La fiducia “sfiduciata”

Questo è il tempo della fiducia che è sparita. Ormai si guarda tutto con sospetto. Potenzialmente, ci sono tutte le condizioni per vivere nel quotidiano l’esperienza della fregatura. Un deficit preoccupante. Che deprime. Umanamente insopportabile. Si tratta di una crisi strutturale delle relazioni che investe tutti i livelli della vita. Dall’inverno demografico alla disintermediazione, a come si guarda alla guerra e, in genere, ai conflitti. Fino all’affermazione dell’individualismo. E si potrebbe proseguire di sfiducia in sfiducia. Ma fino a quando si può vivere così? 


10 marzo 2023
Editoriale

FIAT Grandi Motori fase di montaggio, 1966-67 @Stefano Robino, Archivio Torino

In una vecchia pubblicità di un’azienda produttrice di latte e derivati che risale esattamente a cinquant’anni fa e inserita nel famosissimo Carosello, la storiella andava a terminare con uno slogan che certo funzionava: “La fiducia è una cosa seria che si dà alle cose serie”. L’espressione è diretta, forte e contiene una promessa. Lì si riferiva a un prodotto che non tradisce perché lo assicura l’azienda che lo ha immesso sul mercato (d’altronde era collocato come slogan all’interno di una reclame); e chissà se i professionisti che avevano pensato a quella frase immaginavano l’importanza che negli anni a venire avrebbe sempre più acquisito la parola fiducia. La crisi economico – finanziaria che ha fatto precipitare il mondo nel 2008 con il crack Lehmann Brothers l’ha drammaticamente chiamata in causa. Si è parlato di crisi fiduciaria e di tradimento di un patto. Per così dire si era investito sulla fiducia come elemento portante e caratterizzante la relazione (nel prestito vige o dovrebbe vigere tale metodo virtuoso) e, ad un certo punto, tutto è saltato per aria. Esplodeva. La bolla non reggeva più.
Il tradimento della fiducia aveva generato la slavina divenuta poi valanga. Con la conseguenza di un mondo che sta ancora facendo esperienza degli effetti negativi dovuti a quel crollo devastante. In quel caso, si è dato fiducia a una cosa seria che, alla prova dei fatti, ha disatteso la promessa. L’accordo.

L’altro: ancora risorsa a fin di bene

L’esempio eclatante lo possiamo tranquillamente far calare nella vita di ciascuno, cioè nella realtà quotidiana. Proprio perché la fiducia è una cosa seria, essa entra in gioco praticamente in tutte le nostre vicende di ogni giorno. In famiglia, con gli amici, al lavoro. In pratica ogni volta. Per la semplice ragione che qualsiasi rapporto non può che poggiare sul pilastro della fiducia.
Io entro in relazione con te perché mi fido di te. Do credito a quel che dici e fai, mi interessa, e proprio per questo ci sto. Qua la mano! Se ci pensiamo bene l’investire sulla fiducia non è una scelta che si fa a tavolino. Non è un’intenzione, un’idea che ci convince in astratto. No, la fiducia presuppone un’educazione, un considerare l’altro una risorsa a fin di bene. Con un parolone possiamo affermare che questa visione scommette sull’antropologia positiva.
Vale a dire che, anche quando la fiducia viene tradita (e questo non si può escluderlo a priori in alcun modo), l’uomo non diventa una malapianta da estirpare. Nel detto popolare si dice infatti, guai a buttare via il bambino con l’acqua sporca. Nel nostro caso l’acqua sporca è il tradimento (ma i tradimenti si perdonano, o no?) del patto fiduciario da far risalire alla messa in atto di una cattiva educazione.

Ferriera 1952 @Stefano Robino, Archivio Torino

Il rischio della valanga continua

Tuttavia, insegna la vita, è praticamente impossibile costruire qualcosa di positivo se non ci fidiamo più. Ovvero: se vediamo nell’altro un soggetto che intende approfittare di noi. E viceversa, naturalmente. Una relazione morta in partenza. Una non relazione. Pertanto… una fregatura. Sia che la si compia, sia che la si subisca.
Così facendo continuiamo ad essere dentro quella valanga che porta via tutto
Oggi la valanga prodotta dalla sfiducia è palpabile nel fenomeno devastante dell’inverno demografico: nel sospetto con cui si guarda ai partiti da cui il fenomeno della disintermediazione; nell’affermazione di un individualismo spinto riscontrabile a tutti i livelli della convivenza.
E anche lo schierarsi così arruffato e poco ragionevole verso quel che sta succedendo con la guerra nel cuore dell’Europa è figlio di quella frattura insensata.

Non serve il valzer delle ricette

E come si recupera la fiducia perduta, in terribile deficit? Serve a poco partecipare al valzer delle ricette che non tengono conto di tutto. E probabilmente non aiuta neppure richiamarsi, tutte le volte, a questioni di principio per ritrovarla (illuminante Leo Longanesi: “Non bisogna appoggiarsi troppo ai princìpi perché poi si piegano”). Come è ovviamente infruttuoso alzarsi il mattino e dirsi: “Oggi devo aver fiducia!”. Fa quasi ridere se non fosse grottesco moralismo. 
Forse, è più realistico ripartire da un fatto: che conviene aver fiducia perché il sale della vita è da sempre un fidarsi e un affidarsi.
Inciampi e tradimenti compresi. Per così dire: vanno messi in conto i deficit seppur da non perseguire o accettare con rassegnazione. Insomma, uno stare nel reale non da ingenui, neppure vittime della disillusione o animati da rivalsa e cattiveria, ma da uomini consapevoli di essere limitati e perciò giudiziosi nel non allargarsi troppo.
L’economia del reale si regge sulla responsabilità. Che muove al patto. Alla relazione. Cioè: “La fiducia è una cosa seria che si dà alle cose serie”. Come io, come te, come noi.

Milano nella periferia di Torino @Stefano Robino, Archivio Torino