Complessità e paradossi
Il potere positivo dell’Europa (e tutti gli ostacoli)

Non ci sono soluzioni facili per affrontate problemi complessi.
Come sostengono i populisti che predicano il rifiuto di cedere qualsiasi sovranità.
Non cogliendo i vantaggi di metterla in comune con altri Paesi per una Ue più autorevole, propositiva. Occorre superare visioni rozze per affermare la centralità di un’Europa comunità, solidale, fraterna. È urgente farlo. Soprattutto in questo momento di tensioni e contraddizioni profonde dove in gioco c’è il destino del Continente. E una diversa concezione del potere


20 maggio 2022
di Gianfranco Fabi

Ci sono tanti modi per cercare di comprendere e magari spiegare il populismo, ma c’è un carattere comune nelle prese di posizione e nelle analisi che ne derivano: il rifiuto della complessità e la difficoltà nell’accettare la logica, talvolta indispensabile, del paradosso. Guardiamo all’Unione Europea e ai singoli stati che la compongono.
Il populista è ostile ad ogni cessione di sovranità e non ammette quello che può sembrare paradossale: cedendo una parte di sovranità e mettendola in comune con gli altri paesi si può ottenere un potere e soprattutto possibilità di manovra ancora maggiori.
Il populista è per sua natura convinto che esistano soluzioni facili per problemi complessi. È vero, esistono, ma sono quasi sempre soluzioni sbagliate. Così come al populista è estranea la logica win win, in cui ci sono scelte che avvantaggiano entrambi i protagonisti.

Rapporto carismatico tra leadership e popolo

La società aperta e l’ordine liberale, che mettono al centro il cittadino, sono visti come una truffa sociale perché il populista ha la convinzione di parlare a nome e per conto della maggioranza: il personalismo è un valore solo per il leader, il popolo va ricondotto all’armonia dell’ordine naturale. Come annotava Nicola Matteucci, politologo, uno dei massimi teorici del costituzionalismo liberale del ‘900 nonché fondatore della casa editrice il Mulino e dell’omonima rivista, liberale il populismo «è caratterizzato da una concezione rozza e manichea dei conflitti sociali visti come un eterno scontro tra predoni e predati». E per Gianfranco Pasquino, anch’egli politologo e accademico di scienza politica, «le politiche populiste si basano sui valori positivi di quell’indifferenziata entità che è il popolo e sulla presenza, o l’asserzione, di un rapporto diretto e quasi carismatico tra leadership e popolo».

Un’Europa comunità

Con queste premesse è chiaro che l’avanzata del populismo, come categoria di giudizio prima che come dimensione politica, costituisce una concreta minaccia alla costruzione di un’Europa unita che, fedele ai suoi principi originari, sappia continuare sulla strada indicata dai padri fondatori. Padri fondatori tanto spesso richiamati e altrettanto spesso strumentalizzati.
E allora merita ricordare che erano un francese, un tedesco, un italiano. Tre uomini provenienti da regioni confine. Perseguitati dal nazifascismo. Con esperienze nei diversi paesi: Robert Schuman, Konrad Adenauer e Alcide De Gasperi.
Non a caso tre politici con radici culturali profondamente cristiane che hanno interpretato quello che settant’anni dopo Papa Francesco ha richiamato con forza e chiarezza in molte occasioni.
Come nella lettera dell’ottobre del 2020 in occasione del 50° anniversario delle relazioni diplomatiche tra la Santa Sede e l’Unione Europea. «Ogni essere umano – ha scritto il Papa – ambisce ad essere parte di una comunità, ovvero di una realtà più grande che lo trascende e che dona senso alla sua individualità. Un’Europa divisa, composta di realtà solitarie ed indipendenti, si troverà facilmente incapace di affrontare le sfide del futuro. Un’Europa comunità, solidale e fraterna, saprà invece fare tesoro delle differenze e del contributo di ciascuno per fronteggiare insieme le questioni che l’attendono, a partire dalla pandemia, ma anche dalla sfida ecologica, che non riguarda soltanto la protezione delle risorse naturali e la qualità dell’ambiente che abitiamo».

