Mps e Mediobanca: piano a sovranità limitata  

Cosa c’è dietro al piano di conquista di Mediobanca da parte di Monte dei Paschi di Siena? Perché l’operazione non appare congegnata in modo efficace? Un profondo conoscitore della scottante materia finanziaria prova a chiarire cosa bolle in pentola. E a chi gioverebbe per davvero vincere questa partita


31 gennaio 2024
Sportellate
di Walter Ottolenghi

Questa volta nessuno parlerà delle oscure trame degli gnomi della finanza internazionale. Così come a prima vista rappresentato il piano di conquista di Mediobanca da parte di Montepaschi Siena appare congegnato in modo da rendere piuttosto difficile la sua realizzazione. Poco probabile quindi che l’istituto senese si sia avvalso della consulenza di primissimo livello che un’operazione così complessa e delicata richiederebbe. Tra l’altro la redazione di un piano industriale post fusione con la credibilità necessaria per ottenere l’accordo della Banca Centrale Europea esigerebbe, dati i soggetti coinvolti, competenze che pochi al mondo possono vantare. Pochi e, probabilmente, poco propensi a coinvolgere il loro nome in quella che, per il momento, sembra soprattutto un’esibizione muscolare nel quadro di un’annosa saga della provincia italiana. Chissà, ci si può sempre sbagliare, magari qualche tycoon della Silicon Valley innamorato delle colline del Chianti vuole approfondire la sua immersione nell’incanto del territorio con un tipico piano di conquista basato sul meccanismo carta contro carta, perché di soldi veri negli sbandierati 13 miliardi di offerta non ce ne sono proprio. Più probabile che qualche imitatore nostrano pensi di replicare le magie d’oltreoceano senza minimamente tener conto delle enormi differenze dei presupposti di base tra queste e l’operazione proposta.

Azioni al ribasso

Proposta che dà per scontato che gli attuali azionisti di Mediobanca siano disponibili a scambiare le loro azioni con azioni Montepaschi per di più, allo stato attuale, perdendoci anche oltre il 10% su valori di borsa già di per sé discutibili. Un conto, infatti, è essere azionisti di un istituto che vanta una storia di ottant’anni di crescenti successi, con una chiara visione della propria missione, realistici obiettivi per il prossimo futuro ed un management consolidato, competente e universalmente riconosciuto come una rara avis di indipendenza e professionalità nel controverso panorama italiano. Chi è azionista di Mediobanca ha fatto chiaramente una scelta d’investimento dopo un’attenta ponderazione di questi valori. Scelta che ha visto la crescente compartecipazione di fondi d’investimento e altri investitori istituzionali perlopiù internazionali con una quota azionaria complessivamente stimata attorno al 40%. Garanzia, questa, di un attento processo professionale della decisione d’investimento.
Perché questi azionisti dovrebbero sostituire il loro investimento con azioni MPS? Cioè di un istituto dalla storia turbolenta, una vorticosa girandola di management nel corso degli anni, rimesso in piedi grazie al generoso intervento della mano pubblica e una vocazione prevalentemente territoriale dalla quale non si riesce a sganciare? Più che comprensibile che dal governo in carica si esprimano benedizioni per l’operazione di scambio (OPS) proposta. Che tradotte in linguaggio corrente si potrebbero anche interpretare come: qualcuno ci tolga le castagne dal fuoco, che non c’è più trippa per gatti.
Quindi sì, qualche sponda per l’operazione c’è. Qualcuno disposto a fare sacrifici oggi per acquisire benevolenze da spendere un domani su altri tavoli lo si trova sempre. Del resto, gira e rigira è pur sempre la medesima italietta da gattopardo. Plus ça change, plus ça reste la même chose.

Siena ridens?

Per inquadrare comunque la questione sotto un profilo temporale più ampio, il versante MPS è di lettura abbastanza semplice. Una gloriosa istituzione di fondazione tardomedievale che ha sfidato i secoli ed è diventata nel XX secolo uno degli esempi più emblematici e persistenti di ingerenza politica. Questa, nel conclamato interesse di porsi al servizio del territorio, ha favorito legami sempre più stretti tra l’economia locale e i referenti dei vari livelli della gestione della cosa pubblica. Non è andata benissimo. Un bacino di raccolta che copriva tutto il Centro Italia ed oltre convogliava il potere decisionale su una testa situata in una città di 50.000 abitanti, geograficamente decentrata. Con indubbio beneficio e fidelizzazione dei residenti, ma probabilmente con qualche limite nella strutturazione dei processi di governance e gestione. Toccò ad istanze politiche centrali del paese rafforzare, a cavallo del passaggio di secolo, il filo doppio di collegamento con i propri referenti locali, incoraggiando iniziative di acquisizioni di istituti creditizi soprattutto di altre regioni. Le operazioni furono talmente maldestre che, lungi dal risolvere i problemi, finirono per ampliarli a dismisura. Il resto è cronaca, finanziaria e giudiziaria. E un susseguirsi di ricapitalizzazioni per chiudere il buco e rimettere la banca in condizioni di continuare a funzionare.

