Nicaragua: Chiesa e popolo perseguitati

Ci sono dei regimi dove la libertà religiosa è la prima della lista a cadere. In altri, invece, la scure arriva come una sorta di vendetta verso le azioni di pacificazione e difesa dei più deboli messe in atto dalle congregazioni o dai missionari. Quello sandinista guidato da Daniel Ortega e dal suo clan sembra appartenere al secondo tipo. Ne parliamo con Lucia Capuzzi, inviata del quotidiano Avvenire e profonda conoscitrice di Centro e sud America.  

      


3 novembre 2023
Pugno di ferro sandinista
Conversazione con Lucia Capuzzi a cura di Nicola Varcasia

Negli ultimi giorni è giunta la notizia della liberazione e dell’espatrio di 12 sacerdoti rinchiusi nelle carceri di Daniel Ortega, dittatore del Nicaragua con più di un estimatore in Occidente. Ma non il vescovo Rolando Àlvarez che ha rifiutato l’esilio. Così, l’opera diplomatica del Vaticano ha prodotto un risultato positivo. Pur tuttavia il dramma della libertà negata rimane nel Paese assai attuale. Con il tiramolla ricattatorio del dittatore populista.
La storia racconta che il 23 agosto, il regime di Daniel Ortega ha cancellato lo status giuridico della Compagnia di Gesù, storica presenza missionaria nel Paese centroamericano. Nei giorni precedenti, il governo aveva confiscato i conti correnti, i beni e gli immobili dell’UCA (Universidad Centroamericana), l’ateneo gesuita tra i pochi luoghi di pensiero ancora non sottomessi.
Il silenzio è stato rotto dalle parole di condanna di Papa Francesco che, in questi anni, ha tentato ogni forma di dialogo nonostante i numerosi atti di grave ostilità nei confronti della Chiesa Cattolica. Come l’incriminazione del vescovo Rolando Álvarez, avvenuta a febbraio 2023, con successiva condanna a 26 anni di carcere per «terrorismo», colpevole in realtà di aver solo rifiutato l’esilio dopo la ferma denuncia della deriva che sta vivendo il suo Paese.
Vescovi in galera, congregazioni abolite. Ma non solo: «Migliaia di ONG sono state espulse, comprese molte organizzazioni religiose, tra cui le Missionarie della Carità di Madre Teresa, con il pretesto di non aver rispettato le norme fiscali stabilite dal regime o con l’accusa di terrorismo», riassume il sito della Compagnia di Gesù. Come si è giunti a questa situazione, tra l’altro in un clima di sostanziale indifferenza, come se ci trovassimo di fronte a una specie di crisi di serie B? Abbiamo cercato di capirlo assieme alla giornalista Lucia Capuzzi. Inviata di Avvenire, grande conoscitrice delle vicende sudamericane, è stata in Nicaragua quando già la situazione generale nel Paese stava precipitando ed è tra le voci che contribuiscono a mantenere costantemente acceso un faro su quel che sta accadendo nel Paese caraibico. Una terra dalle bellezze naturali straordinarie, situata tra Honduras e Costarica, dove l’attuale presidente aveva avviato un progetto per realizzare un altro Canale di navigazione per fare concorrenza a Panama, poi naufragato, come tante altre promesse della sua rivoluzione.

Daniel Ortega e la vicepresidente, sua moglie

Chi è Ortega

Il Nicaragua, spiega Capuzzi, vive una situazione di progressiva chiusura degli spazi democratici. Il punto di svolta si è verificato nell’aprile 2018, quando, in tutto il Paese, si assiste a una serie di rivolte non violente, motivate da una questione apparentemente marginale: gli anziani iniziano a protestare a causa di una legge che intendeva ridurre le pensioni: «Questione in realtà non così marginale perché il Nicaragua è, insieme al Guatemala, il secondo Paese più povero dell’America Latina». Gli anziani vengono picchiati e repressi dalla polizia, il che genera un forte impatto sui giovani, che avviano a loro volta una serie di proteste non violente: «La legge sulle pensioni viene immediatamente ritirata dal Governo ma, a esplodere, è tutto il malcontento accumulato in anni e anni di governo di Daniel Ortega».
Parliamo di un sistema, sintetizza Capuzzi, che ha basato il suo regime su un neoliberismo di stampo populista, ossia un liberismo non sfrenato, abbinato a un populismo retto su una serie di aiuti a pioggia concessi per mantenere il consenso della popolazione.
Ma chi è Ortega? José Daniel Ortega Saavedra è stato uno dei comandanti della rivoluzione sandinista che, nel 1979, ha rovesciato la dittatura della famiglia Somoza, ininterrottamente al potere dal 1934. Sconfitto da Violeta Barrios de Chamorro nelle elezioni del 1990, Ortega torna alla presidenza nel 2006 in modo spregiudicato, alleandosi anche con l’estrema destra: «Tornato al potere, adotta una serie di politiche per svuotare progressivamente le altre istituzioni e garantirsi la rielezione indefinita, cambiando anche la costituzione».
È in questo contesto che maturano le rivolte non violente del 2018, diventate man mano moltitudinarie. In piazza, continua il racconto di Capuzzi, ci sono tutte le componenti politiche. Durante la marcia del Giorno della Madre – la festa della mamma è molto sentita in America Latina – si vedono in piazza milioni di persone.
La protesta, però, viene ferocemente repressa dal governo, composto da Daniel Ortega e da sua moglie Rosario Murillo, la vera stratega dell’accentramento del potere. Così, progressivamente, vengono chiusi tutti gli spazi di autonomia, come le associazioni non governative e i movimenti. Ciò che prima si concedeva non viene più concesso: «Come unico spazio autonomo rispetto al governo era rimasta solo la Chiesa Cattolica che, tra l’altro, tenta di accompagnare due processi di pace, entrambi falliti per lo scarso interesse del governo stesso. Oltretutto, durante la protesta, la Chiesa nicaraguense apre le chiese ai manifestanti, che venivano rincorsi e repressi duramente dalla polizia. Una “colpa” che il governo farà pagare molto cara alla Chiesa».

