La guerra israelo – Hamas: i riflessi economici di un mondo in trincea

L’emergenza umanitaria dovuta alla nuova guerra esplosa in Terra Santa è un dato di fatto terribile. Ma il dramma in corso, provocato dall’attacco terroristico di Hamas, è destinato ad avere pesantissimi e imprevedibili sviluppi sul piano economico. In tal senso, quel che è successo in passato in qualche modo potrebbe aiutare a comprendere qualcosa di questo presente. Specie in relazione alla guerra del Kippur del 1973, che determinò l’avvio della stagione dell’austerità. Anche se oggi, il quadro globale, appare molto diverso. E segnato tragicamente dall’esperienza della Terza guerra mondiale a pezzi, come lucidamente continua ad evocare papa Francesco.  

      


3 novembre 2023
Globalizzazione con l’elmetto
di Gianfranco Fabi

La Terza guerra mondiale a pezzi, evocata più volte da Papa Francesco, si sta drammaticamente avverando e ingrandendo. Il massiccio e brutale attacco di Hamas e l’inevitabile (e cercata) risposta di Israele hanno innanzitutto un terribile risvolto umanitario, con milioni di persone al limite della sopravvivenza. Ma avranno anche pesanti e imprevedibili risvolti politici ed economici.

Cinquant’anni fa la guerra del Kippur

Anche se è vero che la storia insegna solo che dalla storia non si impara mai nulla val forse la pena di ricordare quanto è avvenuto esattamente cinquant’anni fa. Nell’ottobre del 1973, Egitto e Siria attaccarono Israele con la guerra del Kippur a cui seguì la decisione dell’Oapec (Organizzazione dei paesi arabi esportatori di petrolio) per una riduzione della produzione di petrolio e un boicottaggio (chiamato “embargo”), contro i Paesi considerati ostili (in particolare gli Stati Uniti e l’Europa che rifornivano di armi l’esercito israeliano). In pochi giorni il prezzo del greggio passò da 3-4 a 16-20 dollari al barile con forti difficoltà negli approvvigionamenti perché allora (ora non più) erano proprio i paesi arabi i maggiori fornitori per i paesi occidentali. La crisi petrolifera non fece che aumentare i problemi per le economie più deboli e dipendenti dall’estero, come l’Italia. Quegli anni segnarono la fine del miracolo economico, l’inizio di un periodo di forte inflazione e di svalutazioni della lira, l’avvio di politiche di austerità che tuttavia non impedirono un progressivo aumento di deficit e debito pubblico.

Austerity-1972

Si può ripetere quanto avvenuto in quegli anni?

Vediamo. In primo luogo siamo di fronte a una realtà ancora fortemente in evoluzione e in cui, purtroppo, i rischi di un aggravamento e di un allargamento della crisi sono sicuramente superiori all’avvio di percorsi se non di pace, almeno di allentamento delle tensioni. Nei primi giorni dopo l’attacco di Hamas il 7 ottobre le reazioni sui mercati finanziari, e in parte anche per quelli delle materie prime, sono stati complessivamente limitati e comunque molto inferiori a quelli che si erano registrati nel febbraio dello scorso anno con l’aggressione dell’Ucraina da parte della Russia e con le sanzioni decise da Europa e Stati Uniti per isolare il regime di Putin. Da un profilo strettamente contabile in effetti il “peso” di Mosca, e in parte anche di Kiev, sull’economia mondiale è teoricamente molto maggiore di Israele e dei palestinesi. Ma non ci sono Mosca e Tel Aviv. Nei due casi il problema di fondo è quanto le guerre si possono allargare, sia con forme di solidarietà attiva con le parti in causa, sia con interventi diretti a favorire le sorti di una delle due parti in conflitto. In particolare, a livello economico, si dovrà tener conto di quanto ha pesato e potranno pesare le azioni della Cina nella sua ribadita amicizia con Mosca e quanto potrà incidere la solidarietà verso i palestinesi dei paesi arabi e soprattutto dell’Iran. L’attenzione si deve rivolgere a due elementi. Nell’immediato gli effetti che ci potranno essere a medio termine sulle quotazioni delle materie prime e in particolare dei beni energetici come gas e petrolio. Più nel lungo periodo saranno inevitabili le ricadute dell’inversione di marcia di quel processo di globalizzazione che aveva influenzato positivamente la crescita mondiale negli ultimi decenni del secolo scorso. Per quanto riguarda gas e petrolio siamo di fronte a un mercato fortemente influenzato da fenomeni speculativi: il gas, ad esempio, era sceso dal picco di 246 €/MWh in settembre 2022 fino a 23 €/MWh in luglio 2023, per poi tornare a 44 €/MWh nello scorso mese di settembre. Nei giorni immediatamente successivi all’attacco di Hamas il prezzo del gas è cresciuto del 41,3% rispetto alla settimana precedente, mentre il petrolio è salito del 7,5% (venerdì 13 rispetto a venerdì 6 ottobre). Un segno di grande volatilità soprattutto per il gas il cui prezzo è stato influenzato anche dal sabotaggio di un gasdotto nel Mar Baltico, dalla chiusura per motivi di sicurezza di un giacimento israeliano così come dalle richieste di nuovi contratti in vista dell’inverno. La guerra di Gaza ha comunque per ora avuto l’effetto di bloccare la tendenziale diminuzione dei prezzi delle materie prime che si era registrata negli ultimi mesi dopo le fiammate del 2022. Nell’insieme il prezzo medio a ottobre è quindi rimasto ancora superiore al livello del gennaio 2020 (l’ultimo mese pre-Covid), ma comunque notevolmente inferiore ai picchi raggiunti dopo l’invasione russa dell’Ucraina.

