Katyn e il negazionismo di Putin

La guerra della memoria scatenata dall’autocrate del Cremlino mette ora nel mirino l’eccidio di migliaia di ufficiali polacchi deciso da Stalin. I documenti storici hanno accertato in modo inconfutabile la responsabilità sovietica. Ma a Mosca provano di nuovo a negarla. Un attacco alla verità della Storia. Che diventa l’occasione di immergersi in una lettura preziosa: “La terra inumana” di Józep Czapski (ed. Adelphi) all’epoca dei fatti ufficiale polacco in Unione Sovietica. In quel capolavoro vi è il racconto fedele di come andarono per davvero le cose. Uno smascheramento della contraffazione storica.
Una lezione da continuare ad apprendere attraverso la letteratura che mostra il suo volto migliore. 


19 maggio 2023
Editoriale

Józep Czapski cosmopolacco di nobili origini. Praga 1896-1993 Maisons Laffitte Parigi, dove aveva sede anche lInstytut Literacki di cui fu animatore con la rivista Kultura.

A Mosca la Storia (con la maiuscola, sì!) è sotto assedio.
Una guerra alla verità, un metodo che cocciutamente si persegue dove regnano le dittature. Adesso il tentativo di riscrittura – di più: di negazione di fatti storici – tocca la vicenda dell’eccidio di Katyn.
La storia, quella vera, è nota. Nel 1943 le truppe tedesche, occupanti il territorio polacco, scoprirono fosse comuni nella foresta di Katyn. Responsabili del massacro di migliaia di ufficiali polacchi furono i sovietici. Il Cremlino provò a confutare l’evidenza attribuendo la responsabilità ai tedeschi con i quali, come noto, nel 1939, si erano spartiti la Polonia.
Già una commissione sotto il cappello della Croce Rossa Internazionale, al termine di un’approfondita indagine, attribuì ai sovietici la responsabilità dell’eccidio.
Dopo il crollo dell’Unione Sovietica emersero documenti fondamentali dai quali risultò che nel 1940 Stalin diede ordine di sopprimere oltre ventiduemila ufficiali polacchi, radunati a forza per quello scopo. Nel 2010, si è avuto il pronunciamento del Parlamento russo che ha ammesso la responsabilità sovietica per quelle esecuzioni sommarie.

Czapski anziano Foto 1988

Le falsità di Arnaud Duret
In Polonia, pur accertata la verità, quella ferita non si è mai rimarginata del tutto. Ed è tornata a far male nella carne viva dopo che, recentemente, la rivista ufficiale del ministero degli Esteri russo ha pubblicato un articolo nel quale si incolpa i nazisti della strage.
Una tesi poggiata sulla testimonianza, invero di nessuna credibilità, di un certo Arnaud Duret che, da prigioniero tedesco, fu da loro costretto a partecipare allo scavo di fosse comuni per seppellire i cadaveri nella foresta di Katyn. I copiosi documenti storici lo sbugiardano, sono inconfutabili: la responsabilità è per intero del regime sovietico. Ma al Cremlino, nell’attivare la guerra della memoria, in specie con i Paesi vicini, godono nel ferire i polacchi, per nulla importandosene della verità della Storia. E siccome è in atto il tentativo del centralismo moscovita di riportare in auge la figura di Stalin, il ripulirne i baffi deve prevedere una radicale “rilettura” di accadimenti tragici che lo hanno visto indiscusso e terribile protagonista. Come è successo con i massacri di Katyn, la scena tragica è quella degli ufficiali polacchi finiti con colpi di pistola alla nuca.

Czapski ufficiale nell’esercito polacco
disegni dal taccuino

L’inganno del negazionismo
A ottant’anni da quel ritrovamento che ancora offende ragione e cuore, per non mettersi di traverso alla Storia e, al contempo, rifuggire dai metodi negazionisti di qualsivoglia provenienza, rimane imperdibile la visione di un film sconvolgente firmato da Andrej Wajda nel 2007 intitolato proprio Katyn (che il CMC contribuì a diffondere nelle Sale cinematografiche), lui che vi aveva perduto suo padre in quel bosco della vergogna.
Così, adesso, vi è l’opportunità di immergersi nella lettura de “La terra inumana” (uscito per Adelphi, con la partecipata e precisa traduzione di Andrea Ceccherelli e Tullia Villanova), romanzo straordinario e sconosciutissimo di Józef Czapski (eccellente scrittore e pittore polacco vissuto tra il 1896 e il 1993), all’epoca ufficiale polacco in Urss (dalla prigionia nei duri campi sovietici all’improvvisa liberazione, dopo il tramonto del patto Molotov – Ribbentrop e l’accordo fra Stalin e Sikorsky) con il compito affidatogli dal governo polacco in esilio di andare alla ricerca di migliaia di ufficiali polacchi che erano come spariti nel nulla.
E che, in gran parte, verranno rinvenuti proprio a Katyn, i sommersi recuperati a Katyn. Eppure, scrive «l’idea che molte migliaia di prigionieri di guerra potessero essere state deliberatamente uccise non ci passava neanche per la testa, allora; chiedevamo di loro ogni giorno, con ostinazione, a tutti, non dando credito neppure alle prime voci che parlavano di una loro eliminazione di massa ‘a freddo’ da parte da parte delle autorità bolsceviche».
Nel gulag di Grjazovec (Russia settentrionale) riuscì a salvarsi pur vivendo in condizioni di continua violenza e privazione.
Czapski, nel corso dell’inverno del 1940 – 1941 tenne delle conferenze su Marcel Proust lo scrittore che più amava con Tolstoj trale mura di una chiesa abbandonata che stava ancora in piedi per miracolo. Certo non possedeva copia della Recherche e così, per far rivivere il capolavoro a beneficio dei compagni di gulag, ricorse esclusivamente alla sua memoria.
Furono lezioni memorabili che si possono leggere in “Proust a Grjazovec”, sempre per Adelphi.

Un dipinto di Czapski

Annientare la memoria
Quello di Czapski è un viaggio dolorosissimo in quella terra che gli appare infinita per quanto è vasta. Un’odissea nella miseria generalizzata, nell’incontro quotidiano con l’umano calpestato con ineffabile pervicacia. Tuttavia, se il programma di annientamento umano si compie, qualcosa di autentico vi si oppone. La resistenza è nei gesti, nelle parole discrete, negli sguardi fieri di donne e uomini che stupiscono l’autore e fanno breccia in noi lettori. Quante storie il libro racchiude, rese con indiscutibile talento; senza pericolo di essere smentiti l’opera vale quella di un Grossman piuttosto che di un Josip Mandelstam: ma dove ti eri nascosto Józef Czapski? Scoprirne il valore letterario – uno scrittore così aggrappato alla verità della vita – di questi tempi troppo guerreggianti si rivela come un dono prezioso. Da fare nostro per non assecondare il rito perverso della guerra della memoria, ma per attingervi, quale lievito madre, per stare nel presente da uomini liberi. Perché la smemoratezza genera un umano inumano. Che fa comodo. Non solo a Mosca.    

Josef Czapski