I cattolici e l’inganno bipolare

Sono numerose le analisi in merito a a dove si collocano i cattolici nell’orizzonte politico/partitico. Di norma prevale lo schema classico e forse un po’ vecchio di chi li circoscrive in due aree precise: la destra conservatrice e il centro – sinistra progressista. Una riduzione che non giova e che diventa elemento di discussione dentro la gerarchia e la Chiesa stessa. Così interpretando si viene a favorire una strumentalizzazione della fede ad uso e consumo dei partiti. Così facendo si svuota l’autenticità del sempre vero “la fede diventa cultura”. Gli schemi non funzionano mai. In modo particolare quelli vecchi. E non è certo un elemento di debolezza e confusione quella fludità che prova a superare logiche ingessate. Dalle realtà cattoliche potrebbe venire un suggerimento adeguato e contemporaneo di vivere l’impegno pubblico nella società. Più che in un’unanimità politica irraggiungibile. Prima puntata di una riflessione ad ampio respiro  


di Alessandro Banfi

7 ottobre 2022

 

Fatalmente, prima e dopo le elezioni politiche italiane, si parla di “voto cattolico”. La tendenza generale, ben rappresentata dalle scelte del Corriere della Sera, è quella di riproporre nel dibattito politico culturale il vecchio schema post democristiano (che risale infatti agli anni Novanta) di divisione in due del mondo cattolico: progressisti contro conservatori.

E infatti prima delle elezioni si sono pronunciati sul giornale di Via Solferino Andrea Riccardi, fondatore, e tuttora leader morale della Comunità di sant’Egidio ed il professor Ernesto Galli della Loggia, storico osservatore laico delle cose cattoliche, da sempre grande ammiratore del cardinal Camillo Ruini.

Lo schema è quello classico: per il primo “la fede che diventa cultura” deve portare agli ultimi e ai fragili. Per il secondo la destra conservatrice difende valori cari ai cattolici, anche se l’espressione non è più quella dei valori non negoziabili, ma lo slogan usato riguarda la “questione antropologica”.

Curiosamente, resta il fatto che il bipolarismo nel mondo cattolico diventa subito un’occasione anche di divisione dentro la gerarchia e la Chiesa stessa: o di qua o di là. Detta brutalmente: o con i rossi o con i neri.

 

L’uso delle religioni

 

Come ha acutamente notato lo stesso cardinal Matteo Zuppi, che pure viene dall’esperienza di Sant’Egidio, non a caso proprio in un’intervista al direttore dell’Osservatore Romano, il giornale di papa Francesco: «La polarizzazione usa le religioni perché ancora oggi possono smuovere grandi passioni».

E ha aggiunto, rispondendo a una domanda sulla strumentalizzazione della fede da parte della politica e del rapporto tra Chiesa e temi etici: «Non possiamo limitarci a ripetere le lezioncine del passato, ma dobbiamo trovare nuove parole per nuove domande. Con molta franchezza: se sui temi etici il mondo va da un’altra parte vuol dire certo che non dobbiamo omologarci o dire quello che il mondo vuole sentirsi dire ma sapere dire le verità di sempre nella cultura o nelle categorie di oggi».

 

La politica usa la religione, l’etichetta cattolica, per i suoi fini. Che senso ha oggi questa etichetta, per di più divisa fra destra e sinistra?

Sergio Belardinelli già sul Foglio del primo settembre scriveva: «Siamo sicuri che la “fluidità” (mancanza di schieramento a priori in uno dei due poli ndr) di cui stiamo parlando sia politicamente un male? (…) In una società plurale, liberale e democratica faccio fatica a pensare che esista una politica “cattolica” o che i cattolici a priori debbano votare questo o quel partito; esiste invece una buona politica, che ovviamente può essere ispirata anche da idee cattoliche, ma il cui banco di prova è dato principalmente dagli obiettivi concreti che persegue e dalla competenza e dal realismo con cui questi obiettivi vengono perseguiti. Ciò che voglio dire è che non esiste, almeno secondo me, una politica cattolica dell’istruzione o dell’immigrazione (scelgo ostentatamente questi temi perché sappiamo tutti quanto essi stiano a cuore ai cattolici), ma semplicemente una buona o una cattiva politica.

Questo almeno mi sembra l’esito auspicabile di una secolarizzazione che abbia fatto serenamente il suo corso. Per questo ritengo e spero che, quando si tratta di votare, anche i cattolici, come tutti gli altri, votino semplicemente il partito che in coscienza ritengono meno peggio».

La critica che mi permetto di rivolgere a Riccardi e Galli della Loggia è quella di essere troppo rivolti al passato, sottovalutando ciò che è avvenuto davvero almeno negli ultimi dieci anni nel mondo cattolico e nella Chiesa italiana.

Quella rivoluzione silenziosa che il pontificato di papa Francesco ha prodotto nei cattolici.

Una rivoluzione che ha contribuito a quel rifiuto del vecchio bipolarismo manifestato da milioni di persone in occasione del voto e che sta segnando profondamente la storia politica del nostro Paese.

 

Sulla linea tracciata da papa Francesco

 

I Movimenti nella Chiesa, in particolare Comunione e Liberazione almeno dal famoso articolo di Julian Carron del primo maggio 2012 su Repubblica, ma anche i cattolici delle parrocchie o quelli impegnati, ad esempio, nel Forum delle Famiglie, si sono liberati, spesso con sollievo, dello schierarsi pregiudiziale in politica e del conseguente ricatto che quello schierarsi implicava.

