Il noir militante che spezza le verità

Il fascismo di ottant’anni fa che finisce a bastonate un famoso scrittore di gialli: Augusto De Angelis. Il presente dove un affermato regista, dopo anni di silenzio, decide di tornare a girare un film, proprio per portare al cinema la storia piena di ombre di quello scrittore. Per ridare luce a un classico “cold case”. Ma, ad ingarbugliare la realtà, ecco l’omicidio di una vecchia signora, che è stata proprietaria della casa dove vive il regista, praticamente è un dirimpettaio. Ecco un altro giallo. Un altro giallo da risolvere. Alessandro Robecchi con “Le verità spezzate” (Rizzoli) ha l’ambizione di scrivere un romanzo poliziesco dove è centrale il tema dell’impossibile relazione del potere con la libertà della persona e la verità. Ma il suo tentativo va a sbattere contro una costruzione del racconto a tesi. Dove è forte il suo desiderio di trovare analogie tra quel buio passato e l’italico presente. Un deragliamento che nuoce a un romanzo ben scritto ed avvincente



15 novembre 2024
Indagine rischiosa
di Enzo Manes

La primogenitura del giallo italiano appartiene ad Augusto De Angelis (1888 – 1944). È stato molte cose, lui, e tutte inerenti alla scrittura: romanziere, giornalista, commediografo. Visse al tempo del fascismo. E quando si mise in testa di scrivere romanzi gialli con protagonista un poliziotto un po’ fuori dalle righe, non allineato, il commissario De Vincenzi, fece la tragica esperienza della censura di regime.

Le limitative regole del gioco

De Angelis ambientava le storie a Milano, nelle case e per le strade. Storie di morti ammazzati. I protagonisti delle vicende e dei delitti portavano cognomi anglosassoni nel tentativo di rassicurare l’autorità e salvaguardare così il buon nome dell’Italia fascista, Paese che conosceva – per metodo mussoliniano – finalmente la virtù dell’ordine.
Il suo primo romanzo uscì nel 1935, il “Banchiere assassinato”. Ne scrisse una ventina per lo più con protagonista il commissario De Vincenzi. Sottostare alle regole del gioco per mettere insieme storie poliziesche non era affatto semplice: preferibilmente l’assassino non doveva essere italiano e mai doveva riuscire a farla franca perché questo avrebbe screditato le forze dell’ordine. De Angelis, che non intendeva per queste limitazione rinunciare alla stesura di romanzi di letteratura poliziesca, fece il possibile per rimanere entro il seminato, per non dare fastidio ai gerarchi e agli altolocati del ministero della Cultura. Tuttavia, qui e là, qualcosa gli sfuggiva sulla pagina scritta. La creatività ci mette sempre lo zampino. E questo non poteva piacere al regime che nel frattempo andava sempre più incattivendosi. Nel luglio del 1941 il fascismo prendeva la decisione di vietare la pubblicazione di qualsiasi giallo e due anni dopo dispose il sequestro di tutte le opere di quel genere presenti sul mercato e che tanto appassionavano i lettori grazie, soprattutto, alla fortunata collana dei Gialli Mondadori.
Non tirava una buona aria, insomma. De Angelis, che non era certo un esplicito oppositore del regime, respirò a pieni polmoni quell’aria insalubre. E, quasi suo malgrado, finì nella lista degli autori da tener d’occhio. La propaganda stava facendo il suo mestiere. Ricorrendo spesso a modi spicci. Nel 1994, cioè ottant’anni fa, venne brutalmente picchiato sul lungolago di Bellagio in circostanze assai nebulose. A seguito della violenza delle percosse morì nell’ospedale di Como dove era stato ricoverato. Un autore di gialli di un certo successo finito ammazzato per mano di delinquenti. O di una squadraccia fascista che lo aveva individuato e colpito per dargli una lezione? Un giallo nel giallo.

