La Milano invisibile e dimenticata dalla politica “patinata”

La nuova povertà in coda davanti alla sede di “Pane quotidiano”. Dolente e silenziosa. Un marciapiede che la ricca e prosperosa città vorrebbe nascondere. Ma la verità non si può cancellare. Facce, pensieri, cuori di persone che hanno perso tutto, non la dignità. Persone grate verso chi sta con loro semplicemente abbracciando la loro povertà. Come dice papa Francesco: non si capisce la povertà senza l’abbraccio al povero. Cronaca di quel che tutti i giorni accade in viale Toscana. Racconto di quel che potrebbe essere disperazione invece è possibilità di qualcosa d’altro. La possibilità di un nuovo inizio. Che ha la fragranza della pagnotta fresca.


di Massimo Romanò

23 settembre 2022

In viale Toscana le macchine sfrecciano veloci e distratte. Ma basta uno sguardo, anche frettoloso, per rendersi conto che qualcosa sta accadendo. Una lunga, lunghissima coda di persone si snoda sul marciapiede. Una coda dolente e silenziosa; sono tutti in attesa di raggiungere la sede di “Pane quotidiano” per ritirare un pacco di generi alimentari. Centinaia di persone, da mesi, su quel marciapiede rincorrono la sopravvivenza.

Uno spettacolo che la ricca e prosperosa Milano non può nascondere, anche se lo vorrebbe. È la nuova povertà, un’emergenza drammatica, che non fa parte di nessuna agenda politica. Molti di loro, quando va bene, ricevono elemosine di Stato, buone a farti respirare per una settimana o poco più. Le statistiche ufficiali dicono che nel nostro Paese ci sono sei milioni di persone che vivono sotto la soglia di povertà, In parole povere si trovano nella condizione di non potersi permettere nemmeno l’essenziale: cibo, medicine per non parlare di affitti e bollette. Sei milioni, ma in realtà sono ogni giorno di più.

 

La vergogna che prova Oscar

 

In viale Toscana ogni giorno lo spettacolo è lo stesso. Arrivano da ogni angolo della città. Dalle periferie più lontane hanno tutti messo da parte la vergogna e con grande coraggio e dignità hanno trovato il coraggio di chiedere aiuto. Non sono i poveri che eravamo in qualche modo abituati a vedere. In quella lunga fila ci sono operai, impiegati, studenti, badanti, pensionati. La maggior parte di loro ha perso il lavoro e questo, in Italia, equivale a sprofondare in un buco di disperazione e solitudine.

È stato così anche per il signor Oscar, 53 anni, operaio metalmeccanico. La sua azienda ha chiuso i battenti ad aprile e lui, moglie e due figli, si è trovato improvvisamente a versare lacrime di disperazione. Non c’erano risparmi da parte; fino a quel giorno era riuscito a garantire alla sua famiglia una vita dignitosa. Non aveva mai avuto bisogno di chiedere aiuto a nessuno. Rinunce tante ma quel che serviva c’era e con esso anche una buona dose di serenità. Poi il dramma, improvviso, inatteso. Il ritorno a casa, l’incapacità di confessare ai figli che, da quel giorno, tutto sarebbe cambiato.

La ricerca, inutile, di un nuovo lavoro. Le notti insonni, il pensiero fisso su un futuro che non riusciva più ad immaginare. Poi, un giorno vede alla televisione le immagini di viale Toscana. Dentro di sé il rifiuto, il senso di vergogna. Durano qualche giorno poi il coraggio prende il sopravvento ed una mattina, ricorda ancora attorno alle sette, si mette anche lui in coda. La fila, dolente e silenziosa come sempre, è già molto lunga. Oscar tiene lo sguardo basso, passo dopo passo.

Ad un certo punto incrocia per un attimo lo sguardo della donna che gli sta davanti. Non dice nulla, semplicemente gli sta sorridendo. E lui capisce di non essere solo, quella donna è come se gli dicesse: coraggio tutti abbiamo provato vergogna, non ti preoccupare vienimi dietro.

