È il momento di sminare i nostri cuori
Come perseguire la cultura della pace al tempo dell’individualismo collettivo che produce violenza. Disarmare l’io per ridare smalto alla verità dell’io. Un percorso di realismo carico di speranza provocato dai pensieri del carissimo amico Riccardo Bonacina. E dalla provocante verità di una canzone quanto mai attuale del cantautore Claudio Chieffo. Urge bonifica.
31 gennaio 2024
Editoriale

In questi giorni abbiamo riletto l’intervista concessa al nostro giornale dal carissimo Riccardo Bonacina. Umanissima, bella, intensa, ricca di spunti, carica di speranza. Questo per dire subito che vale la pena riprenderla con l’attenzione che merita. Per il pensiero vitale e profondo che l’attraversa. Per la cultura di pace che diffonde. Per il significato autentico di cultura che esprime. Per la proposta costruttiva al tempo della violenza diffusa: la pace si prepara mentre la guerra è in corso. Perché, spiega, occorre andare nelle trincee che erigiamo e sminare i cuori. Già: sminare i cuori. Cioè: Disarmare l’io per ridare smalto alla verità dell’io.
Se vuoi la pace prepara la pace
Nel mondo d’oggi sembra tutto un prevalere di mine “antiuomo”. C’è una cultura della violenza che ha determinato la nascita di un unico campo minato che si perde a vista d’occhio. E a Nicola Varcasia che lo incalza, domandandogli proprio se la pace c’entra con la cultura, Bonacina chiarisce qual è il significato autentico che muove alla buona pratica per avviare un audace processo di sminamento di sé per sminare la realtà contaminata. Eccole le sue parole: «Don Tonino Bello, che andò a Sarajevo con 300 ragazzi quando la città era assediata, diceva: se vuoi la pace, prepara la pace. E la pace la prepari non quando finisce la guerra, ma durante, nel senso che devi sminare i cuori. In Ucraina tutti oggi odiano i russi perché da 830 giorni sparano sui loro supermercati, centrali elettriche e condomini. La prima cosa da fare perciò è cercare di sminare il cuore. Pensiamo anche a Gaza, ai palestinesi e agli israeliani, dove l’odio è seminato a suon di bombe».

Stiamo perdendo in umanità
Le mine di questo tempo non sono solo le mine collocate sulle strade per offendere e maciullare la carne dell’uomo. No, le mine più dure da bonificare sono quelle che abbiamo nel cuore, quelle che ci fanno essere conniventi con il declino della civiltà. Che è poi declino dell’umanità.
Le mine che l’umano rattrappito ha nel cuore esplodono nei modi più diversi. Ma che dovrebbero risultarci insopportabili se fossimo almeno un poco umani. Ad esempio davanti alla compiaciuta decisione della Casa Bianca di far circolare l’immagine di migranti irregolari in fila e tenuti insieme dalle catene mentre stanno per salire su un aeroplano ed espulsi dagli Stati Uniti, non importa se Obama ne rimpatriò 4,5 milioni. Il cardinale Matteo Zuppi, presidente della Conferenza episcopale italiana, ha voluto commentare quello scatto: “Un’immagine così, come cristiani, ci deve irritare istintivamente. C’è un problema di dignità, rispetto, attenzione all’altro. Stiamo perdendo in umanità”.
La mina gigantesca dell’antisemitismo
Stiamo perdendo in umanità. Vedi le mine collocate in post per umiliare e dileggiare due sopravvissute al campo di sterminio come Liliana Segre ed Edith Bruck. L’antisemitismo è oggi una mina gigantesca che deturpa gli ultimi fuochi della nostra civiltà. Le due donne, amaramente, si stanno chiedendo: morti noi sopravvissuti, noi testimoni diretti, la memoria dell’olocausto è destinata a finire nell’oblio. Nella progressiva e magari compiaciuta dimenticanza. La dimenticanza è la nuova camera a gas. L’asfissia della ragione. La resa al nichilismo, a suo modo aggressivo e affascinante, del XXI secolo.
Ma allora cosa ci sta succedendo? Perché siamo precipitati nell’esperienza dell’assenza di senso? Nella presenza di nulla? Perché è venuto meno l’atto semplice e così profondamente umano del riconoscersi e riconoscere. Del volersi bene e del fidarsi l’uno dell’altro. Questa metamorfosi è la negazione dell’io come persona nella sua origine. Viviamo il tempo dell’individualismo collettivo che produce filo spinato. Il filo spinato è l’elogio del muro che separa; il filo spinato tirato a lucido per affermare l’irriducibile volontà di dividersi dall’estraneo, sicuramente un tipo losco, nemico ci mancherebbe altro, che non rientra nel perimetro ben presidiato dell’individualismo collettivo. Il filo spinato è l’esaltazione di un culto perverso: quello della prova di forza per sopraffare l’altro da sé, per ridurlo all’impotenza perché ha regnato indisturbato.

La nuova Auschwitz
Magari, chissà intercetti il film “La zona d’interesse” e qualcosa puoi comprendere di quel che è stato ad Auschwitz: il male fuori il campo di sterminio, trionfo di mine nel cuore, nella normalità di vita quotidiana della famiglia tedesca del capo del campo. Normalità nichilista, tragica, a un passo dal luogo della morte e dei forni crematori. Ma quel male fuori ci riguarda, a proposito delle mine che abbiamo nel cuore. Perché, ammettiamolo, chiamarsi fuori dal terribile problema – suvvia io non c’entro con quella porcheria, con quegli aguzzini– è un’altra manifestazione di quanto svolga bene il suo mestiere l’individualismo collettivo in salsa nichilista; e, se possibile, in misura ancora più inquietante. Il cantautore Claudio Chieffo nel brano intitolato ‘La nuova Auschwitz’ fa chiarezza togliendoci di dosso qualsiasi alibi rassicurante, qualsivoglia tentativo di mettere le mani davanti. Il passaggio finale, quel che scardina falsità e pone fine alle rassicurazioni che ci diamo per non avere rogne, dice così:
Ora siamo tornati ad Auschwitz dove c’è stato fatto tanto male,
ma non è morto il male nel mondo e noi tutti lo possiamo fare
e noi tutti lo possiamo fare e noi tutti lo possiamo fare…
Non è difficile essere come loro,
non è difficile essere come loro…
Ora suono il violino al mondo mentre muoiono i nuovi ebrei,
ora suono il violino al mondo mentre uccidono i fratelli miei,
mentre uccidono i fratelli miei, mentre uccidono i fratelli miei…
È proprio arrivato il momento di sminare i nostri cuori!