Europa e migrazioni: convenienza senza realtà

Sono passati dieci anni dalla strage di migranti a Lampedusa. Sono ancora vive le immagini di papa Francesco sull’isola a pregare: un gesto semplice e fortissimo. La questione dei flussi migratori continua a rimanere un tema assai drammatico. Che sta evidenziando i cronici ritardi dell’Europa nel fornire soluzioni convincenti e virtuose. Nel rispetto della dignità della persona umana. Il pensiero di Mario Mauro, un attento osservatore, già vice presidente del Parlamento europeo e ministro della Difesa.


13 ottobre 2023
Mal Mediterraneo
Conversazione con Mario Mauro a cura di Alessandro Banfi

Yannis Behrakis, per The Guardian ©Reuters

Il tema dei flussi migratori con il suo dramma pressoché quotidiano denuncia un manifesto ritardo di una visione condivisa nell’Unione europea. Che la questione sia oltremodo complessa è nelle cose, tuttavia non ha più senso – se mai lo ha avuto – continuare a procedere o a non procedere per interessi di bottega. A dieci anni dalla strage di Lampedusa abbiamo rivolto alcune domande a Mario Mario, politico di lungo corso, già vice presidente del Parlamento europeo e ministro della Difesa.   

Lei recentemente, alla Conferenza internazionale di Oasis, ha ricordato che dopo la strage di Lampedusa dell’ottobre 2013, l’Europa si mosse e chiese alla Marina italiana di pattugliare il Mediterraneo e nacque l’operazione Mare Nostrum e per quasi un anno non ci furono più migranti morti, insieme a significativi arrivi. Perché quella strada fui poi abbandonata?
Perché si temeva che tale tipo di operazione, che operava fino a 400 chilometri dalle coste, potesse essere un fattore di attrattività per chi volesse migrare verso l’Europa, dal momento che il rischio di non arrivare alla meta era stato sensibilmente ridotto, poiché il tratto di mare pattugliato dalla Marina italiana era molto ampio. Io ero contrario all’abolizione della missione Mare Nostrum, che venne effettuata dal Governo Renzi, proprio per le ragioni sopracitate. Peraltro, quella missione stava iniziando a dare i suoi effetti postivi, con una riduzione delle morti in mare.  

Yannis Behrakis Migranti Isola di Kos ©Reuters

Perché l’Europa continua a pensare il tema migrazioni in termini di contenimento, respingimento, barriere da creare? C’è l’idea di una gestione integrale di questo problema di persone che emigrano o cosa c’è in campo da essere tutto uguale a sé stesso da decenni?
La geopolitica è il frutto del rapporto tra spazio (fisico), potere e percezione. La percezione gioca un ruolo fondamentale, perché fa apparire una questione, una sfida, più o meno rilevante a seconda di come viene narrata. La questione migratoria ne è l’esempio più eclatante; viene dipinta come un’invasione, soprattutto verso i paesi del sud Europa (ma anche dell’est, come la Polonia) ma così non è. Basti pensare al paragone con il numero di ucraini entrati in territorio UE dallo scoppio del conflitto; la loro presenza è molto numerosa, ma non è percepita come un problema/una minaccia. I governanti di molti paesi europei traggono il proprio consenso politico anche dalla loro posizione sulla questione migratoria; quindi, risulta per loro più semplice adottare un atteggiamento di respingimento piuttosto che di approccio strutturato.

Alcuni sostengono che le ONG siano un fattore di attrazione dei migranti. Lei che ne pensa?
Sono pochi gli arrivi sulle coste in cui risultano coinvolte le navi umanitarie. La maggior parte avviene con mezzi autonomi o grazie alle imbarcazioni dello stato italiano. Grazie ai dati sappiamo che solo il 10,1% dei migranti approdati in Italia nel 2022 arrivano a bordo di navi di ONG.

Quale tipo di concezione del fenomeno migratorio è alla base dello schema, che prevale da parte dell’Europa, da tempo, di trovare Paesi nord africani, ieri la Libia oggi la Tunisia, che in cambio di finanziamenti “fermino” gli sbarchi?
Una concezione che segue una logica puramente emergenziale e che insegue i sondaggi e l’opinione pubblica. Il migrante viene visto come una minaccia piuttosto che come una opportunità. Anche in termini puramente statistici, avrebbe senso favorire dei canali “legali” di afflusso, perché nel saldo tra immigrazione ed emigrazione (soprattutto giovanile), l’Italia si trova drammaticamente in negativo.

Bangladeshi evacuees carry their belongings as they walk to the border crossing of Ras Jdir

In tal senso qualcuno ha mai ammesso colpe europee sui lager libici di detenzione illegale dei migranti?
Sicuramente molte organizzazioni promotrici dei diritti umani hanno a lungo indagato sulle responsabilità delle istituzioni internazionali e segnatamente dei comportamenti di paesi membri dell’Unione europea o delle omissioni della Commissione europea nell’attività di contrasto all’operato dei trafficanti di esseri umani. Tuttavia, dire che a queste iniziative abbia corrisposto un’assunzione di responsabilità da parte di queste istituzioni o, più semplicemente, di singoli paesi membri che notoriamente hanno negoziato non solo con le autorità libiche ma anche con molti dei clan tribali coinvolti nella gestione del traffico di migranti e richiedenti asilo non è possibile, perché questo tipo di affermazioni, in qualche circostanza confortate da indagini giornalistiche indipendenti anche significative, si è scontrato con il muro di gomma della ragion di stato contrapposta dalle istituzioni. Rimane comunque che nel rapporto delle Nazioni Unite del 27 marzo si ritiene che l’Unione Europea e i suoi Stati membri, direttamente o indirettamente, abbiano fornito supporto monetario e tecnico e attrezzature, quali imbarcazioni, alla Guardia Costiera libica e al Direttorato per Lotta alla migrazione illegale, che è stato utilizzato nel contesto dell’intercettazione e della detenzione di migranti.

Perché l’Europa di fatto non ha mai messo in campo metodi, postazioni per gli ingressi di migranti “legali”? A chi conviene che la migrazione sia sempre “illegale” e affermare teoricamente i diritti dell’uomo, tra cui quello dell’asilo?
Perché l’Europa oggi non comprende quanto sia più conveniente favorire un’oggettiva integrazione piuttosto che correre il rischio di una frammentazione, come avvenuto in passato a seguito dell’implosione del sistema sovietico.

Le politiche sui migranti appaiono in questi anni più soggette a convenienza, consenso temporaneo, che a una visione. Cosa manca, cosa cercava e cerca lei nella sua esperienza politica e geopolitica, nella quale ha conosciuto e visitato diverse situazioni di popoli, società, situazioni di regimi: quale è una concezione operativa, culturale e politica integrale di questo problema che assedia l’Europa e l’Italia? I richiami del Papa e della Chiesa cosa significano per lei?
In un complesso di fattori che caratterizza la questione migratoria, quello che io vedo come un suggerimento concreto che possiamo mettere a disposizione nel tentativo di dare risposte ad un fenomeno così complesso, è favorire delle dinamiche di comunità. Occorre che il “meticciato di civiltà” cui tante volte ci ha richiamato il Cardinale Angelo Scola divenga realtà, cioè vedere “l’altro”, che arriva in Italia, come mio ospite, un volto a cui nel tempo, dando fiducia, consentirò di poter generare con me un’esperienza nuova. Si potrebbe dire, una nuova civiltà.

©Yannis Behrakis