Cosa c’è dentro il Settembre nero di Giovanni Veronesi
L’ultimo avvincente lavoro dell’autore di “Caos calmo” e “Colibrì”. Una vicenda drammatica a incastri. Nella forma narrativa del romanzo di formazione. Protagonista un ragazzino di 12 anni. Tutto si svolge a Fiumetto, mare di Versilia. Durante la vacanza del ’72, quella dell’attentato all’olimpiade di Monaco da parte di un gruppo di terroristi palestinesi. In quei giorni la realtà lo investe con assoluta durezza. E così scopre che il mondo brucia. Eventi privati ed eventi pubblici si rincorrono. Dietro l’angolo un delitto. Come uscire dal castigo?
29 novembre 2024
Piccola grande storia
di Enzo Manes

Gigio Bellandi, la voce narrante di “Settembre Nero” (La nave di Teseo), il nuovo romanzo di Sandro Veronesi, estrae due versi del poeta britannico Wystan Hugh Auden (1907 – 1973) per appoggiare il suo racconto di com’era stato il periodo estivo a Fiumetto, in Versilia: «Anche se non puoi sempre ricordare perché sei stato felice / non puoi dimenticarti di esserlo stato». Certe estati lasciata Vinci, nella stessa spiaggia e nello stesso mare, Gigio lo era stato per davvero. Adesso che ricorda da adulto sessantenne, sposato con figli, quelle vacanze spensierate di bambino vivace, curioso, che il mattino non vedeva l’ora di correre in spiaggia per dedicarsi ai giochi, fare il bagno e incontrare una coetanea, la sua coetanea preferita Astel che abitava con la mamma etiope una villa adiacente la propria casa.
Al mare lo accompagnava, insieme alla sorellina Gilda, la mamma di origini irlandesi perché il babbo, avvocato, socialista, raggiungeva la famiglia appena nel fine settimana, così per tutto luglio e prima dei pochi giorni di riposo che si concedeva ad agosto. In casa la figura maschile, amico più che altro, era lo zio anarchico Giotti.
Fiumetto è stato il luogo che più l’ha segnato. Nel bene e nel male che però lo ha reso consapevole che il mondo brucia, è fuoco vivo. E lui questo non lo sapeva, non ne aveva ancora fatto esperienza. Allora, nella quotidianità, per lui vi erano solo le piccole cose che viveva, però – e come è giusto che sia – come fossero le più importanti, come il presente da assaporare appieno, come l’odore della salsedine.

L’irreparabile all’improvviso
Il racconto di Veronesi procede assecondando il genere letterario del romanzo di formazione. L’autore si prende tutto il tempo necessario per far entrare il lettore nell’economia della storia. Capiremo in corso di lettura che quella costruzione, quel racconto della normalità, quell’incedere rallentato, piccoli fatti e circostanze solo in apparenza secondari, vengono detti con esattezza grazie una capacità di scrittura tenuta sempre sotto controllo, continuamente allertata e perciò accattivante. Quella costruzione aprirà a ciò che a un certo punto scuote e percuote la storia. Le cose minuscole e per l’appunto ordinario si dilata in una storia imprevedibile, drammatica, con al culmine una vicenda delittuosa.
È l’estate del ’72 quando l’irreparabile succedeva; quello che assesta un colpo durissimo alla felicità di un dodicenne innamorato della sua Astel.
A Fiumetto, di colpo, il sole non scaldava più. Quel settembre ormai strappava certezze, apriva ferite, faceva germogliare rancori, sospetti, durissime e per troppo tempo inconfessate verità. La storia prendeva la strada del trauma. E i traumi, si sa, non si rattoppano. E neppure si può pensare di metterli da una parte in attesa che la calma torni ad essere piatta. Come talvolta il mare di Fiumetto. Solo talvolta perché il vento arrivava con regolarità, lo sa bene Gigio che il babbo, nei fine settimana, costringeva a salire sulla piccola barca a vela che possiede.