I Vescovi nicaraguensi insieme alla popolazione

La moneta della repressione

La moneta di cui il governo sandinista si serve è infatti quella della repressione che, da un paio d’anni in qua, si fa sempre più diretta e cruenta: si assiste alla chiusura di tutti gli organismi cattolici, incluse le Caritas, all’espulsione delle congregazioni religiose, all’incarcerazione progressiva dei sacerdoti, fino ad arrivare al fatto inedito dell’incarcerazione del vescovo, Ronaldo Àlvares e alle spoliazioni dello scorso agosto. I ricordi del suo viaggio in Nicaragua del 2019 quando la fase di repressione del movimento studentesco e giovanile non era ancora finita, sono ancora ben nitidi: «Difficilmente ho visto persone così tanto terrorizzate, intervistare qualcuno era molto complicato, tutti avevano paura. La UCA stessa era spaventata perché molti dei suoi studenti erano in piazza e l’istituzione non li avrebbe mai denunciati anche se l’ordine ricevuto era quello. Anzi, molti ragazzi si rifugiavano proprio lì, sapevano che era uno spazio protetto. Gli stessi medici che avevano soccorso i feriti lo avevano fatto di nascosto. C’è stata una repressione fortissima nell’indifferenza del mondo».

La Chiesa genera spazi di libertà

Ma perché prendersela anche con la Chiesa? Perché quella stessa università in cui hanno studiato i figli del presidente viene espropriata, al pari di altri ordini religiosi, tra cui gli stessi Gesuiti presso i quali il giovane Ortega si è formato?
L’aspetto di fondo da chiarire, secondo Capuzzi, è tuttavia spiazzante: i motivi del crescente accanimento contro la Chiesa non vanno ricercati in una qualche forma di ateismo ideologico, ma sono la conseguenza dell’involuzione autocratica che mira a svuotare lo stato dal di dentro: Ortega e sua moglie hanno costruito un regime familiare che assomiglia molto a quello della famiglia Somoza che lui stesso contribuì ad abbattere nel ‘79, in cui c’è una confusione completa tra bilancio personale e bilancio dello stato, dove i figli, 11 nel caso di Ortega, occupano i posti principali all’interno delle aziende di stato: «In un contesto come questo, la Chiesa viene repressa non dal punto di vista religioso, perché il governo sia ateo o diversamente credente, ma in quanto spazio di autonomia, spazio libero. Uno spazio dove la società civile ha un’occasione per chiedere, dialogare e parlare dei diritti umani».
Raccontare il Nicaragua esclusivamente in chiave “persecuzionista”, come se ci trovassimo di fronte a un raptus improvviso, magari aiuta a fare notizia, ma non a capire quello che succede nel Paese.
Questo passaggio è importante anche per comprendere i racconti di tante altre crisi internazionali che arrivano da noi come dei fulmini a ciel sereno, magari a seguito di qualche arresto o fatto clamoroso, sebbene siano in corso già da lungo tempo. Esempi non ne mancano.
Perché dunque questa miopia sul Nicaragua quando nello stesso periodo i riflettori sul Sud America erano accesi sul vicino Venezuela? È la stessa ragione per cui, secondo Capuzzi, adesso non guardiamo in El Salvador, dove sta succedendo qualcosa di terrificante, ma nessuno ne parla: «Il presidente, Nayib Bukele, ha incarcerato l’1% della popolazione con il pretesto di sconfiggere le Maras. È possibile che ci siano tra loro dei mareros, ma nessuno ha visto un processo, una qualche forma di garanzia di diritti umani e il presidente, forte del consenso, sta stravolgendo la costituzione per farsi rieleggere. Nell’indifferenza. Tendiamo a guardare solo un tema con una miopia verso tutto il resto del mondo e poi, quando le cose scoppiano, ce ne meravigliamo».
Scopriremo dunque tra qualche tempo di avere un nuovo Ortega in Salvador. Intanto, nella speranza che la tenacia della resistenza interna dei nicaraguensi, unita a una qualche crisi di potere, o economica, innescata dagli imprenditori locali (curiosamente schierati a fianco della rivoluzione socialista-sandinista), metta la parola fine del regime di Managua, ormai isolato perfino dall’Internazionale socialista: «Una resistenza nascosta c’è ancora, il regime non potrà reggere per sempre, è screditato anche al suo interno e isolato dalle stesse presidenze progressiste dell’America latina. Questo alzare sempre questa asticella è una dimostrazione più di debolezza che di forza. Prima o poi questi regimi implodono».
Ma la leva della libertà religiosa resta.
Adesso si tratta di vedere se con la liberazione dei 12 sacerdoti potranno aprirsi scenari diversi. E se per davvero regimi di tale fatta potranno implodere.