L’emergenza culturale è tutta nell’emergenza antropologica: i danni della mentalità relativista
Il presente trova confermata la preoccupazione di Joseph Ratzinger in merito all’affermarsi, specie in Occidente, del relativismo. Nelle sue molteplici e insidiose forme. Ecco perché il suo pensiero andrebbe ripreso come desiderio sincero di comprendere. Per rilanciare un’appassionante sfida umana e culturale a una mentalità che, lo vediamo (se riusciamo a vedere!) tutti i giorni, non fa bene alla persona, alla libertà della persona. Come, facendo propria la lezione di Benedetto XVI, indagandola seriamente, hanno ad esempio rilanciato un manipolo di cosiddetti “marxisti ratzingeriani”. Tra gli altri Mario Tronti, filosofo, uno dei padri della cultura operaista.
29 novembre 2024
Editoriale

Consapevoli o no, è certo che siamo avvolti nella nebbia di un’emergenza culturale. E lo siamo in ragione di un’emergenza antropologica in Occidente particolarmente incisiva, dovuta all’affermarsi di una mentalità relativista aggressiva, tendente al totalitario e perciò particolarmente convincente. Argomenti cruciali, questi su cui Joseph Ratzinger – prima come raffinato teologo, quindi come Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede e poi nella missione di papa della Chiesa cattolica – in più circostanze è intervenuto per richiamare a una presa di coscienza sui pericoli per l’umana convivenza prodotti dalla visione relativista.
Sinistra eretica affascinata da Benedetto XVI
Ad onor del vero, non molti (anche fra i cattolici) si sono confrontati seriamente con la sua preoccupazione. Specie tra intellettuali e accademici il suo pensiero e stato per lo più liquidato con disappunto, quasi che Ratzinger avesse osato pronunciarsi su un terreno che non gli apparteneva. Fino al clamoroso atto di censura quando a Benedetto XVI venne impedito, nel 2008, di pronunciare un’allocuzione all’Università La Sapienza, a Roma. Quel gesto che ancora offende confermava il fenomeno della nebbia fitta originata dall’emergenza antropologica con immediata ricaduta nell’emergenza culturale. L’oggi, se possibile, è peggio di ieri e del secolo scorso. I sussulti davanti al trend de vie appaiono episodici e irrilevanti. Il conformismo relativista ha occupato in pianta stabile il centro della scena.
Alcuni pensatori eretici, diciamo post – marxisti, al contrario, si confrontarono in modo aperto con il pensiero di Ratzinger. E per certi versi fecero propri i suoi messaggi, richiami accorati e accuratamente motivati e per questo furono definiti ‘marxisti ratzingeriani’. Tra di loro, Mario Tronti, morto nel 2023 all’età di 92, docente di Filosofia morale e di Filosofia politica all’Università di Siena e conosciuto per essere stato il teorico del pensiero operaista ben analizzato nel volume “Operai e capitale” del 1966, nonché fondatore della rivista “Quaderni rossi”.
Con queste parole ha scritto di lui il professor Massimo Borghesi: «Senatore del Pd, Tronti ha rappresentato il volto di una sinistra profondamente critica dell’orientamento postmoderno, individualistico e relativistico, che segna la storia del progressismo dopo la caduta del comunismo. La sponda, nel suo caso, non era rappresentata dal neocapitalismo liberal ma dalla dimensione religiosa della vita.
Al pari di Pietro Barcellona – filosofo di Catania, che compì il percorso di conversione dal marxismo al cristianesimo grazie a un sacerdote vicino a Cl come l’indimenticabile don Francesco Ventorino – Tronti ha rappresentato una sinistra che nel confronto con la fede e la pratica cristiana trovava il suo respiro ideale, la passione per la difesa dei poveri e degli emarginati della storia».