Una millenaria esperienza

Due anni dopo è arrivata l’aggressione della Russia all’Ucraina, una svolta storica che ha subito messo a dura prova non solo i principi e i valori di coesione e di solidarietà dell’Europa, ma anche la forza economica e, almeno indirettamente, il potere militare nell’ambito del sistema occidentale.
Una logica ribadita dal presidente del Parlamento europeo, Roberta Metsola, “Ogni Paese – ha detto il 9 maggio in conclusione della Conferenza sul futuro dell’Europa – deve seguire la propria strada, ma non dobbiamo aver paura di scatenare il potere dell’Europa per cambiare in meglio la vita delle persone”.
Nella stessa giornata a Mosca sulla Piazza Rossa sfilavano soldati e carri armati e il presidente russo Vladimir Putin giustificava in modo surreale l’invasione e le distruzioni di un paese vicino.
Un’aggressione che ha subito richiamato il dovere dell’Europa di contrastare la violenza, di “scatenare il proprio potere” per cercare di porre fine alle ostilità.
Ecco le sanzioni economiche, la fornitura agli ucraini di armi e munizioni, le pressioni diplomatiche. Tre interventi con forti limiti.
Le sanzioni rischiano di pesare più su chi le impone che su chi, la Russia, le dovrebbe subire. Le armi si muovono sul fragile equilibrio tra la necessità di bloccare l’aggressore e il rischio di un’escalation capace di provocare ancora maggiori danni alle popolazioni. E le pressioni diplomatiche sono rimaste sostanzialmente inefficaci anche perché l’Europa non è riuscita a trovare una propria strada di fronte alla logica militare di Stati Uniti, Gran Bretagna e Nato.

Marco Vitale, commentando lo scenario di queste settimane ha ricordato le profetiche parole di Romando Guardini: «Io credo – affermava il grande filosofo nel 1962 – che il compito affidato all’Europa, compito il meno sensazionale di tutti, ma che nel profondo conduce all’essenziale, sia la critica della potenza. Non critica negativa, né paurosa né reazionaria; tuttavia, ad essa è affidata la cura per l’uomo, perché essa ne ha provato la potenza non come garanzia di sicuri trionfi, ma come destino che rimane indeciso dove condurrà».
E ancora: “L’Europa ha creato l’età moderna, ma ha tenuto ferma la connessione col passato. Perciò sul suo volto, accanto ai tratti della creatività, sono segnati quelli di una millenaria esperienza. Il compito riservatole, io penso, non consiste nell’accrescere la potenza che viene dalla scienza e dalla tecnica – benché naturalmente farà anche questo – ma nel domare questa potenza».

Libero mercato: equilibri instabili


Il tema del potere diventa centrale nel giudicare, pur con tutta l’umiltà necessaria, l’attuale momento storico.
Un potere che nella società attuale ha tanti aspetti: quello militare, di drammatica attualità; quello politico, con lo scontro tra dittatura e democrazia, tra logiche imperiali e difesa delle identità nazionali (ma senza la tentazione manichea che vede tutto il bene da una parte e tutto il male dall’altra); quello economico, con un sistema di apparente libero mercato con gli equilibri sempre più instabili di un’inflazione galoppante, di una crisi della catena logistica del valore, di una finanza in cui tornano a dominare la speculazione spregiudicata e la separazione tra economia finanziaria ed economia reale.
L’idea di potere è quasi sempre contrassegnata dall’immagine del dominio in una società piramidale con pochi che comandano, nella politica così come nell’economia, e tanti costretti più o meno ad ubbidire e a rispettare la legge del più forte.
È più difficile concepire il potere come dimensione della società, una società che, come diceva Max Weber, «si presenta come il risultato di azioni individuali dotate di senso».

Condivisione e solidarietà

Quello dell’Europa unita è stato e rimane il grande tentativo di esaltare le identità, anche individuali, e condividere i valori. Con un processo che ha avuto alti e bassi, momenti di salti in avanti (come con la creazione della moneta unica) e momenti di profonda crisi (come con la Brexit).
Ma l’Europa è stata fin dall’inizio una dinamica nata con la decisione di mettere in comune il carbone e l’acciaio per poi proseguire cercando sempre un difficile equilibrio tra le politica e le istituzioni.
Jean Monet parlava dell’esigenza di «concentrarsi su di un punto preciso che trascini tutto il resto».
In questa fase il punto su cui concentrarsi è allora quello di riuscire ad affermare i propri valori di condivisione e solidarietà perché il cammino dell’umanità non sia deciso dall’imperialismo coloniale della Russia, dal potere accentrato e repressivo della Cina e dalla forza e dalla logica militare degli Stati Uniti.
“Europa – ha affermato in più occasioni il Papa – ritrova te stessa! Ritrova i tuoi ideali che hanno radici profonde. Sii te stessa!”
C’è un grande spazio per il “sano” potere dell’Europa. Quasi cent’anni fa, nel 1924, Luigi Sturzo scriveva: «Gli Stati Uniti d’Europa non sono un’utopia, ma soltanto un ideale a lunga scadenza, con varie tappe e con molte difficoltà».

Parole profetiche che auspicavano un’alleanza economica, partendo da Francia e Germania. Parole di estrema attualità: contro le sirene del populismo, le tentazioni del disimpegno, i miraggi dei presunti interessi nazionali.