La fine di Credit Suisse è crisi del sistema bancario globale

“La caduta. Il caso Credit Suisse” (Guerini e Associati) non è un libro di fantasia, ma una puntuale e avvincente ricostruzione della giornalista Mathilde Farine di un dramma finanziario che ha destabilizzato l’economia mondiale. Questa rovinosa uscita di scena può diventare un monito per cambiare finalmente la direzione di marcia? 


4 ottobre 2024
Il tracollo
di Enzo Manes

@IlSole24Ore Web

Sistema delle banche. Con una certa frequenza va in fibrillazione. E in casi non trascurabili si arriva al de profundis per realtà del sistema che si sono più esposte. È andata così per Credit Suisse, finita a gambe all’aria per quel vizietto pericoloso di spingersi un po’ troppo in là con operazioni finanziaria e relazioni francamente osé. Insomma, c’era una volta una grande banca elvetica finita nell’album dei ricordi. E davvero pochi di questi ricordi sono piacevoli. Con l’uscita di scena traumatica di Credit Suisse la Confederazione elvetica oggi può presentare su piazza una sola banca di respiro internazionale: Ubs. Come sia potuto accadere il fattaccio lo spiega molto bene e con un incedere da spy story Mathilde Farine, giornalista esperta di finanza, nel libro “La caduta. Il caso Credit Suisse” (Guerini e Associati, volume a cura del giornalista del Corriere della Sera Stefano Righi.

Il tempo del ripensamento sistemico e programmatico

L’immergersi nelle pagine restituisce una lettura assai istruttiva e anche un po’ preoccupata. Visto che, in un modo o nell’altro le vicende degli istituti di credito impattano sui destini della collettività. «Il libro indaga le cause, dà voce ai testimoni, pone inquietanti interrogativi non solo sulla gestione del Credit Suisse, ma sul ruolo delle Autorità di Vigilanza, sulle governance, sul senso stesso dell’agire bancario», chiarisce nella prefazione Stefano Righi.
Vista al di qua delle Alpi quella rovinosa caduta non può sorprendere più che un tanto. Pensiamo solo ai travagli delle banche popolari italiane nate per dare corpo virtuoso a un mandato ampio e solidale che si alimentava alla fonte della dottrina sociale della Chiesa. Per azzardi intollerabili, ingordigia, gestione fuori controllo si sono prodotti danni enormi per famiglie e tessuto imprenditoriale. Per dire, nel Veneto, il tracollo delle popolari ha prodotto una desertificazione creditizia di cui ancora adesso, a distanza di dieci anni, se ne stanno pagando le conseguenze.
Ecco perché la caduta di Credit Suisse è una vicenda che riguarda tutti e impone, per chi sta nella stanza dei bottoni delle sedi istituzionali competenti un doveroso e radicale ripensamento sistemico e programmatico. Senza cedere alla tentazione di favorire ingerenze o applicazione di logiche stataliste ma, più opportunamente, attraverso la messa in atto di un’attività di controllo puntuale per salvaguardare la sempre più necessaria pratica della trasparenza. Tenuto conto che le crisi bancarie hanno origine nella frattura del rapporto fiduciario già di per sé appeso a un filo.

Nella prima linea della finanza globale

Ma torniamo allo scrupoloso lavoro di Mathilde Farine. Che, in meno di 150 pagine, riesce a ripercorrere tutte le tappe del tracollo Credit Suisse evitando tecnicismi e altre variabili che taglierebbero fuori dalla lettura chi non è professionista del ramo.
Credit Suisse, nell’oltre suo secolo e mezzo di vita, ha sostenuto l’industrializzazione elvetica; ha avuto un ruolo fondamentale nel collocare il Paese nella prima linea della finanza globale ed ha accettato di duettare con i titani del cosiddetto investment banking del tempio Wall Street. Ed è qui, in questo tentativo di protagonismo su un terreno per definizione molto insidioso, che si possono rintracciare i diversi segnali che l’hanno portata al fragoroso e definitivo tonfo. La lista dei suoi spericolati azzardi è piuttosto lunga. Eccone alcuni: violazione delle sanzioni internazionali contro Iran e Sudan; violazione delle norme sul Covid; malversazione; episodi di corruzione nel continente africano; spionaggio, frodi fiscali, riciclaggio, coinvolgimento in traffici di stupefacenti. Insomma, fa davvero impressione la sequenza di scandali che negli anni ha coinvolto l’ex colosso bancario elvetico. E che ha fatto tremare, per le relazioni che poteva vantare, l’intero sistema finanziario globale. Una storia già vista, pensiamo al 2008 e al fallimento di Lehman Brothers. L’ennesima storia sbagliata. L’ennesima dimostrazione di come nuoce gravemente alla salute far proprio il metodo pantagruelico. Le grandi abbuffate producono solo indigestione. E, perciò, mala gestione.  Ed è così che, anno dopo anno, Credit Suisse, per soddisfare i suoi appetiti «modifica il proprio profilo, si concentra sui mestieri a maggiore remunerazione, come il caso dell’investment banking. Sottovalutando il fatto che inevitabilmente si aumentano anche i rischi», scrive Righi.

La tentazione della conquista dell’America

Come si evince dalla lista delle nefandezze, le cause che hanno determinato il fallimento di Credit Suisse le potremmo definire specifiche. Così pensa l’autrice del libro. Che, però, si sente in dovere di precisare: «La sua precoce e implacabile conquista dell’America le è costata cara, come d’altronde la sua incrollabile ambizione a entrare e restare in premier league. Anche il suo complesso di inferiorità rispetto ai rivali nazionali ha avuto effetti nefasti, per averla spinta ad assumere rischi maggiori di quelli che avrebbe potuto permettersi. Anche la selezione – a volte infelice, spesso discutibile – di alcuni manager non ha contribuito a ristabilire l’ordine, in un’azienda in cui la cultura del profitto e dei bonus a ogni costo, nata nella banca d’investimento, si è poi diffusa ad altre divisioni. E pure la sua uscita dalla crisi finanziaria del 2008 senza alcun danno esistenziale, a differenza di molti suoi concorrenti, si è rivelata un calice amaro».

Il calice amaro

Già, il calice amaro. Che quella realtà ha deciso di bere fino in fondo. Illudendosi che non fosse amaro. Toccando, così disfacendo, il fondo. Marzo 2023, la fine della triste storia. «Le difficoltà del Credit Suisse vengono aggravate dal crollo, negli Stati Uniti, della Silicon Valley Bank. L’azienda va incontro a una notevole turbolenza e finisce per crollare in Borsa quando il suo maggiore fornitore dichiara che non fornirà ulteriori aiuti. Il 19 marzo Ubs rileva il Credit Suisse».  Rileva che significa l’aver aderito al “richiamo” dell’amor di patria secondo la più classica dell’operazione di salvataggio. Un vero e proprio pronto soccorso finanziario che non può mai far dormire sogni tranquilli quando le parti in cause sono le banche, come noto non predisposte alla navigazione con la tempesta. «Le banche non sono preparate per il maltempo, come giustamente faceva notare Martin Wolf (è il principale commentatore economico del Financial Times, ndr). Sono fatte per il bel tempo. Se il contesto finanziario non fosse stato così burrascoso probabilmente il Credit Suisse avrebbe potuto continuare il suo declino in modo tranquillo o, chissà, magari sarebbe riuscito a riprendersi. Ma a una banca così vulnerabile è bastata una burrasca».  Meditiamo, gente…