Giussani moderno: rivivendo la bellezza di quell’unico incontro

Il professor Sergio Belardinelli ha scritto recentemente su “Il Foglio” dell’unica volta che ha incontrato don Luigi Giussani. In un convegno promosso dalla rivista filosofica “La nottola”. Era il 1986. Giussani tenne una comunicazione sul potere e la politica. In particolare, sulla crisi della politica. Definendola una crisi culturale e antropologica. Colpiti da quel ricordo vivo espresso da Belardinelli, lo abbiamo sollecitato a riprenderlo. Per un dialogo sull’attualità del pensiero e del metodo del sacerdote ambrosiano. Della sua originalità e contemporaneità. Con il dono della semplicità. E, soprattutto, di cosa gli ha lasciato dentro, “cosa ha significato per me”, nel suo cammino di filosofo appassionato della realtà.


2 dicembre 2022
Conversazione con Sergio Belardinelli a cura di Nicola Varcasia

Qualche settimana fa, il quotidiano Il Foglio ha ospitato un articolo in cui il professor Sergio Belardinelli raccontava del suo incontro con don Luigi Giussani, avvenuto in un convegno organizzato dalla rivista filosofica La Nottola nel 1986. Dopo aver esplicitato alcuni punti della relazione sul “potere” che Giussani tenne in quella occasione, l’articolo si conclude così: “La crisi della politica di cui oggi tanto si parla è dunque molto di più che una crisi politica; è una crisi culturale e antropologica, sulla quale don Giussani ha avuto il merito di insistere anche quando, fuori e dentro la Chiesa cattolica, erano in pochi a rendersene conto. Purtroppo, non mi pare che questi pochi siano oggi cresciuti di numero”.

Ritrovare il pensiero di Giussani attraverso alcuni suoi amici

È sorta perciò la curiosità di chiedere di più al professor Belardinelli: su quell’occasione, rivelatasi l’unica nella sua vita in cui ha incontrato di persona Giussani; sulla crisi antropologica e su come affrontarla oggi, culturalmente parlando; e su come fare, insomma, a che quei “pochi” diventino di più. Ne è nata una conversazione ricca di aneddoti e riflessioni, partita con quella che potremmo definire una questione di metodo: “L’unico modo serio per parlare di don Giussani è parlare di qualche esperienza personale fatta grazie a lui. Nell’incontro di Torino ho parlato di quello che Giussani ha significato per me”.
Breve riassunto delle puntate precedenti. L’articolo del Foglio è stato, a sua volta, la sintesi di una relazione tenuta a un convegno torinese dedicato ai “profeti del nostro tempo”, nel quale si parlava di Chiara Lubich e di Giussani e a Belardinelli era stato chiesto di parlare di quest’ultimo: “Non avendo altri livelli di rappresentazione adeguati al personaggio, ho pensato di metterla sul piano dell’incontro personale, parlando di che cosa ha significato per me don Giussani, a partire dai tempi in cui lo sentii nominare la prima volta, quanto entrai in università, a Perugia, nel 1971”. In provincia, ricorda il professore, nato e tuttora abitante a Pergola, nelle Marche, negli anni del liceo si parlava poco o nulla di Cl e dei movimenti in generale. È soprattutto al suo rientro stabile in Italia, da giovane professore universitario, nel 1981, dopo aver “pendolato” tra gli atenei di Monaco e Trieste con i primi incarichi accademici, a ritrovare il pensiero di Giussani attraverso vari amici tra i quali Rocco Buttiglione, in quegli stessi anni docente a Urbino, e don Francesco Ricci, “uno dei personaggi più affascinanti che abbia mai conosciuto tra quelli appartenenti al movimento, del quale io non ho mai fatto direttamente parte”.

Sergio Berlardinelli al CMC – Dialogo su Minima Moralia di Adorno, 2015

Occuparsi dell’esistenza di Dio interessava poco ai cattolici

Ed è ricordando quel periodo che si torna alla rivista La Nottola – pubblicata dall’82 all’87 assieme al collega dell’università di Perugia, Luigi Cimmino – in cui Belardinelli coinvolse il suo “mentore” Nikolaus Lobkowicz che alcuni anni prima, da borsista della “Alexander von Humboldt Stiftung” a Monaco di Baviera, gli aveva fatto conoscere il grande filosofo Robert Spaemann e molti dei suoi allievi.