Augusto De Angelis e la copertina di un suo romanzo Giallo

L’assassinio della padrona di casa

Manlio Parrini vive a Milano, è un regista cinematografico che non gira più da diversi anni, dall’apprezzatissimo “Le verità spezzate”. Ora si è convinto a tornare dietro la macchina da presa. Convinto a portare sul grande schermo la vicenda misteriosa di Augusto De Angelis. Ha in animo di realizzare una pellicola sull’impossibilità di essere liberi. Perciò si impegna in un viaggio a ritroso di ottant’anni, aiutato da una giovane e brillante sceneggiatrice, scandito da ricerche storiche, da sorprendenti scoperte, da un’appassionata ricostruzione dei fatti sorretta dal recupero di molti documenti di quel periodo, materiali anche scottanti e inediti, e da verifiche circa il rapporto malato tra fascismo ed imprese editoriali. La libertà non abitava lì.
Le cose, però, si complicano – ecco un altro giallo – quando viene scoperto il cadavere di una vecchia che vive nella villa che ospita, in una piccola ala, l’appartamento dove risiede il regista Parrini. E così abbiamo un giallo nel presente e un giallo che risale a ottanta anni prima. E così il buon Parrini si trova ad accettare di collaborare con la questura, ovviamente in via non ufficiale, per trovare il colpevole del delitto della vecchia, sua vicina di casa; e, al contempo, adoperarsi nelle indagini per scoprire il più possibile sulla morte violenta di Augusto De Angelis.

Fondo Virgilio Carnisio Milano la Darsena da viale Gorizia 1968

Cinema senza verità

Con “Le verità spezzate” (Rizzoli) Alessandro Robecchi ha scritto un noir sorretto da un’avvincente idea di partenza. Due storie, due gialli che solo apparentemente viaggiano in parallelo. Perché si toccano, si compenetrano, si respingono. Come solo succede quando l’argomento di fondo chiama in causa temi alti come la libertà e la verità (il regista Manlio Parrini aveva abbandonato il cinema perché gli sembrava «un posto senza verità»). Robecchi conosce i meccanismi del genere – d’altronde è l’autore dei noir con il personaggio di Carlo Monterossi (anche serie televisiva disponibile sulla piattaforma Prime) il bravo Fabrizio Bentivoglio nei panni di uno svogliato autore televisivo di programmi trash assalito, invece, dal gusto di improvvisarsi detective per venire a capo di grovigli che lo appassionano infinitamente di più).

Il guaio dell’impalcatura ideologica

Robecchi ha chiaro l’obiettivo: portare a casa quel che ha in mente, portare a casa una storia che sia un j’accuse rispetto alla stagione politica che si sta vivendo in Italia. Ed è qui che inciampa. Perché anziché lavorare sulla storica idiosincrasia del potere verso la libertà della persona e verso la verità Robecchi, per così dire, riduce l’antica e immortale lotta a questione di bottega. Come se proprio adesso, proprio in questa Italia, fosse divenuto più acuto il problema. Come se il fascismo di ieri, il fascismo di cui fu vittima Augusto De Angelis, avesse ripreso forza nel nostro italico presente.
Dunque, l’inciampo di Robecchi ha origine nel suo non riuscire a liberarsi dall’impalcatura ideologica (impalcatura assai evidente nei testi che scrive per gli spettacoli di Maurizio Crozza). E questo è un peccato. Perché il romanzo ha qualità, la trama è avvincente, i dialoghi efficaci. Come il lavoro svolto per la ricostruzione storica. L’impressione è che Robecchi stesso abbia concorso a spezzare le verità per seguire la strada pericolosa del noir militante.
Oltre al più sopra accennato, c’è dell’altro di buono che certamente rimane tra quelle pagine chiare e pagine scure. Robecchi va ringraziato per aver acceso il desiderio di andare a leggere o rileggere qualche romanzo poliziesco di Augusto De Angelis (i romanzi disponibili sono pubblicati da Sellerio). Per incontrare il commissario De Vincenzi, capo della polizia, uomo colto, anche poeta, dotato di buona ironia e di una non banale gentilezza. E, per quel che poteva, uomo libero impegnato, quotidianamente, nella ricerca della verità. E, probabilmente per queste ragioni, eliminato a colpi di bastone