Charles Peguy: il denaro non può comprare Cristo risorto

Leggere o tornare a leggere “Il denaro”, provocatorio libro scritto dal grande pensatore e scrittore francese esattamente un secolo fa, è cosa buona e giusta. Pagine che provano a rimettere le cose al proprio posto. Ripartendo da un presente che ha nella centralità di Gesù vivo il perno intorno a cui ruota un senso profondo di libertà. In questo caso dalla tentazione del denaro come idolo incontrastato che orienta relazioni e presiede dinamiche di potere. Il sepolcro vuoto è la risposta che fugge dai mercati e dai mercanti dei templi. Per una Pasqua di liberazione. Che non è mai da quattro soldi. O da trenta denari…   


7 aprile 2023
Editoriale

©Yannis Behrakis-Reuters – 5 aprile 1992 Distribuzione di aiuti umanitari a rifugiati Curdi, tra il confine di Irak e Turchia

In questi giorni, il padre domenicano Adrien Candiard (fresco di stampa il suo “Qualche parola prima dell’Apocalisse”, per la Libreria Editrice Vaticana) ha consigliato di leggere un testo di Charles Péguy intitolato “Il denaro”, per via di «uno stile unico, per una critica profonda e intensa dell’egoismo moderno». Quello scritto di Peguy (quest’anno si ricorda i centocinquant’anni della nascita) uscì esattamente centodieci anni fa in un mondo diviso che si apprestava a vivere la terribile esperienza della Prima guerra mondiale.

Il popolo che non c’è più

Il ringraziamento a padre Candiard (grande amico del Centro culturale di Milano) per la segnalazione è doveroso. Ci ha permesso di tornare a un libro colpevolmente trascurato, eppure di stupefacente attualità. Basterebbe questo piccolo estratto per invogliarne la lettura: «Oggi, a dir popolo, si cade nella letteratura, in una letteratura di bassa lega, un genere elettoralistico, politico, parlamentare di letteratura. Il popolo non esiste più. Tutti sono borghesi. Perché tutti leggono il loro giornale. Quel poco che sopravvive dell’antica aristocrazia, o meglio delle antiche aristocrazie, è divenuto una borghesia meschina. L’antica aristocrazia è diventata anch’essa una borghesia del denaro.

L’antica borghesia si è trasformata in una borghesia squallida, una borghesia del denaro. Quanto agli operai, hanno ormai un’idea soltanto: farsi borghesi. Ed è proprio ciò che accade, anche se magari dicono di diventare socialisti. Restano sì e no i contadini a essere rimasti davvero contadini». Pasolini applaudirebbe con entusiasmo.

Peguy non è certo un nostalgico. Non ha tempo da perdere avendo scelto di lasciarsi sorprendere dalla presenza di Cristo, persona viva. Tutto il suo pensiero ruota intorno a quel perno così vilipeso e appeso alla croce quando tutti si allearono per osannare il potere, facendolo albergare nel proprio cuore indurito (come poeticamente ha raccontato ne “i misteri”).  Il sepolcro vuoto, infine, è per lui, con lui, con tutti, la certezza della speranza, l’evidenza della salvezza. Non c’è denaro che tenga, la salvezza dell’uomo non è merce da mercato, non si compra.

L’imborghesimento “danaroso”

L’incontro con Gesù che salva qui e ora, riscaldato dal tepore di un venticello caldo di socialismo umanitario, determina in Peguy una consapevolezza rivoluzionaria: lui non ce l’ha con il denaro in sé, ma con il culto del denaro che genera una mentalità borghese che allontana dalla verità, da un quotidiano sensato. Il culto del denaro è mentalità individualista. È mentalità sepolcrale, appunto da sepolcro che ha provato a mettere la parola fine sul vero Fine.

“Il denaro” è un libro effervescente, un’eruzione che non è solo un’invettiva. Accusa, certo. E come non potrebbe un intellettuale di tale fatta? Peguy suggerisce di non arrendersi al tempo del denaro. Non ne fa questione di classi sociali. La tentazione dell’imborghesimento “danaroso” investe e può travolgere tutti. La rincorsa ad imitare il peggio è il raffermo pane quotidiano. A Peguy piace l’alimento salvifico del pane quotidiano. Oggi, il tempo del denaro sono due facce della stessa medaglia; da un lato il neoliberismo che ha prodotto la finanziarizzazione dell’economia e dall’altro il metodo cinese con quella commistione discutibile tra vecchia ideologia comunista e dinamiche di statalismo mercantile. Peguy inorridirebbe senza arrendersi, però.

Affiliati Matteo Peducci, La via del pane, 2023, marmo Botticino, 20x118x283cm – ©Courtesy GAlleri Rubin, Milano

Un lavoro ben fatto

Il cristiano Peguy – così lontano ma anche così vicino se ci si apre alla curiosità di provare a frequentarlo e frequentare il suo pensiero innervato dal Vangelo che è pagina di carne – è senza alcun dubbio un bel provocatore. Volete una prova? Ancora un passaggio da “Il denaro”: «Abbiamo conosciuto un onore del lavoro identico a quello che nel Medio Evo governava le braccia e i cuori. Proprio lo stesso, conservato intatto nell’intimo. Abbiamo conosciuto l’accuratezza spinta sino alla perfezione, compatta nell’insieme, compatta nel più minuto dettaglio. Abbiamo conosciuto questo culto del lavoro ben fatto perseguito e coltivato sino allo scrupolo estremo. Ho veduto, durante la mia infanzia, impagliare seggiole con lo stesso identico spirito, e col medesimo cuore, con i quali quel popolo aveva scolpito le proprie cattedrali. […] Un tempo gli operai non erano servi. Lavoravano. Coltivavano un onore, assoluto, come si addice a un onore. La gamba di una sedia doveva essere ben fatta. Era naturale, era inteso. Era un primato. Non occorreva che fosse ben fatta per il salario, o in modo proporzionale al salario. Non doveva essere ben fatta per il padrone, né per gli intenditori, né per i clienti del padrone. Doveva essere ben fatta di per sé, in sé, nella sua stessa natura. Una tradizione venuta, risalita dal profondo della razza, una storia, un assoluto, un onore esigevano che quella gamba di sedia fosse ben fatta. E ogni parte della sedia che non si vedeva era lavorata con la medesima perfezione delle parti che si vedevano. Secondo lo stesso principio delle cattedrali».

La Pasqua di Cristo salva tutto. Perciò anche il senso del lavoro che sembra perduto. E anche il senso del denaro che sembra tutto