Berlinguer: le idee, l’ambizione e la grande illusione

In “Berlinguer – La grande ambizione” si racconta la drammatica vita pubblica come gli intensi squarci di vita privata del segretario del Partito comunista italiano. In cinque anni ad alta temperatura. Dal tentativo del Kgb di eliminarlo a Sofia nel 1973 all’esecuzione di Aldo Moro da parte delle Brigate rosse. In quell’arco temporale si succedono speranze, travagli, dilemmi, sconfitte. La storia di un leader e passaggi storici del partito comunista più importante dell’Occidente. Andrea Segre firma un film denso, tra slanci e fratture. Dove, in sostanza, si consuma l’agonia di un popolo, il tramonto di un’ideologia e la fine di un’avventura politica. Elio Germano è strepitoso nei panni del segretario 



15 novembre 2024
Strada interrotta
Metafisica dell’immagine
di Walter Ottolenghi

Una sparuta rappresentanza italiana al 25° congresso del PCUS (1976) segue con un impercettibile movimento delle labbra il coro dell’Internazionale intonato a piena voce dalla platea dei congressisti. Un’inquadratura di “Berlinguer – La grande ambizione” che dipinge l’imbarazzo per la consapevolezza di una distanza ormai incolmabile col mondo del “socialismo reale”. Probabilmente unita al ricordo di note simili cantate in altre circostanze e con ben altro spirito. La passione per il riscatto delle “plebi sempre all’opra chine” non può che stridere con l’ipocrita coreografia delle delegacii  in abito della festa che celebrano la gloria del partito dei gulag e dei cingoli sulle speranze di Budapest e di Praga.
Il gelido applauso di circostanza alla conclusione dell’intervento sulle vie nazionali al socialismo, il dialogo tra sordi con un Brežnev ingessato nella sua ottusità quanto lo è nella giacca costellata di medaglie e il precedente fallito attentato di Sofia alla vita del segretario del PCI sanzionano una frattura di fatto consumata.

Eurocomunismo e democrazia pluralista

Nel film di Andrea Segre si intrecciano vita pubblica e vita privata del politico sassarese giunto a un ruolo di primo piano non solo nello scenario italiano ma anche nel contesto europeo. Attivando il processo di abbandono del marxismo-leninismo che accomunò i partiti comunisti occidentali nell’evoluzione che prese il nome di “eurocomunismo”. Una visione chiaramente alternativa rispetto alle cupe dittature imposte dai partiti ex-fratelli dell’impero sovietico. Non una rinuncia al socialismo, ma una sua costruzione con l’acquisizione del consenso secondo le regole della democrazia pluralista e nel rispetto dei diritti umani.
Il film non risolve il dilemma se questo corso innovativo sia stato dettato in via prioritaria da una personalissima maturazione etica o da una svolta determinata dal tragico fallimento dell’esperimento cileno di Salvador Allende. In rotta di collisione con gli interessi degli Stati Uniti e le ambizioni della stessa società cilena, che probabilmente gli aveva affidato il potere nella speranza di raggiungere standard di vita migliori, ma poco interessata a fare da cavia di un collettivismo in salsa sudamericana.
Il precedente cileno poneva la domanda di quanto sarebbe durato in Italia il consenso a un eventuale governo a guida comunista generato da una vittoria elettorale. Militanti del partito ed elettori simpatizzanti avevano entrambi sperimentato un trentennio di libertà democratiche e di inattesa prosperità portata dal boom economico. Come avrebbero reagito nel caso si fosse tentata una politica di replica dei dettami dell’internazionalismo bolscevico? Finalizzato ultimamente a beneficiare e puntellare il potere moscovita. E il resto della popolazione? Gli apparati dello Stato? Queste preoccupazioni non sarebbero state già abbastanza gravi in sé, anche senza necessariamente pensare a cospirazioni degli alleati NATO, la CIA e l’MI6?

