Eugenio Borgna: La psichiatria come destino e la ricerca dell’indicibile

Ci ha lasciati un’eccellenza della psichiatria fenomenologica, un pensatore audace, uno scrittore raffinato. Un uomo, un professore, che ha testimoniato nel suo lungo e appassionato cammino un modo innovativo di praticare la cura. Nella relazione con l’altro da sé sofferente. Lui che ha frequentato, anticipando i tempi, la via della psichiatria dell’ascolto e della condivisione, quella via che ha chiamato psichiatria dell’interiorità. Ovvero: uno sguardo in continua modificazione per non cedere alla fredda “reclusione” della statistica dei sintomi. L’incontro empatico con don Giussani in nome della poesia. La compagnia fedele al Centro culturale di Milano. Ricordo di un nostro carissimo amico



13 dicembre 2024
L’intelligenza del cuore
di Camillo Fornasieri

Eugenio Borgna è certamente uno degli ultimi grandi uomini e testimoni di vita e di scienza del nostro tempo, psichiatra e scrittore italiano.
Migliaia di persone hanno trovato nei suoi libri una rotta, un sentiero, tanto affettivo quanto nitido di ragioni e risorse da fare proprie perché indicano a ciascuno una possibilità di convivere e vagliare le proprie domande, sofferenze dell’animo; questa anima che, nel nostro tempo, è così sovente colma di impasse, assenza di ragioni per vivere, relegata in una solitudine lontana.
La specializzazione in Neurologia, l’insegnamento, l’ospedale psichiatrico e il manicomio: Borgna ha definito la psichiatria il suo «destino», come ha scritto in uno dei più bei libri in assoluto, “Il fiume della vita” (Feltrinelli 2020).

Le sue idee e suoi malati

Conseguita a trentadue anni, nel 1962, la libera docenza in Malattie nervose e mentali aderisce al concorso di primariato nell’ospedale di Novara. Da quel momento sceglie di andare e stare a Novara ed è lì che la psichiatria darà “un senso alla sua laurea in Medicina”.  
Conosceva la psichiatria ‘solo’ dai grandi testi degli psicologi tedeschi, ma lì, incontrando pazienti, giovani e non più giovani, ascoltandoli senza fine, cercando di cogliere le radici della loro sofferenza, “rifiutando ogni illibertà e ogni violenza”, gli si manifesta. Inizia a scrivere testi importanti a livello scientifico.
In tutta Italia, ma anche in Europa, la follia o i disturbi delle mente, fino alla depressione, evidenziavano solo un soggetto ormai separata dai “normali”, dei sintomi interpretati a livello clinico come derivanti da un cambiamento della mente e disconnessioni cerebrali. L’impossibilità di relazione normale aveva creato quel mondo separato, manicomi, assetti delle cliniche, dove dominava “gelidamente” la farmacologia «immersa nella acque oscure dell’elettroshock», scrive Borgna.
Prima ancora della legge 180 -però drastica e senza approdi- scriveva nel 1961 Antonio Slavich grande allievo di Basaglia «Essa (la situazione) non tocca comunque Eugenio Borgna a Novara sempre fedele alle sue idee e ai suoi malati, perché consapevole sia dei limiti delle prime che dell’umane sofferenze dei secondi».
Una separazione, quella dall’altro, che ancora oggi si ripresenta -ricordava recentemente Borgna- sotto diverse e più raffinate forme, dove la psicologia, la psichiatria si attorniano di ritrovati più controllabili e specifici ma vivono, forse e più disperatamente di quei tempi, l’assenza della nostra supponente antropologia per la quale il desiderio di felicità e il bisogno di significato sono emozioni o impedimenti per vivere.

Eugenio Borgna all’incontro al Centro Culturale San Carlo nel 1983 insiema al prof Giovanni Guerritore

I cuori “sintonizzati”

Borgna ricorderà più volte e con intensità quel luogo che chiamò una «comunità di destino», dove chi cura e chi è da curare non possono non avere i cuori “sintonizzati”. Che preziosa definizione per definire anche una azienda, il luogo di lavoro, una casa…
Lui stava vivendo e anticipando quella via della psichiatria dell’ascolto e della condivisione, quella che poi chiamerà anche psichiatria dell’interiorità. Un livello ancora più dentro di quella che, contrapponendosi a quella farmacologica, iniziava ad essere indicata come psichiatria fenomenologica.
Borgna si avviava alla ricerca dell’indicibile. Le parole “esistono”, nella malattia psichica, la persona vede, percepisce, esprime e il loro ascolto permette di cogliere cosa vene descritto da quella differenza, che rimane, come una asimmetria, tra il mondo della follia e quello fuori. Come ricordava citando un grande filosofo non spiritualista come Martin Heidegger: “Il linguaggio è la casa dell’essere”. E soggiungeva: “Don Giussani l’ha sempre detto: senza la poesia, senza l’intuizione a cui la grande poesia giunge, noi a volte non cogliamo il senso profondo della vita”.
Quelle parole, quell’ascolto -e non solo- quella relazione affettiva lo portava ad abitare insieme all’altro quel mondo deserto dove il singolo sa fin troppo bene di essere solo.
“La psichiatria -affermava- non può fare a meno di andare alla ricerca dell’indicibile che si nasconde nel dicibile, dell’invisibile che si nasconde nel visibile, dell’insondabile che si nasconde nel sondabile, ma questa meta non sarà mai raggiunta se non ricerchiamo concordanze e convergenze fra la psichiatria e la letteratura, fra la psichiatria e la filosofia, intese come discipline della conoscenza”.

