Daniele Mencarelli: il bruciore di vivere
Basta il successo al giovane design in carriera? I soldi sono i soldi, ci mancherebbe. Però non tutto torna. Non tutto suona bene nella vita da copertina glamour di Gabriele Bilancini. E il ritorno a casa, al Tuscolano per una circostanza familiare, fa risuonare in lui il campanello d’allarme. In agguato pensieri cattivi, sensi di colpa, conti mai saldati. Domande tante, innumerevoli incertezze, incontri che rivivono, affetti che bussano al suo cuore. Questo e molto altro è “Brucia l’origine” (Mondadori) l’ultimo romanzo dell’autore romano. Da un quartiere romano alla Milano luccicante. E ora, viceversa. Per ritrovare, chissà, il “verso” perduto. Perché, in fondo, siamo quello che abbiamo ricevuto. Perché le radici non ghiacciano, direbbe Tolkien
1 novembre 2024
Scottature
di Walter Ottolenghi

La vena creativa del giovane designer Gabriele Bilancini nasce dalla visione dei cieli e dei prati romani e dalle armoniche forme degli acquedotti che percorrono impavidi una bellezza animata dai greggi di pecore. E dall’affetto immutabile dei genitori, lui meccanico lei casalinga, e degli amici del bar e del calcetto, apparentemente relegati nella serie B della vita: “Magno, bevo e tifo Roma.” Le radici a Roma e il successo a Milano, tormentato dall’umiltà delle origini, taciute e nascoste come una vergogna.
I signori dei brand
La sua parabola, in realtà, non è molto diversa da quella di tante star del design milanese. I protagonisti del salone e del fuorisalone del design week (del mobile ormai lo dicono solo i giargiana) che hanno conquistato l’Olimpo mondiale dell’arredamento. Le origini, vicine o lontane, sui campetti degli oratori della Brianza, i Corni di Canzo e il Resegone a chiudere l’orizzonte sotto un cielo manzoniano. Le chiese romaniche e le ville rinascimentali, barocche e neoclassiche dei sciuri. Figli e nipoti dei falegnami, i legnamée, che tra Lissone e Cantù mantenevano le loro prolifiche famiglie, con mani callose a furia di tirar di pialla. I magnacolla, li chiamavano gli altri operai, fieri della loro “moderna” attività nelle fabbriche tessili e meccaniche, nelle osterie e nei bar ACLI, dove “la persona civile non bestemmia e non sputa per terra”, come stava scritto dietro il banco. Solo che Gabriele non lo sa. Li ha conosciuti sulle pagine patinate delle riviste specializzate, quando avevano già imparato a parlare inglese, si erano laureati al Poli in architettura e giravano il mondo, qualcuno come un divo del cinema e col jet privato. Signori dei brand che dominano il mercato. E hanno fatto la grana, o er grano. E poi è entrato anche lui in quel mondo già costruito, popolato solo da dei ed eroi ormai dimentichi del sudore e delle cambiali in scadenza. E ha cominciato a diventare un po’ uno di loro.

Lui i soldi li ha fatti davvero
Il racconto di “Brucia l’origine” di Daniele Mencarelli (Mondadori, 2024, 190 pagine) comincia da qui, da questa fase della vita del protagonista. Il successo è arrivato, generoso, anche per lui. Ma il prezzo è stato alto: il distacco dal Tuscolano, dal bar del sòr Antonio, dagli amici del quartiere, dalla famiglia e dal primo amore. Son solo tre ore di treno. Capirai, come se la distanza fosse solo quella.
E tutto precipita in un nòstos, un ritorno mitico, occasionato da un anniversario di matrimonio dei genitori cui si sovrappone il compleanno di un amico. “Nun te inventà mobbili e disegni, se non ce stai sei ‘na merda, se non vieni non te sogna’ nemmeno più er saluto da nessuno de noi.” Terribile minaccia che è impossibile ignorare. Da qui si srotola la tragedia classica, nel rigoroso rispetto dell’unità di luogo tempo ed azione. Il luogo naturalmente è il Tuscolano, il tempo la manciata di giorni fino alla festa di compleanno. L’azione è la corrente alternata a 1.000 volt che crea un vortice di frizioni, scintille e attrazioni magnetiche nel campo tripolare formato da Gabriele, gli amici e la famiglia.
In otto anni di assenza le distanze si sono fatte siderali. “I sòrdi so’ tutto. Coi sòrdi vivi. Senza mòri”. “È vero in parte”. Gabriele tenta di giocare i saggi argomenti di chi sa che i soldi non danno la felicità, miseramente fallimentari davanti allo scetticismo di chi l’odore di soldi non l’ha mai sentito nemmeno da lontano. “Gabrie’, non scherzamo, i sòrdi so’ tutto, risolvono tutto…”. “ I sòrdi te parano er culo, pure rispetto alla morte, senza sòrdi te fanno crepa’ dentro ‘n ospedale, come ‘na bestia.”
E lui è l’unico del gruppo che i soldi li ha fatti davvero. Pensa davvero di cancellare la tristezza di fallimenti e frustrazioni con un bel discorsetto morale?
Così in famiglia. “… ha iniziato a osservare e sentire tutto con occhio involontariamente esterno. … Gli viene in mente un entomologo alle prese con una famiglia di insetti … Coinvolto per motivi scientifici, non certo affettivi … Gli rimane in gola sempre lo stesso sapore. Di senso di colpa. Di più. Si sente nel pieno di un sacrilegio.”