Il naufragio dell’estate
L’estate del ’72 è quella dell’Olimpiade di Monaco funestata dall’azione terroristica del gruppo palestinese Settembre nero. A Fiumetto arrivavano sui televisori immagini in bianco e nero della tragedia. C’è dunque il Settembre nero della strage nel cuore della Germania Ovest e di lì a poco il Settembre nero che investirà e travolgerà la vita ordinaria e libera dalle preoccupazioni di Gigio Bellandi.
Grande e piccola storia, insomma. Ma per Gigio, la sua famiglia e quella di Ester la loro è una grande storia, un travaglio drammaticissimo, terribile come lo fu il caso del piccolo Ermanno Lavorini, il bimbo rapito e poi ucciso nella pineta viareggina, che provocò preoccupazione, indignazione e derive giustizialiste.
Il padre di Gigio si stava occupando di quella tragedia. Nelle pagine passano tutte queste storie senza che il racconto si sfilacci o perda la misura. Il deragliare verso una trama sempre più complicata non fa che accrescere l’interesse, non fa che aumentare le domande. Fino alla domanda, secca, diretta che cambierà il corso delle cose.
Qui non ci può essere la tristezza malinconica alla “Sapore di mare”, quando si ripiegano definitivamente gli ombrelloni, scende la prima pioggia, tramontano le deboli cotte estive. No, qui l’estate naufraga per via di un vento impetuoso che la sradica, per causa di un settembre nero che non si aveva motivo alcuno di immaginare. Tutto sembrava così tranquillo a Fiumetto, sentimenti a posto, bella musica nel giradischi e alla radio, i fumetti di “Linus” frizzanti e acuti, gli scacchi, le prime amichevoli estive di calcio di cui si veniva informati dalla “Gazzetta dello sport” e per Gigio quello era il momento di sognare un’annata di soddisfazioni per la sua Juve, con i colori bianconeri guidati dalla sapienza di Michel Platini.
Ma si può morire dentro per un così lancinante dolore? Un dolore che si abbatteva, all’improvviso, su quella frangia di Versilia. Il dodicenne Gigio Bellandi assalito dalla realtà, in modo diretto, violento, senza filtro alcuno. Il ragazzino non aveva protezioni. Non sapeva ancora che la vita è impossibile da governare per intero, era «un ragazzino di dodici anni che non sa ancora niente di niente».
Il chiodo arrugginito
Il Gigio che ha sessant’ anni, che racconta di quell’estate lì, pur avendo nei suoi anni maturi costruito non poco nella vita, ammetteva di avere ancora nella testa un chiodo arrugginito proprio per quel settembre nero, per quel che aveva destabilizzato.
Si dovrebbe a questo punto fornire qualche indizio in più sul perché allora esplose la tragedia. La causa, insomma. Si è anche pensato di farlo, poi si è presa la decisione di scansare la tentazione. Non serve. Certo, in un preciso momento della storia, l’urto arriverà, sarà fortissimo e tutto verrà a scompaginarsi. Ovvio che l’urto ha a che fare con le due famiglie dirimpettaie. E l’impatto così fragoroso segnerà anche e soprattutto il destino di Gigio ed Astel. Il Gigio sessantenne, che racconta dettagliando fatti, episodi, proprio sentire, perciò quanto gli è più possibile, dice che «la mia speranza è di liberarmi di questo chiodo arrugginito che ho piantato nella testa– di rovesciare completamente quei due versi di Auden che ho citato all’inizio e che mi sono tanto cari, e di arrivare un giorno a dire che anche se non si può dimenticare d’essere stati infelici, non è detto che si debba per sempre ricordare il perché». Ricordare potrebbe equivalere a un rimanere imprigionati nel passato remoto?

La partita del chiodo arrugginito è un pasticcio che c’è in questo mondo.
Si tratta di comprendere se l’essere male in arnese è una sentenza. Il mondo brucia, d’accordo. E scotta da morire. Però si può non morirci dentro. Come? Imparando a guardare: guarda bene Gigio! Forse il fuoco vivo è un lento processo di pacificazione con sé e gli altri. Quella pace che non presume di mettere a posto tutto.
Quella pace che ti fa sentire l’odore della rugiada settembrina. Quella pace che non si arrende all’ultima spiaggia, che non indietreggia perché non la dà vinta alla cultura del settembre nero. Perché è possibile non vedere nero.