Non male per un’avventura editoriale la cui redazione aveva sede “nel corridoio di ingresso della casa parrocchiale di Pergola” ma che ebbe il pregio di far apparire “i primi articoli su Hannah Arendt in Italia e il primo su John Rawls”, senza dimenticare il primo fascicolo dedicato alle prove dell’esistenza di Dio di San Tommaso d’Aquino, che potremmo definire un esempio di cultura underground cattolica: “Agli inizi degli anni 80 la cultura italiana era tutta accartocciata sui temi dell’egemonia della cultura di sinistra e del marxismo, dove bisognava leggere solo certe cose.
Le prove dell’esistenza di Dio non interessavano nemmeno ai cattolici: anche chi le guardava con simpatia considerava il fascicolo della nostra rivista al più un gesto dadaista, chi invece le guardava con sussiego, ci insultava”.
Fatto sta che è proprio grazie alla Nottola e alla collaborazione con la Fondazione Adenauer che si diede vita a una serie di iniziative culturali a Cadenabbia, tra le quali quella dedicata alle crisi della cultura europea a cui partecipò Giussani.
Finiti gli antefatti, arriviamo al punto: “Da parte mia non si tratta di voler beatificare niente e nessuno, ma da giovane professore universitario sentivo l’eco dei dibattiti in Cl e l’eco di quelli nell’università e resto convinto che fossero veramente su un altro pianeta. Prendiamo il modo di discutere della modernità. Allora, seppure per motivi diversi, chi ne parlava la guardava soprattutto con ostilità. Si pensi al successo della famosa “Dialettica dell’Illuminismo” di Adorno e Horkheimer (intervento di Belardinelli al CMC su Adorno).

Nell’ambito di Cl, invece, certe letture attente alle ambivalenze della modernità tipo quelle che ne facevano due grandi pensatori come Spaemann e Lobkowicz, erano già acquisite”.

don Luigi Giussani, raduno a Varigotti – Foto ©ElioCiol

Le grandi sfide culturali di oggi

Il ragionamento prosegue sul tema del moderno ma punta al contemporaneo: “In un mondo in cui, tutto sommato, i cattolici o erano antimoderni, oppure della modernità tendevano ad assecondare più del dovuto, avere un luogo dove si cercava di cogliere ambivalenze, rischi e opportunità del moderno era decisivo. Questo per me ancora oggi è un atteggiamento mentale che cerco di mettere in pratica.
Ovviamente la modernità presenta anche dei limiti, però, francamente, non sono disposto a cedere neanche un millimetro sul fatto che la modernità ci abbia portato qualcosa di molto importante”.
L’idea dell’inviolabile dignità e libertà di ciascuno, per fare solo un esempio, è un patrimonio che è stato sviluppato dalla modernità. Certo essa ha potuto svilupparlo grazie alle sue radici cristiane. Ma bisogna anche dire che il cristianesimo non è sempre stato all’altezza di ciò che aveva preparato culturalmente.
La vicenda tragica della modernità politica, la sua connotazione liberale e democratica per intenderci, consiste non a caso proprio nel fatto che, resa possibile principalmente dal cristianesimo, alla fine si è realizzata avendo contro la chiesa cattolica. Non solo per colpa della chiesa cattolica ovviamente, ma certamente anche per colpa della chiesa cattolica.

E forse qualche barlume di consapevolezza in ordine a queste considerazioni allora in Italia circolava soltanto in Cl. Questa è una delle ragioni per cui non finirò mai di essere grato a Giussani e al movimento”.