La somma algebrica della bottom line
Perché, in questo marasma di contraddizioni tra quello che è e quello che è diventato non ha saputo finora inventarsi nulla di meglio di una vita sdoppiata dalle reticenze e dalle vergogne, con l’amaro sapore di una consapevole menzogna. “Nella sua vita si è aperta una voragine che ha di colpo allontanato, di una distanza disumana, le terre che ha vissuto e che vive.”
“E lui nel mezzo, a rimproverarsi da anni tutto il coraggio che gli manca, incapace di lasciarsi andare alla sincerità, mettersi almeno una volta dalla parte della sincerità, mettersi una volta, almeno una volta, in pace con la coscienza. Sentirsi uscire dalla bocca chi è, da dove viene, senza paura, liberamente, senza temere il giudizio di nessuno .,, Quello che fa è coltivare il tradimento, verso tutti.”
Perché questa paura di rivelare le origini borgatare nel mondo del design, dei social events e delle apericene? Non si è ancora accorto che in quel mondo chi sei davvero tu non gliene frega niente a nessuno? L’importante è che tu sia focalizzato sul target, che sia un contatto utile, che produca performance.Una voce attiva sulla somma algebrica della bottom line. Il suo strazio è di non sentirsi liberato da quella che considera una “zavorra sociale”, che è invece la radice della sua umanità e della sua creatività. E confonde la distanza geografica e sociale con una spaccatura che è soprattutto all’interno di sé stesso.
“Casa Bilancini è un inno alle buone cose di pessimo gusto. … Alla specchiera del corridoio prende atto di una certezza assoluta, com’è assoluto il sole che sorge: mai il suo maestro metterà piede a casa sua. Mai.” “Lui vuole forme lineari, semplici, in grado di essere definite “belle” nel tempo, anzi, in tutti i tempi, proprio come gli acquedotti che hanno riempito l’orizzonte della sua infanzia.” Un dialogo tutto tra sé e sé con pericolosi cedimenti al delirio, alla paranoia di attribuire ad altri una minacciosità immaginata, frutto solo del proprio smarrimento.

Una compagna che sa cavarsela
Non si accende nessun barlume nemmeno davanti a qualche squarcio di verità aperto da un amico. “Se sei svejo lo devi a ‘sto quartiere, a quello che avemo vissuto assieme, nasce in certi posti, te accelera la velocità der cervello, è come ‘na giungla. I ricchi vanno a rilento.” O dalla saggezza di suo padre, Mauro er pesce, uomo di poche e rare parole, ma spese bene. “Se fosse ancora viva tua nonna direbbe che non c’è vita senza croce. Questo. Qui tutti te osannano pensano che vivi nel paese dei balocchi, dove tutto è bello e facile, ma i paesi dei balocchi non esistono” … “Il problema è se al paese dei balocchi te senti d’appartenere o meno. … Esiste gente così diversa da noi, papà …”
Eppure la consapevolezza non manca, soprattutto grazie alla presenza di Camilla, la sua compagna (guai a chiamarla “fidanzata”). Che fa il suo ingresso in scena come una Pallade Atena che si rivela attraverso il telefono cellulare da Milano invece che grazie alle machinae e alle cortine di fumo che simulano la discesa dall’Olimpo.
Non è la dea della sapienza, ma se la cava tutt’altro che male, perché con la tragicità della vita ha dovuto imparare a convivere molto presto, quando ha perso la mamma a 13 anni. Ed ora è collaboratrice del padre, Franco Zardi. Che nonostante i danée a palate e la raffinata cultura che ne ha fatto un inarrivabile guru del design non ha evidentemente perso slanci di generosità, spirito d’avventura e gusto del rischio se ha scommesso a suo tempo sullo sconosciuto e impacciato Gabriele. Facendolo diventare in brevissimo tempo una celebrità mondiale, contro le scettiche previsioni del resto dei protagonisti del settore. Davanti alle angosce di Gabriele nel fare i conti col proprio passato, anche da Camilla poche ma rasserenanti parole: “I tuoi amici, casa tua, semplicemente hanno avuto una vita diversa. Goditi i tuoi genitori, soprattutto tua madre. E ti prego, non affogare in un bicchiere vuoto.” “Grazie, tesoro mio. Come si dice a Roma: me sto a incarta’ da solo.” “Facile a dirsi. Come si tengono fuori dalla testa i cattivi pensieri?”
Combustione continua e inesauribile
Già. La consapevolezza aiuta fino a un certo punto quando il dolore di sé arriva dagli strati più profondi. “Se la nostalgia si fa sentire come una febbre, delirante o meno, il senso di colpa è più localizzato. Un crampo fra bocca dello stomaco e gola, non di acidi gastrici, ma di coscienza sporca.” Già, la colpa. Evidentemente della doppiezza di sé che si percepisce e che ferisce di un’inquietudine malata. E di una reazione che non riesce a farsi strada e che pure si desidera.
Sì. L’origine brucia. Non solo per Gabriele. Brucia perché è una fonte di energia, generativa e creativa, in combustione continua e pure inesauribile. Un Sole dove ci si può scottare o scaldare. Passeremo la vita a chiederci l’uso che stiamo facendo del patrimonio di tempo e di spirito che abbiamo ereditato e probabilmente molte volte le risposte non ci piaceranno. Pure questo calore originario è sempre a disposizione. Come avvicinarlo e affrontarlo fa parte del misterioso cammino di ciascuno. Le ultime pagine del racconto sembrano suggerire che per Gabriele questo cammino trovi una conclusione, più che temporale esistenziale, in una sceneggiatura da gran finale felliniano. Dove la velocità accelera in una spirale che porta in volo con lui i segni più incisivi della traccia della sua vita: gli immutabili acquedotti. Potrebbe essere la riscoperta di una pace?
Qui la VIDEO INTERVISTA Mondadori a Mencarelli sul libro https://urlshort.app/BLRL6E