Don Minzoni, l’ideale e l’educatore

Cent’anni dal martirio

Il sacerdote nato a Ravenna, punito con la morte da una spedizione di una banda fascista il 23 agosto 1923, è una figura storica tutta da riscoprire. Anche per farla uscire da interpretazioni retoriche e fuorvianti. Un uomo di Chiesa appassionato di Cristo che lo ha testimoniato dentro la drammaticità di quell’Italia. Vivace e intelligente educatore, per affermare la verità nella sua missione di prete, nulla ha taciuto davanti all’arroganza e alla violenza prodotte dalla dittatura fascista. Un martire della fede.


5 maggio 2023
di Matteo Fanelli

L’attore Raul Grassilli nello Sceneggiato televisivo in 2 puntate, del 1973, Il caso don Minzoni

Proprio nell’anno del centenario dell’uccisione (23 agosto 1923), perpetrata dai fascisti, ha cominciato a circolare la notizia dell’apertura della causa di beatificazione di don Giovanni Minzoni, sacerdote, educatore e martire, nato nel 1885 a Ravenna.

Cristiano attento alle questioni sociali

Egli, ancora dodicenne, decide di entrare in seminario, dove comincia a conoscere ed apprezzare le idee di Romolo Murri e della democrazia-cristiana, uno dei primi movimenti che verso la fine dell’Ottocento tentarono da un lato di affrontare la questione sociale partendo dai valori cristiani, e dall’altro di superare un contrasto che si è sviluppato nel corso del secolo e ha trovato il suo culmine nel 1870 con la presa di Roma da parte del Regno d’Italia: quello tra la Chiesa e una modernità avvertita come sempre più secolarizzata, laicizzata e, almeno in parte, anticristiana.
Riguardando i suoi anni di seminario, nel 1918 don Minzoni scrive: «Festa della Democrazia Cristiana! Ero ancora giovanotto, studente in ginnasio quando già mi infervoravo delle nuove idee democratiche soleggiate dal Vangelo di Cristo. Comprendevo poco, nulla; pure il mio cuore pulsava forte, forte. Sognavo le future lotte in mezzo alla società, lotte che avrei sostenuto con tutte le energie della mia giovinezza e in nome di Cristo. […] Oggi, ripensandoci sento che la mia vita di seminario è stata una vera palestra per il cuore e per l’intelligenza».

Convertire un Marx in Paolo

Don Minzoni, dunque, pur in qualche modo affascinato dal socialismo perché si interessava del disagio dei poveri e dei più deboli, rimarrà sempre fermo nella sua adesione a Cristo: «Convertire un Marx in Paolo e la questione sarà sciolta». Durante gli anni di seminario egli scopre anche un’altra vocazione che lo accompagnerà per tutta la sua vita, l’amore verso i giovani, l’educazione.
Nel 1910 don Minzoni viene destinato come cappellano alla parrocchia di Argenta, un importante centro agricolo del ferrarese, dove comincia a confrontarsi con i socialisti che in questi anni diffondono sempre più le proprie teorie marxiste soprattutto tra i lavoratori.
Don Minzoni vuole capire i nuovi problemi sociali e come essi possano essere illuminati dal Vangelo: «La società moderna si presenta con bisogni e caratteristiche nuove; ebbene se il Vangelo le sarà predicato in conformità a queste sue esigenze e aspirazioni, si otterrà il miracolo tanto sospirato dell’orientamento delle masse a Gesù Cristo, altrimenti tutto riuscirà inutile». Tutto ciò sempre con uno sguardo cristiano rivolto alla persona: «Ci dicono di non andare tra gli operai perché bestemmiano. No! No! Bisogna entrarvi in mezzo. Cristo vi andava».
Nel concreto, don Minzoni capisce l’importanza dell’educazione cristiana soprattutto rivolta ai giovani e organizza diverse attività in parrocchia, allestendo una biblioteca, un teatro e anche un doposcuola per i ragazzi.

Sacerdote al fronte

Nel frattempo è scoppiata la Grande Guerra e nel 1916 la sua classe viene convocata alle armi. Don Minzoni chiede di essere inviato come cappellano militare al fronte. Dai suoi Diari emerge la figura di un sacerdote per nulla infervorato dalla guerra ma desideroso di servire il suo Paese e i giovani al fronte: «Devo conciliare la mia vocazione col dovere di servire la patria… Mi vedranno non un eroe, è vero, ma almeno un sacerdote che senza aver gridato evviva la guerra, ha saputo accorrere là dove vi era una giovane vita da confortare, una lacrima da sublimare. Signore, accogliete questo mio voto e fate che divenga vostro ministro sul campo della morte e della redenzione a un tempo. Non aspiro alla gloria terrena, ma a una vita, la quale oltre a essere di bene per me, sarà di conforto al prossimo e di aiuto alla causa della Chiesa».
Durante la guerra egli partecipa attivamente anche alle operazioni militari, una delle quali, nel 1918, gli vale la Medaglia d’Argento al Valor Militare.