Come si gioca questa consapevolezza nelle grandi sfide culturali e sociali del presente?
Occorre riscoprire il tema della centralità dell’uomo e del rischio a cui è esposto rispetto al potere: “L’alternativa vera al potere può essere solo la religiosità autentica, cioè un rapporto autentico dell’uomo con Dio, diceva Giussani. E questo per me è attuale oggi più di ieri”.
Non tanto perché lo sganciamento dell’uomo da Dio oggi potrebbe sembrare un po’ più marcato di ieri, un dato di cui si parla molto, ma del quale forse non possiamo essere così sicuri, visto che nessuno, a parte Dio, è capace di guardare nel nostro cuore ma per l’altro lato del discorso: “I poteri che oggi abbiamo intorno sono più potenti, pervasivi e pericolosi di quelli di ieri e una rivendicazione della centralità dell’uomo, la sua non riducibilità a istanze di qualsiasi tipo, culturali, materiali o biologiche, mai come oggi avrebbe bisogno di essere enfatizzata.
Noi oggi sappiamo che ciò che è massimamente minacciata è proprio la nostra dignità e la nostra libertà: strumenti tecnologici potentissimi sono una grande opportunità, ma possono diventare anche un grande pericolo. Ciò che riesce a curvare il discorso verso il positivo piuttosto che verso il negativo può essere soltanto una consapevolezza chiara di che cosa siamo e soprattutto di cosa non vogliamo diventare. E questo è un problema massimamente antropologico prima ancora che scientifico o politico”.

Vaclav Havel, Praga 1989, dimostrazione a Piazza Venceslao

Certe evidenze elementari

C’è un’emergenza dell’umano sulle cose che va salvaguardata oggi più di ieri. Soprattutto bisogna ritornare ad alcune evidenze fondamentali che ci consentono di affermarla, senza alcuna preoccupazione di apparire ingenui: “Come diceva Robert Spaemann ai suoi studenti ogni anno all’inizio del suo corso: la filosofia è una forma di ingenuità istituzionalizzata. In un mondo iper complesso, la funzione dei filosofi è quella della fanciullina della favola di Andersen. Gridare ad alta voce quello che è sotto gli occhi di tutti, ma che nessuno dice. Nel caso della fanciullina, che il re è nudo. Credo che proprio quando il mondo si fa complesso e per certi versi pericoloso non bisogna perdere di vista certe evidenze elementari, banali, ingenue, ma evidentissime”.
Anche questo in fondo, conclude Belardinelli, è un altro grande tema giussaniano: “È una forma di fedeltà alla realtà. È un modo di essere realisti ed esserlo è anche un’importante istanza morale”.
Un concetto ribadito anche nel libro All’alba di un nuovo mondo scritto con Angelo Panebianco:
“Non c’è niente di più immorale che parlare della realtà inventando ciò che ci fa comodo, magari anche con le più buone intenzioni. Sul piano politico, ad esempio, ciò significa che quando si fanno promesse che si sa di non poter mantenere, quando si semplifica la complessità del reale, e si potrebbero fare mille altriesempi, in questi casi si compie un reato di lesa realtà”.
In un altro libro appena dato alle stampe “L’inesauribile superficie delle cose” (titolo ispirato a una frase di Palomar di Italo Calvino), Belardinelli sviluppa ulteriormente il concetto: La dietrologia è la peggiore menzogna in politica: in politica, è la lezione di Hannah Arendt, bisogna guardare quello che si vede. Che è già sufficiente. Non c’è bisogno di fare i complottisti. La realtà è già eloquente in quello che mostra. È un principio politico ma è anche una posizione ontologica, è un modo di essere realisti”. Che ci fa guadagnare anche una certa leggerezza: “Per essere fedeli alla realtà, la prima cosa che dovremmo capire è che essa non dipende mai totalmente da noi, la nostra è sempre una responsabilità limitata. Di questa dovremmo sentirci responsabili veramente.

Luigi Giussani

Non dipende da noi come andrà il mondo, però dipende da me se aiutare o no quel disgraziato che in questo momento inciampa e ha fame. Invece vedo uno slittamento della nostra attenzione verso il destino del mondo che tutto sommato potrebbe essere anche piuttosto comodo”.
Tornando a Giussani e al suo incontro con lui, la conclusione non può che essere un nuovo inizio: “Non voglio insegnare niente a nessuno, tantomeno su un uomo come Giussani che è il padre di molti che hanno diritto di considerarlo padre molto più di me.
Personalmente, quello che ho sempre ammirato in lui è la sua straordinaria capacità di essere diretto, mai oscuro o enigmatico. Anche quando affrontava i temi più difficili, quello che colpiva era la lucentezza e la semplicità delle sue parole. Questa la considero una grande virtù, sebbene oggi vadano di moda altre retoriche. In ogni caso è di questa lucentezza e semplicità che ho massimamente nostalgia. Parole semplici, chiare, persino ingenue e proprio per questo profondissime”.
Sergio Belardinelli, autore, docente di ideologia e società nel mondo globale a Forlì