Shi Guangshen, Minister of Foreign Trade and Economic Cooperation of China, signing China’s Protocol on the Accession to the WTO at the 4th Ministerial Conference in Doha in November 2001

L’era della frammentazione

Il conflitto in Medio Oriente si aggiunge peraltro non solo alla crisi in Ucraina, ma anche a molte altre situazioni di tensione: dai Balcani all’Azerbaigijan, da Taiwan alla Corea del Nord, dall’Africa subsahariana al Nyanmar. E anche senza arrivare ai confronti armati o alla discesa in campo dei militari siamo di fronte ad uno scenario dei rapporti politici internazionali caratterizzato da quella che il Fondo monetario internazionale ha definito “l’era della frammentazione”. Sembrano ormai lontani gli anni degli accordi multilaterali per una sempre maggiore libertà di scambi, accordi sottoscritti nell’ambito del Gatt, (General agreement on tariffs and trade) diventato Wto (World trade organization) nel 1995 allargando la propria competenza dai beni commerciali al settore agricolo, tessile, del commercio dei servizi e delle proprietà intellettuali. Così come appare lontano l’ingresso, nel 2002, della Cina, un ingresso che ha portato grandi benefici a Pechino, che ha fatto esplodere le proprie esportazioni, ma i cui accordi sono stati rispettati solo in parte da una realtà come quella cinese che all’interno ha fatto solo piccolissimi passi per diventare un’economia di mercato, che ha mantenuto una politica di forti sussidi alle imprese, che ha limitato l’insediamento di imprese straniere. La presidenza di Donald Trump, con le sue misure protezionistiche e la guerra commerciale con Pechino, è stata uno dei punti di svolta verso l’inaridirsi del processo di globalizzazione. Un processo che ora si è progressivamente trasformato in un difficile percorso di intese bilaterali con la rispettiva perdita di influenza delle grandi organizzazioni, dall’Onu al Fmi, dalla Banca mondiale allo stesso Wto, che avevano caratterizzato, pur con difficoltà, un mondo che voleva abbandonare la logica della guerra dopo le stragi della prima metà del secolo scorso. I dazi verso la Cina, le sanzioni alla Russia, l’uso del petrolio e del gas come arma sono tutti elementi che stanno ridisegnando gli equilibri economici e la stessa possibilità di ulteriore crescita dell’economia mondiale. E che peraltro rendono ancora complesso il cammino dei sempre più urgenti interventi di difesa ambientale e di lotta ai cambiamenti climatici. Siamo di fronte ad uno scenario in cui è difficile intravedere dei benefici a meno di considerare, con molto cinismo, l’effetto sulla crescita economica delle spese militari prima e degli investimenti per la ricostruzione poi. Ma non dimentichiamo che economia è un nome che deriva dal greco (oíkos = casa, patrimonio, beni di famiglia e nòmos = regola, legge), in pratica la cura e il rispetto dei propri beni. E non dimentichiamo che il valore di ogni persona è incomparabilmente più alto di qualunque interesse politico o finanziario.