Il vagito della speranza

Anche nei momenti più oscuri, come quello che il mondo sta sopportando, è possibile vivere l’esperienza della speranza. Che non è un richiamo aleatorio per farci forza. E neppure va confusa con l’ottimismo destinato sempre a deludere. La speranza è altro. È un fatto che sta mani e piedi nella storia. Un fatto che richiama la centralità dell’avvenimento cristiano. L’avvenimento che poggia su una nascita, su quella Nascita. Il Giubileo della speranza voluto da papa Francesco è proprio quel richiamo così umano a riprendere familiarità con una virtù che desidera la nostra compagnia.



13 dicembre 2024
Indagine rischiosa
Editoriale

 «Come è possibile coltivare la speranza nelle guerre e nei momenti più bui della vita? Io racconto sempre che anche nei momenti più oscuri nella storia, come durante il nazi – fascismo, è possibile la speranza. Anche se il buio non finisce mai perché la guerra c’è sempre, dappertutto, è possibile la speranza». Sono parole di Edith Bruck, scrittrice e testimone della Shoah che, compaiono come premessa nel libro “Facciamo pace? La voce dei bambini sulla guerra” a cura della Comunità di Sant’Egidio per l’editrice Morcelliana.

Il mappamondo che gira… a vuoto
Non è facile coltivare la speranza mentre il mappamondo della storia gira a vuoto, appesantito dalla violenza. E con troppo buio a farla da padrone. E allora? La caduta del dispotico regime di Assad apre a scenari nuovi in Siria, che poi vuol dire Medio Oriente, che poi significa rimandi a questo e quell’impero. O a quel che ne resta. E allora, come la mettiamo con la speranza? Il pensiero di Edith Bruck qualcosa dice, apre alla possibilità che la speranza faccia il suo lavoro di abbraccio all’uomo. E il 24 dicembre, a proposito di questo abbraccio molto fisico, si aprirà il Giubileo 2025 che papa Francesco ha voluto incentrato sulla presenza nella storia – qualora ce ne fossimo dimenticati – della speranza. Alle 19, il pontefice, con l’apertura della Porta Santa della Basilica Papale di san Pietro, inaugurerà questo fondamentale appuntamento. E, in serata, presiederà la celebrazione della Santa Messa vigiliare del Natale del Signore.
Per il popolo cristiano, ma non solo per il popolo cristiano, la speranza è quella virtù che abita il mondo in ragione di quella Nascita. Di quel primo vagito. Di quel Bambino che nasce. E coniugare il verbo al presente è quanto mai opportuno. Papa Francesco ha intitolato il Giubileo “Spes non cunfundit”, cioè la speranza non delude, riprendendo un passaggio della Lettera ai Romani (Rm 5,5). La speranza che non delude fiorisce da quella umile culla, da quel primo vagito, da quel segno di vita. Un segnale confortante, come si dice, per tutti gli uomini di buona volontà.

Ciascuno è pellegrino della speranza
Un gran numero di popolazioni è oppresso dalla brutalità della violenza. Un gran numero di popoli vive prove nuove e sempre più difficili.  Il papa prega affinché questo giubileo trasformi ciascuno in pellegrino della speranza. Ognuno di noi con l’orecchio teso a quel primo vagito. A quel primo vagito che continua a risuonare nel mondo ferito. Perché la speranza è tutt’uno con la Nascita. Perché la speranza è una questione di esistenza. Altrimenti non avrebbe senso invocarla. Il papa sprecherebbe solo il suo tempo. E noi con lui. La speranza è una virtù che incide nella storia. Come un bisturi: taglia e apre al buon fine dell’intervento. Primo Levi, a proposito di chi spera con giudizio: «Chi spera, o mostra di sperare, fa un dono al suo prossimo, ed inoltre contribuisce ad impedire o ad allontanare la rovina del mondo in cui vive».
Come nota lo psichiatra Eugéne Minkowski, la speranza non deve essere sospesa tra le nuvole, al di fuori della realtà, frutto della nostra immaginazione o idea unicamente astratta. Se ne evince che il suo ruolo nell’esistenza è davvero troppo fondamentale perché le cose possano stare così. L’esistenza che ne fosse privata cesserebbe immediatamente di esistere, si ridurrebbe a nulla. O, nella migliore delle ipotesi, a una grigia polvere di fatti isolati, privi di qualsiasi significato.

Lucia Laura Esposto

Il valore rivoluzionario della speranza
E tuttavia, giova ricordarcelo soprattutto oggi, la speranza non è da confondere con l’ottimismo che potrebbe risultare vano. Il filosofo Kierkegaard ha sgombrato il campo dal possibile equivoco: «La speranza è passione del possibile». Che, evidentemente, non può essere tutta farina del nostro sacco. Dipendesse solo da noi sarebbe un guaio. La storia, al riguardo, è impietosa. E non serve neppure tornare indietro, l’oggi è inequivocabile. Certo, una responsabilità a fare nostra la speranza, a viverla come passione del possibile, è cosa buona è giusta. Lo psichiatra Eugenio Borgna ha ragionato molto sulla speranza, dandole un respiro grande, nel dovere che ciascuno ha verso l’altro. Ha parlato di dimensione di comunione. Così: «Abbiamo l’obbligo morale di non lasciar morire la speranza in noi per farla rinascere in chi l’abbia perduta, e in questo senso la speranza ha un valore rivoluzionario: ci inquieta, ci libera da pregiudizi che non ci consentono di cogliere la realtà nella sua spontaneità e nella sua ricchezza umana». D’altronde, aggiunge magistralmente,«nella vita possono accadere cose inattese e incalcolabili, imprevedibili e insperate».
Sperare insperato, dunque. Che è quel vagito di speranza che è quella Nascita. Il mappamondo assai malato necessita della speranza che non delude. È già successo. Succede. Succederà.