Il cappellano militare don Giovanni Minzoni celebra la messa al campo in un bosco sul fronte del Carso

Arrivano i fascisti

A guerra conclusa don Minzoni torna ad Argenta e viene nominato parroco. In questo periodo capisce che la guerra ha ulteriormente accelerato una situazione di cambiamento, umano, sociale e politico, che egli aveva già cominciato ad intuire prima del conflitto.
Per questo, don Minzoni comprende che c’è bisogno di risposte diverse da quelle tradizionali perché emergono nuove domande, o comunque le domande di sempre vengono poste in modo nuovo.
Serve una nuova pastorale educativa e don Minzoni si dedica soprattutto alle attività per i giovani: allestisce un salone che diventa sia un teatro che un cinema e propone momenti di aggregazione molto frequentati.
Ad Argenta tutto il consiglio comunale è composto da socialisti. Siamo negli anni del “Biennio rosso” (1919-1920) in cui si sviluppano in tutta Italia le lotte di fabbrica e i consigli operai che fanno temere a molti un epilogo analogo a quello della Russia bolscevica.
Per questo, anche ad Argenta, come in molti altri comuni della Lombardia e dell’Emilia-Romagna, quando nel 1921 arrivano i fascisti a riportare “ordine”, vengono appoggiati esplicitamente sia dai proprietari terrieri, sia da alcuni parroci e da una parte del mondo cattolico, oltre che dallo stesso Stato.

Oppositore con l’arma della preghiera e della bontà

Ad Argenta i socialisti diventano vittime di violenze indiscriminate: mentre tutto il consiglio comunale è costretto a dimettersi, nel 1923 diventerà sindaco un fascista. Don Giovanni Minzoni comprende da subito la natura dispotica del nuovo movimento, e in quei giorni scrive profeticamente sul suo Diario: «Come un giorno per la salvezza della patria offersi tutta la mia giovane vita, felice se qualcosa potesse giovare, oggi mi accorgo che battaglia ben più aspra mi attende. Ci prepariamo alla lotta tenacemente e con un’arma che per noi è sacra e divina, quella dei primi cristiani: preghiera e bontà. Ritirarmi sarebbe rinunciare a una missione troppo sacra. A cuore aperto, con la preghiera che spero mai si spegnerà sul mio labbro per i miei persecutori, attendo la bufera, la persecuzione, forse la morte per il trionfo della causa di Cristo».
Il terreno di scontro con i fascisti però non è la politica, da cui don Minzoni rimarrà sempre fuori, ma quello educativo.
Nell’aprile del 1923, infatti, egli organizza un grande convegno a cui partecipano molti giovani non solo di Argenta, ma anche dei comuni vicini, a partire dal quale comincia a fondare alcuni gruppi scout, gli “esploratori”. I fascisti non approvano le attività del parroco e invitano le famiglie a non iscrivere i loro figli agli esploratori, ma ai Balilla. Nel luglio del 1923 alcune fonti riportano uno scontro pubblico tra don Minzoni e il segretario del fascio di Argenta proprio sulle attività degli esploratori.

I funerali di Don Minzoni nella Parrocchia di ad Argenta (Ferrara)

La spedizione punitiva

Probabilmente proprio a causa di questa situazione, nell’agosto del 1923 viene organizzata la spedizione punitiva, alla classica maniera fascista, in cui don Minzoni, per le ferite riportate alla testa a seguito di alcune percosse, trova la morte.
Siamo nei mesi in cui Mussolini sta cercando di consolidare il suo potere, e per farlo deve garantirsi anche l’appoggio della Chiesa. Per questo, il Governo si affretta a stigmatizzare l’accaduto e invita le autorità a trovare e punire i colpevoli.
Nel 1924, dopo il delitto Matteotti, e in un momento di debolezza del Governo Mussolini, viene istruito un processo a carico degli assassini di don Minzoni in cui compare come mandante anche il forte ras di Ferrara Italo Balbo.
Tuttavia, nel 1925 Mussolini, dopo il discorso del 3 gennaio, ha rialzato la testa e si appresta a consolidare il suo regime, pertanto questi primi processi terminano con l’assoluzione di tutti gli imputati.
Ci vorrà la fine della guerra e della dittatura (1946) per far riaprire i processi a carico degli uccisori di don Minzoni, quelli sopravvissuti, che saranno effettivamente condannati per omicidio preterintenzionale ma beneficeranno dell’amnistia.
I promotori della causa di beatificazione punteranno ad evidenziare le qualità di martire di don Giovanni Minzoni, sacerdote molto vicino soprattutto ai giovani e probabilmente proprio per questo inviso ad un potere che tendeva a un controllo ideologico sulle nuove generazioni.