“Fabio, chi?”

Voti a perdere

Un voto molto basso manda in tilt l’allievo: appena sopra lo zero, inviato in modalità elettronica. Nessun rapporto. Nessuna motivazione spiegata… in faccia. Così per vedere come si possa procedere per tirarsi fuori dall’incubo. La questione dei voti bassi, troppo bassi, fa discutere. Ma nel “dibbattito” ci si ferma lì. Un po’ sterile, no? Non è che a essere sterile è l’insufficiente dialogo, cioè l’assenza di conoscenza tra prof e studenti? E se anche gli studenti dessero i voti agli insegnanti cosa ne verrebbe fuori?  


24 febbraio 2023
di Paolo Covassi

Marina Lorusso – New York 2014 – Iconphotos Courtesy

Fine ottobre. Entro nella mia seconda geometri e alcuni chiari indizi mi fanno capire che hanno appena finito una verifica: aria pesante con percentuale di ossigeno inferiore al 2%, banchi sistemati a scacchiera, facce stravolte e tutti in piedi. Mentre penso che ci vorrà un po’ per poter cominciare a fare lezione spalanco una finestra. Meglio, molto meglio. Dai commenti capisco che hanno appena finito una verifica di inglese, bestia nera… nerissima. Mentre a gruppetti cercano di capire se hanno risposto correttamente alle varie domande mi colpisce una presenza immobile alla mia destra: Fabio è fermo, con lo sguardo perso nel vuoto e un’espressione tra lo scoramento e la depressione.
Cerco di tirarlo su come posso: “Hei Fabio, tutto bene? È l’inglese che ti fa questo effetto?”
Si riprende un po’ ma si muove solo quanto basta per guardarmi, sembra ripensare alle mie parole per poter rispondere: “Eh sì, no, tutto bene. Anzi, no, però inglese… dai, lì non ho molti problemi, me la cavo”. Dalla confusione della risposta capisco che comunque qualcosa che non va c’è eccome. Mi avvicino, anche se non è il tipo cerco di capire se ha fumato qualcosa di sbagliato o simile, ma no, non è così (purtroppo riconoscere gli effetti delle canne sui miei alunni è un talento che ho dovuto affinare negli ultimi anni…) e mi fermo davanti a lui con un’espressione interrogativa.

Avrò chimica a settembre

Chimica? Ma come, non hanno appena fatto la verifica di inglese? E poi siamo a fine ottobre, mi sembra decisamente prematuro! Esprimo ad alta voce le mie perplessità, ma Fabio mi guarda con un’espressione distrutta: “Prof, ho preso uno nella verifica di chimica. Uno! Capisce? E io quando lo recupero? Non ci provo neanche.”

Qui si parte dal due

Fabio è un bravo ragazzo, non si ammazza di studio ma è sicuramente tra i più svegli; eppure ora, davanti a me, vedo lo smarrimento più completo. Se non ricordo male il nostro regolamento di istituto prevede che si possa (si possa, sottolineo) dare uno a chi si rifiuta volontariamente di svolgere la prova o di uscire interrogato. Insomma, con nome e cognome sul foglio si parte da due…
Cerco di sollevare il morale del povero Fabio con una serie di frasi più o meno fatte, intanto recupero la mia postazione in cattedra e cerco di ricomporre la classe. La lezione che segue non è certo delle più memorabili, anzi, i continui richiami e il viavai verso il bagno non aiutano ma la campanella dice che anche oggi siamo arrivati a fine giornata. Mentre i ragazzi sciamano lanciando saluti casuali io sistemo i miei libri, spengo il computer e quando alzo la testa mi trovo Fabio con giacca, zaino sulle spalle e sguardo perso (ma un po’ meno di prima) che mi chiede: “Lei è il coordinatore, vero? Non è che potrebbe parlare con la prof?”
“Ma senti, era un compito così disastroso? Hai provato a chiedere alla prof? Magari…”
“No, il compito non l’ho neanche visto. Ha caricato i voti sul registro elettronico ma non ce li ha portati ancora. Quindi le parla lei? Io non ce la posso fare”
Penso che a volte difendere la nostra categoria sia veramente difficile, così come preferirei chiudermi le dita nella portiera dell’auto piuttosto che affrontare la collega su un tema così delicato, ma capisco anche che non ho molte alternative. Più per sollevare il povero Fabio che per senso del dovere accetto: “Va bene, proverò a parlarle, però non so… non credo che possa cambiare qualcosa”. Evidentemente dopo il mio “va bene” Fabio non mi ha più ascoltato, ha dato impercettibili segni di ripresa del colorito facciale ed è uscito.