Storie come quella di Oscar fanno capire davvero quanto siano vere le parole di Papa Francesco quando dice che il povero è una persona da abbracciare. Non si può capire la povertà se non la si abbraccia. Solo così si capisce quanto le statistiche poco dicano di questa drammatica emergenza. Ogni povero sarebbe una storia da raccontare, ognuna diversa dall’altra. Sono vite distrutte che faticano a risollevarsi. Perché il primo dramma che vive chi sprofonda nel bisogno assoluto è la solitudine e solo l’incontro con qualcuno che ti abbraccia e ti offre aiuto, spezza questa catena dolorosa. La maggior parte di loro impiega tempo prima di chiedere ma quando lo fa, è pieno di dignità e di gratitudine.

 

La solitudine di Claudio spezzata

 

È stato così anche per Claudio. Per lui la solitudine era stata una scelta. Viveva per strada. Usiamo il passato perché è morto, la prima settimana del lockdown. Fino ai 40 anni la sua era stata una vita normale; viveva con la madre, qualche lavoro saltuario che non mancava mai, grazie alla sua straordinaria voglia di fare. Poi la madre muore e per lui inizia un’altra vita. La depressione, la scelta della solitudine, le notti passate per strada.

Una sera mentre riposa sotto un portico vede avvicinarsi un gruppetto di ragazzi. Gli chiedono se ha bisogno di qualcosa; lui mugugna una risposta e continua a dormire. Quei ragazzi gli lasciano però l’indirizzo di un Centro di solidarietà dove si distribuiscono generi alimentari. Quel biglietto lo rigira tra le mani per giorni, finche si decide ed un pomeriggio si presenta a quell’indirizzo. Trova quei ragazzi intenti a scaricare un camion di derrate alimentari. Lo riconoscono, lo salutano e Claudio senza chiedere nulla, si mette a scaricare anche lui. Da allora per anni Claudio non mancherà mai; scaricare il camion, mettere in ordine il magazzino, confezionare i pacchi alimentari, per lui diventeranno un appuntamento fisso. Per sé stesso prende solo quello che gli viene offerto, mai più di quello che gli occorre davvero. La solitudine di Claudio si è spezzata; ha vissuto lunghi anni di amicizie e riscatto.

 

Fantasmi incatenati nelle fredde statistiche

 

Torniamo alla lunga fila di Viale Toscana. Daniela, cameriera disoccupata, 43 anni. Vive nelle case popolari di Baggio. Da sei mesi è senza lavoro ma non si è mai disperata. Ha sempre pensato che c’è chi sta peggio di lei. Vestita dignitosamente, sorridente, aspetta con pazienza di varcare i cancelli di “Pane quotidiano”. Racconta che nella sua stessa scala abitano due donne anziane e sole. Daniela recupera cibo anche per loro; i volontari lo sanno e si fidano. Quando torna a casa prepara da mangiare anche per le due donne e gli fa compagnia.

Questo oggi è il suo “lavoro”, lo dice con orgoglio e si capisce dal suo sguardo quanto sia vero.

Oscar, Claudio, Daniela. Sono centinaia come loro che rischiano di diventare fantasmi incatenati dentro le statistiche di cui si nutrono i politici. Un mondo nuovo che si preferisce nascondere; si ha quasi l’impressione che i nuovi poveri siano una sorta di effetto collaterale della crisi, accettato e dimenticato, degno solo di elemosine inutili e a volte quasi dannose. Gente che fino a qualche mese fa rappresentava l’ossatura della società, oggi può sperare di tornare a sorridere solo grazie all’abbraccio di qualcuno capace di volergli bene. Un abbraccio che è molto di più di vergognose promesse non mantenute. Un abbraccio che da solo forse non basta, ma che per tanti può essere la sconfitta della disperazione e l’inizio di qualcosa di nuovo.


Immagini:

– ©Lucia Laura Esposto – Milano piazza Duomo
– Compagni di banco – la Mostra (2019) per i 30 anni del Banco Alimentare Fotografie di Enrico Genovese
– Milano, Galleria ©Lucia Laura Esposto