La grande tentazione (e l’azzardo morale) degli aiuti di Stato

Le richieste di sostegno del gruppo Stellantis esplicitate nella recente audizione in commissione parlamentare dall’amministratore delegato Carlo Tavares (prossimo alla scadenza del proprio mandato), rilancia la delicata questione dell’aiuto di Stato all’attività di grandi imprese in sofferenza. L’Italia, in tal senso, vanta un ben poco invidiabile storico, pensiamo solo alla annosa vicenda di Alitalia. Ma, a ben vedere, non si tratta di un fenomeno solo nostrano



1 novembre 2024
Pratica discutibile
di Gianfranco Fabi

È una delle regole più importanti, anzi fondamentali, dell’’Unione europea, ma nello stesso è una delle più disattese tra deroghe, eccezioni e violazioni più o meno nascoste.  Parliamo del divieto di aiuti di Stato: uno dei teorici capisaldi di un vero ed efficiente mercato unico, un mercato dove la concorrenza dovrebbe essere garantita e dove le imprese dovrebbero potersi confrontare partendo e operando con posizioni di sostanziale parità.

La fantasia degli aiuti

Gli aiuti di Stato possono prendere le più varie forme: dalla partecipazione al capitale delle imprese agli appalti concordati, dai prestiti agevolati e garantiti al finanziamento della cassa integrazione in presenza di crisi aziendali, dagli incentivi per favorire il mercato (tipici quelli per l’acquisto di automobili) alle agevolazioni fiscali, dalla partecipazione al capitale al sostegno finanziario indiretto.
La fantasia italiana si è poi espressa nelle sue forme più alte per giustificare interventi in particolari realtà locali. Incentivi selettivi, contratti d’area, patti territoriali, fondi strutturali, crediti d’imposta, sgravi contributivi hanno giustificato finanziamenti a pioggia, soprattutto nel Mezzogiorno. Gli interventi straordinari per il Sud nel Dopoguerra, attraverso la Cassa del Mezzogiorno prima e l’Agensud poi, hanno comportato una spesa diretta di 379mila miliardi di lire (pari a 195 miliardi di euro) nel periodo 1951-1998. Eppure la questione meridionale continua ad accompagnare la storia d’Italia.
Quella degli aiuti di Stato non è comunque una particolarità solo italiana. La Corte di giustizia europea ha per esempio condannato l’Irlanda per aver ha concesso alla Apple aiuti illegali. E a Google e Alphabet è stata comminata una multa di 2,4 miliardi di euro per le elusioni fiscali in Europa.
Negli Stati Uniti le regole sono molto più “flessibili”. L’amministrazione Biden ha lanciato lo scorso anno un piano per contrastare l’inflazione con una dotazione di 400 miliardi di dollari: in pratica sussidi per tutti per convincere le imprese a non aumentare i prezzi.

Carlos Tavares AD Stellantis durante la presentazione e inaugurazione del nuovo impianto per la produzione di innovative trasmissioni elettrificate per veicoli ibridi e Phev dei marchi del gruppo Stellantis in occasione del progetto “Mirafiori Automotive Park 2030”, Torino, 10 aprile 2024 ANSA/ALESSANDRO DI MARCO

La giungla italiana

In Italia, tuttavia, siamo di fronte ad una vera e propria giungla che si è sviluppata anno dopo anno apparentemente con le migliori intenzioni, ma in larga parte con l’effetto di ridurre la spinta agli investimenti privati, all’innovazione, alla sana conduzione operativa e manageriale. Se lo Stato diviene il pagatore di ultima istanza scatta quello che viene chiamato “azzardo morale”: se non avrò conseguenze economiche delle mie scelte sarò indotto ad affrontare maggiori rischi e ad avere minore prudenza nella gestione.
Il divieto di aiuti di Stato a livello europeo è peraltro tutt’altro che assoluto la dimostra il fatto che i singoli paesi sono tenuti a rendere operativo un “Registro nazionale degli aiuti di Stato”, registro che l’Italia ha introdotto nel 2016. Pochi anni prima, nel 2012, la Commissione europea aveva adottato un nuovo pacchetto di norme sugli aiuti di Stato rendendoli legittimi per i servizi di interesse economico generale, una formula dietro la quale si sono nascosti molti interventi che rispondevano a interessi del tutto particolari.
Ma poi con il Covid si sono aperte le porte ad una vera e propria cascata di aiuti tra finanziamenti diretti, prestiti garantiti, cassa integrazione straordinaria, indennità per la perdita di guadagno, agevolazioni fiscali e via enumerando. In questo caso il fine, evitare un tracollo dell’economia, giustificava tuttavia almeno in parte i mezzi.

I casi Alitalia e Fiat (e quindi Stellantis)

Resta il fatto che, al di là degli eventi eccezionali, la logica degli aiuti di Stato costituisce un vero e proprio ostacolo alla crescita di un mercato efficiente, dinamico e competitivo. Uno degli esempi più clamorosi di fallimento dell’intervento dello Stato lo si trova nella storia dell’Alitalia. Per tenere a galla la compagnia di bandiera, che tra il 1974 e il 2016 aveva accumulato perdite per 9 miliardi, lo Stato ne ha spesi più di 10. Nel periodo successivo, in attesa di una sempre problematica ristrutturazione, nel 2017 e nel 2019 sono stati concessi alla società prestiti rispettivamente per un importo di 900 e 400 milioni di euro, prestiti mai rimborsati e sanzionati dalla Ue. Anche per questo si è poi avviato il piano di ristrutturazione, il rilancio con Ita e la graduale cessione a Lufthansa.
Ancor più clamoroso, dato che si tratta di una società privata quotata in Borsa, è il caso della Fiat, poi FCA, ora Stellantis, dopo la fusione con la francese Peugeot. Un calcolo sommario degli aiuti pubblici era stato fatto nel 2012 da Federcontribuenti arrivando alla quasi incredibile somma di 220 miliardi di euro in quarant’anni senza tuttavia fornire un’analisi dettagliata delle agevolazioni finanziarie tra casse integrazioni, prepensionamenti, rottamazioni, incentivi, piani di sviluppo, nuovi stabilimenti in gran parte finanziati con risorse pubbliche e contributi statali sotto varia forma.
Più sicure sono le cifre degli anni più recenti. Da ottobre 2016 a gennaio 2024 sono stati versati, prima a FCA e poi a Stellantis, aiuti per 100 milioni di euro. A questi va aggiunta la cassa integrazione: in dieci anni l’Inps ha versato 1,4 miliardi ai lavoratori sospesi, di cui 550 a carico dell’azienda. In pratica negli ultimi nove anni fra cassa integrazione, agevolazioni per assunzioni e contratti di espansione, prepensionamenti e tagli contributivi si è arrivati vicino a quota un miliardo. Fondi a cui vanno aggiunti altri finanziamenti straordinari come i 3,35 miliardi di fondi pubblici destinati alla costruzione dello stabilimento di Melfi e al sostegno delle imprese dell’indotto.

Sciopero a Mirafiori – Ansa

Formula iniqua

I casi Alitalia e Fiat sono la palese dimostrazione di come l’intervento dello Stato non risolve, ma spesso aggrava i problemi rinviando a caro prezzo il confronto con il mercato. Nonostante i ripetuti sostegni la compagnia di bandiera ha continuato a chiudere i bilanci in rosso e ha dovuto essere salvata entrando in un grande network estero. E la Fiat, dopo il troppo breve risanamento realizzato da Sergio Marchionne, non è più un’azienda italiana con strategie industriali decise ormai a Parigi o a Detroit.