La testimonianza di Aleksei Navalny: la responsabilità di essere uomini

Cinquant’anni fa esce il romanzo di Elsa Morante “La Storia”. Un successo clamoroso per un libro bello che parla a tutti. È la rinascita del romanzo popolare. Che però finisce sotto il pesante attacco di certe élite intellettuali della sinistra dura e pura. E così i sostenitori, a parole, della cultura di popolo si impegnano a dileggiare quella realtà – che legge il libro della famosa scrittrice nata a Roma – definendola popolino. Un tic pericoloso che, beninteso non ha bisogno di garanti e tutori. Figlio di una malintesa concezione di cultura. Come ricorda Giovanni Testori. Una lezione di ieri che vale per l’oggi.


23 febbraio 2024
Editoriale

Alexei Navalny assiste in piedi dentro la gabbia di vetro, la sentenza-farsa che lo condannò a 20 anni nella prigione in Siberia

La morte improvvisa in un gulag siberiano del dissidente russo è stato l’ennesimo segno di debolezza di un regime nervoso. Che ormai sta in piedi sulla rabbia e sull’incutere paura. Il popolo russo non ha assistito alla tragedia restando in silenzio. Ma, dignitosamente e sfidando il pugno di ferro del Cremlino, dove ha potuto ha deposto fiori, dolci e lumini.  Una lezione di vita e speranza. Come di vita, libertà e democrazia ha parlato Navalny. L’importanza della sua lezione non solo in patria. Le parole decisive di Mattarella. L’impegno dei nostri partiti. E le domande che bruciano per ciascuno di noi.
Ancora una volta la Siberia ha mandato ululati di morte come da tradizione sovietica. Un uomo è morto nella colonia penale a regime speciale IK – 3 nota dalla quelle parti come “Lupo polare”. La bruttura disumana ha travolto Aleksei Navalny, in un tragico venerdì, il 16 febbraio 2024, nell’oscurità della Siberia del Nord. La sua vita interrotta, la speranza ferita, il futuro in apparenza ghiacciato.

La realtà del gulag ha fatto, come sempre, il suo offensivo e sporco lavoro.

Il corpo di quell’uomo coraggioso, infine, non ha retto. Lui che ha avuto la pretesa di non accettare le regole del gioco imposte dal regime poliziesco di Vladimir Putin. Lui che è stato costretto a una vita da fuggiasco, da braccato, da traditore che andava prima o poi raffreddato. Definitivamente.
Un uomo è morto, un uomo libero è morto, un oppositore ha terminato di vivere. In quel modo lì. Il Cremlino ha azionato subito la propaganda per infangarne la memoria. Un esponente del senato ha prontamente dichiarato: “Penso sia un incidente, succede”. E, per come girano oggi le cose non può stupire che quel metodo sia stato fatto proprio in settori non irrilevante dell’Occidente, Italia compresa.
Il terribile ritornello dello “spiace, ma…” fa proseliti uccidendolo due volte. In Russia, il popolo ha detto no a questa infamia. Dove è riuscito ha reagito disarmato. Ha deposto fiori e dolci per onorarlo. Ha acceso lumini. Quel che ha potuto lo ha fatto con dignità. E in quei gesti semplici ha germogliato il desiderio di libertà e democrazia. Come ha ribadire che non si è spezzato il filo che lo ha legato a quell’immagine di Navalny con tra le mani un foglio su cui campeggia la scritta che è un invito a non cedere agli aguzzini: “Io non ho paura. Non abbiatene neanche voi”. Il regime si è innervosito perché teme la libertà e odia la democrazia. Il nervosismo degli arrabbiati e nervosi.

Alexei Navalny con la moglie Yulia Navalnaya

Il monito di Mattarella

Il nostro presidente Sergio Mattarella – uomo che appartiene a una storia politica di popolo – non ha tentennato un solo istante per esprimere un giudizio netto: «La morte di Aleksej Navalny nel carcere russo di Kharp rappresenta la peggiore e più ingiusta conclusione di una vicenda umana e politica che ha scosso le coscienze dell’opinione pubblica mondiale. Per le sue idee e per il suo desiderio di libertà Navalny è stato condannato a una lunga detenzione in condizioni durissime. Un prezzo iniquo e inaccettabile, che riporta alla memoria i tempi più bui della storia. Tempi che speravamo di non dover più rivivere. Il suo coraggio resterà di richiamo per tutti».
Un messaggio chiaro, indirizzato anche alle nostre forze politiche per smorzare sul nascere la pratica degli sconvenienti distinguo. Che, nonostante l’alto richiamo, non si sono fatti attendere.
Putin da queste parti – e lo sappiamo – raccoglie più di una simpatia. Li chiamano rossobruni quelli che si ritrovano volentieri sotto l’ombrello ideologico del Cremlino. Trattarli come realtà folkloristica sarebbe un errore. È già accaduto nella Storia…

Oltre la fiaccolata

La fiaccolata promossa dai partiti ha un sapore diverso da quella del popolo.
Tuttavia è pur sempre qualcosa. Vedremo se dalla testimonianza simbolica si passerà all’azione politica. Che vuol dire, ad esempio, recitare un ruolo di pressione in Europa affinché non vi siano più ambiguità continentali nei confronti del dittatore del Cremlino. Il filoputinismo è una grave malattia causata da un’umanità idealmente rinsecchita, indebolita nella sua struttura originaria. Non è un caso che a distanza di due anni dall’invasione dell’Ucraina c’è stanchezza diffusa nel manifestare sostegno a Kiev. Magari con l’alibi del pacifismo.
Un conto è Papa Francesco che domanda la pace, altro conto che lo urlino i fiancheggiatori espliciti di Putin o quelli che si attivano per la pace a corrente alternata di fatto allineandosi con il dittatore moscovita.

Io non ho paura. non abbiatene neanche voi (Facebook)

Russia libera

Allora viene da dire che occorre imparare dalla resistenza coraggiosa mostrata al mondo libero da Aleksej Navalny. Come da quella minoranza vivace, orgogliosa e ragionevole che si raccoglie nell’affermazione di una Russia libera. Ce lo ha ricordato saggiamente il professor Adriano Dell’Asta, voce storica della Fondazione Russia cristiana, in un editoriale uscito sulla rivista “La Nuova Europa” quando scrive che «questa Russia libera non si lascia mai abbattere fino in fondo e continua a sperare,come nel caso di Aleksandra Skočilenko che, condannata a sette anni e mezzo di campo, continua a dire che ‘la vita è un miracolo’; come nel caso di Il’ja Jašin che, di fronte alla prospettiva di essere liberato in uno scambio di prigionieri, la respinge per poter restare in patria ed essere pronto alla sua ricostruzione; e quanti altri potremmo ricordare in questo senso».
Vale davvero la pena ricordarlo.       

Andrei Navalny con la moglie Yula Navalnaya