‘Superare conservando’
Per dire della cifra umana e culturale di Tronti, ecco un passaggio di un suo articolo dedicato alla figura di Ratzinger per il quotidiano “Il Foglio” del 5 gennaio 2023: «Un Papa conservatore? Dovremmo tutti imparare a non sbeffeggiare questa parola. In un mondo e in un tempo in cui si portano i valori al mercato e si vendono come prodotti a scadenza ravvicinata, evocare valori non negoziabili serve a contrastare questa deriva. Conservare il meglio del passato diventa allora un atto di rinnovamento. ‘Superare conservando’ ci ha insegnato una volta per tutte il vecchio Hegel, dai cui rami tutti discendiamo. Dico sempre ai miei compagni, che inutilmente si chiamano progressisti: studiate la complexio oppositorum, che la forma politica del cattolicesimo romano ha elaborato e sperimentato in secoli di presenza nella storia umana. Imparerete a fare politica un po’ meglio di quanto fate oggi. C’è altrettanta politica negli Esercizi spirituali di sant’Ignazio di Loyola di quanta ce n’è nel Che fare? di Lenin, ammesso che quest’ultimo testo sia ancora nelle loro letture».
E ancora: «Per chi dedichi la dovuta attenzione al pensiero di Benedetto XVI non dovrebbero sorgere equivoci in proposito. La condanna del ‘relativismo etico’ non travolge il pluralismo culturale, ma riguarda solo le visioni nichilistiche della modernità che, seppur praticate da minoranze intellettuali significative, non si ritrovano a fondamento dell’agire democratico in nessun tipo di comunità: locale, nazionale e sovranazionale. Il ‘relativismo etico’ permea, invece, profondamente, i processi di secolarizzazione, nella misura in cui siano dominati dalla mercificazione. Ma non è chi non veda come la lotta contro questa deriva della modernità costituisca l’assillo fondamentale della politica democratica, comunque se ne declinino i principii, da credenti o da non credenti». (Mario Tronti, Pietro Barcellona, Paolo Sorbi, Giuseppe Vacca in “Avvenire” 16/10/2011 e, con altri interventi, in “Emergenza antropologica”, Guerini&Associati, 2011).

La fede plasma e trasforma la cultura
Idealmente e dunque concretamente, troviamo adeguato e assai stimolante rilanciare la partita dell’emergenza culturale andando a una fonte assai autorevole, a un prezioso contributo di Joseph Ratzinger, anticipato da “Il Foglio” (Il contenuto fa parte di “In dialogo con il proprio tempo” uscito per la Libreria Editrice Vaticana; il nuovo volume, in tre tomi, dell’Opera Omnia di Joseph Ratzinger. Il testo raccoglie tutte le interviste di Ratzinger Benedetto XVI).
Dice Ratzinger: “Per parlare d’inculturazione in modo sensato, bisognerebbe innanzitutto accordarsi su che cosa si debba intendere con ‘cultura’. In prima battuta, forse, la si potrebbe definire come il modo in cui, in un determinato contesto storico di vita, vien vista, interpretata e plasmata la realtà nel suo insieme. Se la fede vuole indirizzarsi agli uomini, deve naturalmente inserirsi in questa data forma di comprensione e di organizzazione del mondo ed esprimersi in essa. La cultura, perciò, da un lato, presta alla fede i suoi strumenti espressivi, ma, dall’altro, la fede, poi, plasma e trasforma la cultura. In rapporto alle culture esistenti, la fede, da un lato, è recettiva, ma, dall’altro, è anche creativa e critica. In generale è importante notare che le culture non sono realtà statiche e chiuse in se stesse. Si sviluppano storicamente e sono in un rapporto di scambio vicendevole. La grandezza di una cultura si misura anche in base alla sua capacità di trasformazione, alla sua possibilità di lasciarsi fecondare e rinnovare. È del tutto errata l’idea che la fede dovrebbe innanzitutto essere “purificata” da ogni precedente forma culturale per poi essere rivestita di nuove forme culturali. La sintesi a cui tendere è più difficile e dolorosa, ma per questo anche più profonda e feconda”.
Eccolo qui, Il bello e il vero di una rivoluzione culturale. Di una cultura che accende il dialogo con il proprio tempo.