Sapore di sala (cinematografica)
Festival di Venezia: carrellata ragionata sui titoli meritevoli di visione. Non c’è il capolavoro, ma buoni film sì. Dall’incursione nella vita della divina Maria Callas di Angelina Jolie all’ultima bizzarria del regista Tim Burton; da Gianni Amelio che concentra la storia soprattutto in un ospedale militare durante la Prima guerra mondiale alla montagna appartata dove il quotidiano non è vicenda facile secondo Laura Delpero. Fino all’ultimo Pedro Almodovar: quando l’estetica oscura il dramma dell’eutanasia
20 settembre 2024
Consigli non richiesti
di Beppe Musicco (inviato a Venezia)
La Mostra del Cinema di Venezia (il più antico Festival cinematografico al mondo, giunto alla sua 81ma edizione) dopo gli anni del Covid è in continua crescita, come numero di biglietti venduti e di accreditati, tra giornalisti e professionisti. Il lavoro del direttore Alberto Barbera per portare ogni anno nomi di richiamo dello star system si è rivelato proficuo: ogni giorno, oltre la barriera che cinge il “red carpet” che porta alla Sala Grande dove si tengono le proiezioni d’onore, stazionano fin dal primo mattino gruppi di ragazzi e ragazze disposti a sopportare il caldo e l’afa (anche quelli in costante crescita) pur di essere in prima fila all’arrivo delle star e sperare in un autografo o in un selfie da condividere sui social. Ma a Venezia si va per vedere i film, allora parliamo dei film che meritano una certa attenzione. E magari da tenere d’occhio all’uscita nelle sale cinematografiche.
Maria di Pablo Larraín con Angelina Jolie
Non era facile portare sullo schermo un personaggio che durante la sua carriera aveva come appellativo “La Divina”. Maria Callas ha vissuto più vite: giovane figlia di emigranti greci in America, un esordio giovanissimo, il matrimonio col suo pigmalione milanese Giovan Battista Meneghini, di lei molto più anziano; la scelta di dimagrire per assomigliare a un’icona di eleganza come Audrey Hepburn; l’incontro con Aristotele Onassis, per il quale lasciò il marito; l’abbandono da parte di Onassis che sposò la vedova Kennedy; la solitudine, la schiavitù dai farmaci e la morte a soli 53 anni. Il film di Larraín si fissa sugli ultimi anni della cantante, quando viveva a Parigi con due persone italiane di fiducia, l’autista e la cuoca, interpretati rispettivamente da Pierfrancesco Favino e Alba Rohrwacher. La Jolie ci mette la magrezza, ma rendere credibile il playback sulla voce della Callas non è impresa facile, neppure per un’attrice dalla lunga esperienza. Si salvano le scene familiari, la confidenza che si instaura tra lei e i suoi “angeli custodi”. Per conoscere meglio la Callas, meglio affidarsi ai filmati d’epoca e alle sue registrazioni, ancora adesso impressionanti.
Beetlejuice Beetlejuice, di Tim Burton, con Michael Keaton, Winona Ryder e Monica Bellucci
Definire Tim Burton un “regista di horror” è quantomeno riduttivo (e chi ha avuto la possibilità di vedere la mostra a lui dedicata alla Mole Antonelliana di Torino, sa di cosa parliamo) Burton è un’artista poliedrico, amante delle bizzarrie che la sua mente sforna di continuo, ma con la capacità di vedere nuovi aspetti in personaggi già noti (vedi i film su Batman), o di crearne di completamente nuovi, con l’entusiasmo di un bambino che scopre il brivido della paura nelle fiabe. Beetlejuice Beetlejuice è una storia (certamente lugubre) su tre generazioni di donne che son costrette ad affrontare la morte per la prima volta. Burton ha saputo trasmettere una certa compassione e pazienza in questi ritratti, ma probabilmente la cosa che farà durare il film è che (per quanto strano possa apparire) sembra il racconto più umano e appassionato che Burton abbia raccontato negli ultimi decenni.
Vermiglio di Laura Delpero
La vita non facile di una famiglia montanara, durante e dopo la II Guerra mondiale. Molto lavoro, poche parole, tanti sguardi; un padre che è anche il maestro elementare e l’autorità del paese, i figli ognuno coi propri desideri e aspettative. Ma la fine della guerra è l’inizio dei problemi. Il giovane sposo di Lucia, la figlia maggiore, disertore ma accolto in famiglia, deve viaggiare fino al suo villaggio natale in Sicilia per avvisare i suoi, e così Lucia incinta, fiduciosa ma a disagio, lo saluta, avendo ricevuto la promessa che lui avrebbe scritto. Ma giorni e settimane passano senza una lettera e un evento drammatico incombe. Il paragone con “L’albero degli zoccoli” viene subitaneo, ma in Vermiglio (il nome del paese) è tutto più trattenuto, non c’è quell’empatia che scattava subito coi personaggi dell’opera di Ermanno Olmi, ma Tommaso Ragno nella parte del padre è veramente notevole, e anche il Leone d’argento della giuria è un riconoscimento meritato.