Eugenio Borgna a Milano al CMC nel 2005, alla sinistra Flora Crescini del CMC

I segni di un’amicizia profonda

Il Centro Culturale di Milano lo ha avuto molte volte come interprete di temi, bisogni, dialoghi (in fondo i link ai testi e video) e nacque un’amicizia profonda. Nel 2004 accorgendomi che a Milano andava crescendo una diffusa sofferenza interiore, chi scrive si chiedeva chi potesse capire e dire qualcosa di autentico. Prese così vita un ricordo lontano, ma vivido, di una voce sottile udita dalle ultime file di una delle prime Equipe degli Universitari di Comunione e Liberazioni cui partecipava (1983), una voce unita alla voce di don Giussani che ne indicava la assoluta originalità, novità e religiosità.
Borgna viveva questo lavoro come una missione, come una vocazione cui rispondeva con la sua stessa vita. Vita piena di letture di musica e di bellezza che promanava dalla sua grande casa paterna a Borgomanero. Sempre in rapporto col mondo, contemporaneo a ogni situazione.
C’è dunque oggi da continuare la rivoluzione che l’uomo e medico e scrittore, così gentile, innocente e buono, ha iniziato e ci ha testimoniato.
«Senza questa febbrile ricerca dei significati che si nascondono nella vita emozionale dei pazienti, non solo di quelli immersi nell’angoscia e nella tristezza, ma anche di quelli divorati dal fascino stregato della morte volontaria, nulla si comprende di quello che realmente avviene nella loro vita interiore». (Il fiume della vita)
Proprio dieci giorni fa, prima di questo suo ‘passaggio’ da “la sorella che non ha sorelle”, la morte, unico momento in cui non c’è vita (senza sorelle), unico istante, è uscito per Einaudi un piccolo libro sul suicidio femminile che reca il titolo appena accennato
Proprio per questo fiume della vita, Borgna sul suicidio assistito e sulla eutanasia -affermava che “in ogni caso sia eutanasia che suicidio assistito non si conciliano con una psichiatria che insegua fino in fondo il suo destino: quello di aiutare a vivere e dare un senso (anche) alla stanchezza di vivere, e ai confini estremi della angoscia, e della tristezza”.
Forse il segreto di Borgna -che lasciava vedere in lui, e non certo per mostrarsi- era la riflessione sulla sua vita, sulla sua esperienza; e quanto fosse costante e radicale, tanto quanto l’amore e il dialogo silenzioso con la sua cara moglie scomparsa nel 2002.
Era infatti interrogato lui stesso dal dialogo coi pazienti, consapevole che non affermare la relazione e la destinazione, rispondere all’angoscia e alle domande, esse diventano malinconia, quel territorio che inizia ad essere imprendibile e poi irraggiungibile, dove peraltro, indistruttibilmente, a volte nasce la poesia.

Villa Borgna, casa paterna e dei fratelli Borgna dove Eugenio Borgna viveva e riceveva dal 1998

L’implorazione di una compagnia

Come affermava spesso il suo grande ammiratore don Giussani, al quale ha ricambiato in questi ultimi 20 anni parole di stima profonda, che la malinconia è una tristezza che si ripiega su di sé (ripetendo spessissimo “meno male che la vita è triste, sennò sarebbe disperata”).
Forse tutti noi, dopo tanti anni e dopo i ripetuti incontri con Borgna, si inizia a capire di più la vita e la follia, tu e i disperati, la verità saputa da quella vissuta. Ci addentriamo però in un tempo in cui, e Borgna lo diceva, si afferma di nuovo una distanza, una separazione da ciò che l’uomo realmente è, anche e soprattutto, quando mostra di non riuscire a vivere. Mentre proprio questa sua debolezza indica l’esistenza reale della voce dell’uomo, l’implorazione di una compagnia, la certezza autentica e possibile della speranza.

INCONTRI CON EUGENIO BORGNA

Malattia mentale e terapia
24/01/1983
https://www.centroculturaledimilano.it/malattia-mentale-e-terapia/


Negazione dell’anima e il disagio contemporaneo:
Il senso religioso nella cura psicologica.
03/02/2005


“La psichiatria e il grido della vita”
Presentazione del libro L’uomo dei ragni e altri racconti di M. Teresa Ferla
05/06/2007


Clemente Rebora: l’ardore, il limite, l’eterno.
La vita come tensione – In occasione del 50° anniversario della morte di Clemente Rebora (1885-1957)
29/11/2007


L’ombra della madre
Tre donne sole
Presentazione del nuovo libro di Marina Corradi
17/10/ 2017



Eugenio Borgna, Il fiume della vita. Quell’invito della realtà
Dialogo con l’Autore sul suo ultimo libro
18/06/2020