Understatement e sobrietà

Un’antica moneta milanese di fattura apparentemente tardomedievale raffigurante Sant’Ambrogio con le insegne della carica episcopale e circoscritto nella dicitura S. AMBROSIUS MEDIOLANI è invece da sempre il logo di Mediobanca. La figura che fece della capitale dell’impero romano d’occidente anche il nuovo centro della civiltà, della fede e della cultura europea distinta dall’itinerario poi intrapreso dal mondo greco-bizantino. Una scelta che non sembra quindi tanto di campanile quanto di simbolo di una storia di centralità morale della città definita, tra i suoi tanti attributi, capitale finanziaria del Paese. E se tale è sicuramente stata dagli anni del secondo dopoguerra, della ricostruzione, del boom e poi di tutte le vicende che hanno finora accompagnato la storia economica italiana in gran parte lo si deve all’istituto di Via Filodrammatici, ora Piazzetta Cuccia. Qui sono passati i flussi di finanziamento che hanno permesso di sopperire alla cronica carenza di capitale del sistema produttivo italiano e qui si sono tessuti gli accordi che hanno permesso alle imprese italiane di rafforzarsi, di ristrutturarsi e di diventare competitive. Dobbiamo anche a questa attività se non ci siamo ridotti a periferica colonia di potenze economiche tradizionalmente molto più forti.
La riservatezza che ha caratterizzato questa delicata attività ha creato un alone di mitico mistero, scatenando le più disparate dietrologie sugli occulti poteri che avrebbero sponsorizzato il ruolo di centralità e di fattore di equilibrio svolto da Mediobanca nel sistema economico italiano. Si trattava spesso solo di patetico giustificazionismo dell’altrui mediocrità, della riluttanza ad ammettere che qualcuno sapesse fare il proprio mestiere meglio di altri. Che significava capitalizzare sul fattore umano, sulla capacità di tessere e mantenere relazioni di confidenza e fiducia, di essere scrupolosi collettori e analizzatori di informazioni e dati, di offrire un’assistenza professionale stabile e duratura nel tempo costruita su risultati concreti di una lunga serie di operazioni di esito positivo e non su chiacchiere mediatiche. Understatement e sobrietà sono le note di stile che hanno accompagnato questa storia ottuagenaria.

Make Italy Little Again

Resta allora ancora più forte il dubbio sul senso dell’operazione proposta. Qualcuno può seriamente pensare che questo enorme patrimonio immateriale, questo avviamento unico nel suo genere possa essere impunemente trasferito dai silenziosi palazzi all’ombra della Scala alla pittoresca città del Palio delle contrade? Non è più verosimile pensare che verrà gradualmente svuotato per prendere la strada delle grandi banche d’affari internazionali che da anni cercano di scalfire la posizione di mercato di Mediobanca? Sarebbe questo il vantaggio per il Paese sbandierato dall’ineffabile schieramento dell’esecutivo improvvisamente risvegliatosi come esperto di finanza? O si pensa di rimediare raddoppiando il raccordo di Firenze Signa per invogliare innervositi operatori di calibro internazionale a non scoraggiarsi per il traffico e non abbandonare la retta via verso il nuovo baricentro della Repubblica? Make Italy Little Again potrebbe essere il motto adatto per questa bizzarra strategia. MILA invece di MAGA, indubbiamente più eufonico e invitante.

Scorporare il potere triestino

Ma non bisogna essere troppo ingenui. Chiarito che in questo piano di sinergie industriali sembrano essercene pochine e potrebbero prevalere le “dissinergie”, rimane incomprensibile quale può essere il preteso vantaggio per l’economia nazionale. Lo scopo vero va ricercato altrove. Ed ha un nome e cognome precisi: Assicurazioni Generali. Il colosso assicurativo triestino di fama internazionale è rimasto uno dei rarissimi esemplari di presenza italiana nel mercato europeo in grado di confrontarsi con i giganti del settore. Questo grazie alla strenua opera di tutela della sua indipendenza e italianità operata nei decenni da Mediobanca. Inutile dire che, oltre ad una rilevante importanza strategica per il sistema paese, il suo patrimonio finanziario ed immobiliare è immenso. Cosa ne sarà una volta scardinato il forziere di Mediobanca? Una rinfrescata visione del film “Wall Street” (1987) e del suo protagonista Gordon Gekko, oltre i diversi sequel sull’argomento, potrebbero suggerire qualche smaliziata interpretazione di possibili propositi.
Se c’è ancora qualche appassionato cultore dell’eterna disputa tra il diavolo e l’acqua santa può trovare in questa storia ampio materiale di meditazione per stabilire meglio dove stanno di casa l’uno e l’altra.
E i sovranisti? Ma mi facciano il piacere… (cfr. Totò e l’onorevole Trombetta – 1952).