Campo di battaglia di Gianni Amelio, con Alessandro Borghi
Il tema dei soldati della Prima guerra mondiale, spesso condannati alla carneficina dai loro comandanti, non è nuovo per il cinema. Amelio colloca la storia in un ospedale militare, dove un medico compassionevole cerca di evitare che i feriti vengano curati sbrigativamente per essere rimandati al fronte, procurando loro invalidità temporanee o permanenti, così da ottenere un altrimenti impossibile congedo. Alessandro Borghi è particolarmente appassionato nel mostrare la coraggiosa determinazione del giovane medico, e la ricostruzione dell’ambiente militare rende credibile lo sgomento di giovani provenienti dalle diverse parti d’Italia che non si comprendono neanche tra di loro e fanno fatica a rendersi conto del perché e per chi si stia combattendo. Non il film migliore di Amelio, ma certamente meritevole di una visione.
Ainda estou aqui di Walter Salles
Il Brasile degli anni 70 era sotto il tallone di una dittatura militare molto simile a quella argentina. Con la scusa di mantenere l’ordine e di evitare attentati e rapimenti, il governo prelevava e torturava un enorme numero di ‘sospettati’. A farne le spese anche la famiglia Paiva di Rio de Janeiro. Un giorno degli uomini armati e in borghese bussano a casa Paiva e prelevano il capofamiglia Rubens, ingegnere ed ex parlamentare, perché vada a rendere una “testimonianza”. Il giorno successivo viene prelevata anche la moglie Eunice e la seconda dei cinque figli. La figlia e poi anche la madre vengono rilasciate, ma del padre nessuna traccia.
Il regista Walter Salles, cui si deve quel piccolo capolavoro che era Central do Brasil, ricrea – con questo film premiato col premio alla miglior sceneggiatura – quel periodo contrapponendo a un vero terrore che non risparmiava nessuno, la bellezza e l’armonia di una famiglia guidata da genitori amorevoli e allegri, che non arretrarono mai di fronte alle responsabilità che la loro coscienza indicava.
Carlo Mazzacurati – Una certa idea di cinema
Sono trascorsi ormai dieci anni dalla scomparsa di Carlo Mazzacurati, uno dei registi più originali nel raccontare la provincia italiana, e che ha contribuito a lanciare attori come Roberto Citran o a lanciare come interpreti drammatici quelli che erano solo attori brillanti come Silvio Orlando e Antonio Albanese. Il documentario, diretto da Enzo Monteleone e Mario Canale, è un montaggio di spezzoni di interviste del regista, degli attori che hanno recitato nei suoi film, con interventi anche di Nanni Moretti, che con la sua Sacher produsse “Notte italiana” e che ricorda con affetto anche le partecipazioni di Mazzacurati in “Caro diario” e ne “Il Caimano”. Ne esce un bellissimo ritratto di un uomo radicato nella terra e nella tradizione rurale del Veneto, capace di evidenziarne gli aspetti più belli ma anche le contraddizioni. Un bellissimo documento, che fa venire voglia di rivedere tutti i titoli del grande regista padovano.
The Room Next Door di Pedro Almodóvar con Julianne Moore e Tilda Swinton
Dopo una carriera ormai cinquantennale, Pedro Almodóvar debutta con un film in lingua inglese: “The Room Next Door” (La stanza accanto), tratto dal libro di Sigrid Nunez “Attraverso la vita”, e premiato col Leone d’Oro (la sua ultima presenza al Lido è stata due anni fa con il corto “La voce umana”). È una storia ambientata a New York, che vede Julianne Moore interpretare Ingrid, un’autrice che ha appena pubblicato un libro di successo sul lottare con la morte, cosa che la impaurisce molto. Quando incontra una vecchia conoscenza a un firmacopie, viene informata che l’amica comune Martha (Tilda Swinton) è malata di cancro al collo dell’utero. Ingrid non vede Martha da anni, ma coglie l’occasione per farle visita in ospedale e ripristina il legame tra loro diventando una visitatrice abituale. Marta, sempre più confortata dalla sua presenza, le chiede il massimo: dato che tutte le cure sono fallite, vuole togliersi la vita, rivelando di aver comprato una pillola per l’eutanasia nel dark web. Pianificando di ingoiarla e morire, vuole che Ingrid sia vicino a lei, letteralmente nella stanza accanto. Naturalmente, questo lascia Ingrid esposta al rischio di essere perseguita per favoreggiamento di un atto criminale. Girato alla maniera abituale di Almodóvar, tutti i set sono progettati col massimo gusto, dai costumi dai colori primari agli appartamenti arredati con colori vivaci. Anche i lettini rossi e verdi sulla terrazza della villa presa appositamente in affitto per organizzare la dipartita sembrano riprodurre un dipinto di Edward Hopper appeso al muro. Il regista non si risparmia neanche uno sguardo poetico sulla vita e sulla morte, con riferimento allo struggente racconto di James Joyce “The Dead”; Ingrid e Martha guardano anche l’adattamento di John Huston in DVD, così come un film di Buster Keaton. Il cast del film è impeccabile, John Turturro interpreta un pedante attivista del cambiamento climatico, amico delle due donne. Almodóvar sceglie sempre il registro del melodramma, e non si può negare che da questo punto di vista il risultato sia veramente impressionante. Peccato che l’estetica abbia il sopravvento sul dramma, e il regista non approfondisca i momenti che, pur accennati, dovrebbero far riflettere sui veri motivi di questa scelta definitiva e inappellabile.