Hanno esercitato nei fatti una libertà di movimento e di dialogo con tutti gli interlocutori, molto più serena e realistica di un tempo.

Ottenendo dei risultati concreti: basti pensare alla legge sull’assegno unico e al Family Act (votate da tutti i partiti, con la sola astensione di FdI al Senato) o al lavoro di Gabriele Toccafondi sulla legge che riguarda il fine vita. Non lo hanno fatto per una maturità improvvisa, ma seguendo la linea tracciata da Papa Francesco.

Il suo insegnamento, sempre spiazzante rispetto ai vecchi schemi, si è rivelato molto più adeguato dei vecchi strumenti per la presenza in una società secolarizzata.

I cattolici si sono sentiti più liberi di non essere una realtà “giudicante” rispetto al mondo, ma una presenza “vicina”, amica nei confronti di un uomo contemporaneo spesso sofferente.

L’unità dei cattolici si realizza così, in tutta evidenza, prima nel campo sociale e dell’impegno civile (e di pace), più che in un’unanimità politica irraggiungibile.

L’indicazione dell’articolo di Davide Prosperi, Presidente della Fraternità di Comunione e Liberazione, sprona a prendere “da subito sul serio il richiamo della Chiesa a tutti i cattolici ad implicarsi concretamente nella costruzione del bene comune” e specifica che “la nostra unità non è definita dal punto di arrivo – cioè dal fatto di trovarci necessariamente concordi su cosa votare o sull’identificare l’esito elettorale più soddisfacente –, ma dal punto di partenza” (…) “un ideale di società che ha il suo spunto iniziale nel riconoscimento di un bene possibile per ogni persona” (…) certi di una Presenza che rende possibile guardare l’altro per il suo destino”.

 

Il mondo cattolico italiano è andato da tempo oltre il vecchio bipolarismo ed è nei fatti molto più vicino e in sintonia con Papa Francesco, che ha scardinato questa “polarizzazione forzata”.

È un tempo in cui la Chiesa stessa rifiuta la strumentalizzazione della politica come arma di ricatto e di freno per la presenza della “minoranza attiva” dei credenti in un mondo scristianizzato.

È un tempo in cui i credenti sentono il dovere di essere “ospedale da campo” per tutti, liberandosi dall’idea di costruire fortezze orgogliose, uscendo da presunti monasteri identitari in cui rinchiudersi.

La scorsa settimana sono stato invitato a Piacenza per un corso di aggiornamento ai giornalisti, mi ha colpito che l’ultimo numero del settimanale diocesano Il nuovo giornale avesse un editoriale, di commento al risultato elettorale, in cui si citava don Luigi Giussani e il suo invito a “ricominciare da Uno”.

“La vera sfida”, ha scritto il direttore don Davide Maloberti, “era ritrovare l’Uno, Cristo, l’uomo nuovo, il Salvatore, colui che dà un senso alla storia e può rendere di nuovo innamorati della vita, pronti a spendersi fino in fondo, a generare vita”.  

Gianfranco Brunelli direttore de Il Regno – “la voce più rilevante e intelligente del cattolicesimo progressista italiano”, secondo la definizione di Sandro Magister –  ritiene che l’unica vera risposta al “cambio antropologico radicale in atto” sia “ripartire da una prima evangelizzazione o alfabetizzazione della fede”, in altre parole “ripartire da Dio”.

Ha detto in un’intervista ad Angelo Picariello su Avvenire: “La Chiesa, come aveva biblicamente intuito il cardinal Martini, deve ripartire da Dio. Di per sé non basta neppure il modello caritativo, che pure rappresenta la grande risorsa linguistica che ha la Chiesa oggi.

Quel modello è la porta di ingresso dell’umano, il luogo nel quale si manifesta il segno della grazia, ma esso necessita di una meditata consapevolezza spirituale. L’incontro con un fratello consiste nella gratuità, che attesta la gratuità di Dio.

La consapevolezza del cristiano origina non solo la sua vicinanza all’altro, ma il senso di quella vicinanza”.

 

Il fermento della società

 

Ragionando in termini politici, l’analisi del voto degli italiani ha confermato la forte spinta a rifiutare il bipolarismo partitico, almeno nella sua vecchia interpretazione. Lo ha notato un commentatore esperto come Antonio Polito sul Corriere della Sera: con le elezioni del 25 settembre gli elettori hanno liquidato una fase politica italiana. Il voto ai 5 Stelle e al Terzo Polo di Renzi/Calenda, ma anche un certo modo di far prevalere la sola Giorgia Meloni, ha messo in soffitta il sistema dei due poli alternativi ed ha aperto una domanda di cambiamento di sistema alla quale leader e partiti dovranno rispondere nei prossimi mesi.

L’analisi sociale del voto indica nei giovani e nelle aree metropolitane attive la zona della società più in fermento in questa chiave.

Sarebbe assurdo pensare che i cattolici siano estranei a questi movimenti profondi della società italiana, ne sono anzi una parte non secondaria.

Anche il dibattito politico culturale sulla presenza dei cattolici dovrebbe tener conto di questi passaggi e non rimanere bloccato su vecchi schemi e vecchi modelli interpretativi.

Noi di “.Con” proveremo a dare il nostro contributo in questo senso.

 


Immagini:

– (3) Cardinale Matteo Zuppi, Presidente della CEI, Arcivescovo di Bologna
– (5) ©Giovanni Chiaramonte, Venezia – Esposta alla Mostra Realismo infinito, Fondazione MIA – Monastero di Astino