Il voto sullo smartphone

Recupero lo zaino e mi avvio verso la sala professori, è incredibile la velocità con cui la scuola si trasforma da alveare a relitto abbandonato… e in fondo noi non siamo così diversi. A volte basta un attimo, un contrattempo, una parola detta male e subito tutto cambia; un po’ come la faccia di Fabio, che si è spenta appena ha visto il voto sul suo telefono. Meno male che mi sembra un ragazzo “solido”, invece tanti ragazzi sono così fragili e, talvolta, di una fragilità nascosta, che è la peggiore. Sembra che non gli importi nulla di niente e di nessuno, meno che mai della scuola, poi di fronte a un brutto voto crollano come travolti da un fallimento irreversibile. Che responsabilità che abbiamo… la prima è far capire che non valutiamo le persone, ma ciò che hanno imparato, i voti non dovrebbero essere delle fotografie impietose ma dei segnali che ci guidano lungo un percorso. E mentre sono immerso in questi pensieri la vedo: la collega di chimica. Non la conosco molto, anche perché è arrivata a metà dell’anno scorso e non abbiamo mai avuto motivi di incontro. Non vorrei farlo, ma l’ho promesso a Fabio, così allungo il passo.
“Ciao, sono Paolo, il coordinatore di seconda (giusto per dare un’impronta ufficiale a quello che sto per dire). Volevo dirti che ho parlato un po’ con Fabio, è rimasto molto scioccato dal voto che ha preso nella tua verifica. Mi chiedevo…”
“Fabio chi?”
“Sì scusa, Fabio Giannelli, il ragazzo di seconda…”
“E che voto ha preso?”
“Eh, gli hai messo uno”
“Se gliel’ho messo si vede che se lo è meritato”
“Sì, beh, non voglio entrare nel merito, però sai in questa scuola c’è un criterio di assegnazione dei voti e uno è destinato a chi si rifiuta di svolgere la prova. Siccome non mi sembra questo il caso volevo chiederti…”
Si ferma di scatto, mi fissa: “Ma a te che te frega scusa?”
“Se tu gli avessi dato di persona quella verifica, guardandolo in faccia, sapresti cosa me ne frega. Se tu pensi che la sua verifica, che la sua conoscenza di quegli argomenti sia da uno va bene, benissimo, ma lui ha tutto il diritto di chiedere dove ha sbagliato e come fare a recuperare. Tu non sai neanche chi è!”
“Io ho il mio metodo. Io non ti vengo a dire come fare il tuo lavoro, tu fai lo stesso con me. Se questo ragazzo non è in grado di studiare che cambi scuola, a me non interessa. Mi pagano, pure poco, per insegnare chimica e fisica non per altro.” Quindi si girà sui tacchi e se ne va.

I ragazzi del Coro – Dal Film Les Choristes di Christophe Barratier

Il pippotto che fa scuola

Inutile ribattere, mi sembra evidente. Quando esco dal portone della scuola mi sento salutare con un sonoro e poco adeguato “Ciao prof!” che mi distoglie dai miei pensieri. Guardo in direzione dell’urlo, un energumeno con una mano alzata in segno di saluto e un sorriso mi si avvicina. “Visconti?!? Ciao Samuele, cosa ci fai qui? Nostalgia della scuola?”
“No prof, quello mai! Non lo dica neanche per scherzo. Ero qui ad aspettare la tipa. Lo sa che lavoro? Un piccolo studio, ma mi trovo bene… Ma lei? va tutto bene? C’ha ‘na faccia”
“Sì, ho appena avuto una piccola discussione per un voto”
“Non mi dica che c’è qualcun altro che riesce a farsi rimandare in storia? Si ricorda?”
“E chi se lo dimentica? Ma senti, a proposito, quando ti ho detto che ti avrei rimandato non ti sei arrabbiato?”
Scoppia in una risata “ma no, cioè, al momento sì, poi si ricorda? Mi ha tenuto a farmi un pippotto di mezz’ora per spiegarmi perché e percome e io alla fine lo ho detto che, semplicemente, non avevo studiato un cazzo. Scusi il termine. Insomma, me lo meritavo. Di quelle dormite durante le sue ore…”
“Ah grazie, bella soddisfazione… ma senti, tu che voto mi daresti come prof?”
“Prof, italiano e storia io li odiavo proprio… poi lei parla troppo. Dopo cinque minuti non mi ricordavo più neanche di cosa stavamo parlando. Come vede son sincero – e giù un’altra delle sue epiche risate – però alcune lezioni erano belle, poi in gita mi ha fatto spaccare”.
“Ok dai, io ti ho dato voti per cinque anni, ora dimmi tu”
“Eh non è facile…”
“Lo so… a me lo dici?”
“Guardi, facciamo così, le do un bel tre per le sue spiegazioni… sei per le interrogazioni perché ci aiutava sempre, nove in comportamento: io so che ci voleva bene anche se la facevamo impazzire. Voto finale… sei. Dai, se l’è cavata con una sufficienza (risata). Lo sa che è sempre stato il mio prof preferito.”
“Chissà gli altri allora, meglio non sapere!”
“Sì infatti… ma prof, non se la prenda!”
“Con te? Come potrei prendermela? Anzi, ora che so i tuoi voti magari posso diventare un prof migliore. Magari a un quattro ci arrivo!”
Scoppia a ridere, ma nel frattempo il suo sguardo è catturato dall’arrivo della “tipa”. Ci salutiamo in fretta e riprendo la strada verso il parcheggio. Credo che a fine quadrimestre mi farò dare i voti dai miei alunni, magari posso davvero diventare un prof migliore… (però tre per le mie lezioni mi sembra un po’ troppo poco… quasi quasi torno indietro e glielo dico).