano Kolbe. Con i martiri di Otranto raccontati con passione nel bellissimo libro di Maria Corti “L’Ora di tutti”; con i 19 Beati di Algeria. Con tutti i martiri. Il patibolo, suggerisce Bernanos con forza poetica, non è la risposta che definisce il corso della storia. La fede non può finire, non può morire… Lo esprime la carmelitana Bianca de La Force messa a fuoco con insistenza da Bernanos. Le fa pronunciare parole che scandiscono l’itinerario della persona di fede: «La preghiera è un dovere, il martirio una ricompensa. Non si muore mai ciascuno per sé, ma gli uni per gli altri, ed anche gli uni al posto degli altri». Non cala il sipario sulla vita.

Lo scrittore Georges Bernanos (1888-1948)