L’Italia delle ingerenze esterne

Come non poteva apparire antistorica la convinzione di poter realizzare una qualche sia forma di comunismo in un’Italia ormai profondamente diversa da quella degli anni di Gramsci? Integrata nel nuovo occidente in piena crescita sulle basi della pax americana e della progressiva unificazione europea.  Il film sorvola sull’anacronismo di questa ipotesi senza farvi riferimento specifico. Limitandosi alla versione ufficiale del rischio di pesanti ingerenze esterne, anche se appare evidente che queste domande non erano certamente estranee ad un uomo con l’intelligenza e la consapevolezza storica di un Berlinguer.
Dall’insieme della sceneggiatura e anche dal ricordo diretto di chi quegli anni li ha personalmente vissuti sembra che il comunismo fosse per Berlinguer, come per tanti italiani di quella generazione, un traguardo ideale per il quale il cuore doveva essere gettato oltre ogni ostacolo costituito dalla realtà. Qualcosa di sicuramente alternativo e migliore rispetto alle contraddizioni del mondo di cui si faceva esperienza, di cui si sapeva con chiarezza cosa non sarebbe dovuto essere, ma molto confusamente cosa sarebbe invece dovuto diventare.
Persa, fortunatamente, la bussola leninista e l’illusione che il sol dell’avvenire spuntasse a Est, si trattava di capire prima di tutto quali obiettivi indicare a quelli che “ci avevano creduto”. Ed è sul rapporto con la base, quella delle fabbriche, delle sezioni, delle feste dell’Unità e dei cortei che sono scritte le pagine cinematografiche forse più belle ed emozionanti del racconto. Non solo i dialoghi spesso ingenui e impacciati dei “militanti”, dove traspare un’onesta e sincera voglia di capire i tempi che cambiano, assieme all’implicita domanda di essere confermati nella fedeltà alla “idea”. Ma molto, anche, le inquadrature di volti aperti alla fiducia e all’ottimismo. I volti di un popolo, non di un esercito di arcigni guardiani della rivoluzione.

Moro e il compromesso storico

Questo non toglie che molti aspetti della svolta eurocomunista abbiano sollevato interrogativi ai quali né il film né la Storia hanno saputo dare una risposta. Come poteva essere mantenuto l’impegno assunto al rispetto della Costituzione, dopo l’instaurazione di un regime di rapporti economici e sociali che per sopravvivere avrebbe dovuto escludere ogni possibilità di alternanza nella conduzione politica del Paese? Si poteva immaginare un comunismo smontabile a piacimento a cadenza quinquennale in caso di esito sfavorevole di una elezione. E poi rimontabile in una più favorevole occasione successiva? Oppure si voleva semplicemente suggerire che il comunismo era un’utopia ormai abbandonata (anche se non lo si poteva dire) e l’obiettivo era semplicemente raggiungere una maggioranza parlamentare per dare un’incisiva spinta “progressista”, qualunque cosa questo volesse dire, a un regime sostanzialmente liberale? Non lo sapremo mai.
Come non sapremo mai i motivi per cui la reazione delle istituzioni al rapimento di Aldo Moro, cui sono dedicate alcune delle sequenze più drammatiche, fu tanto inefficace.
Quella tragedia comunque non interruppe, nei fatti, il cammino del Compromesso Storico che ebbe come sicuro risultato la sconfitta del terrorismo. Questo successo, essenziale per la continuità della democrazia, non fu poi seguito da granché d’altro. Non perché non siano continuate le intese tra le rappresentanze politiche di diverso segno, ma perché l’auspicato movimento di popolo che sarebbe dovuto nascere dalla convergenza tra le plebi comuniste e le plebi cattoliche si trovò a corto di materia prima. Le plebi non c’erano più, avevano lasciato il posto all’individualismo di massa. Sono rimasti i poveri. Ma quelli sappiamo che li avremo sempre con noi e anche che, secondo il verbo marxista, come materiale rivoluzionario non valgono granché.

L’attore Elio Germano – Foto @Irina Ivanova-Jolefilm Tarantula Agitprop

La profezia di Del Noce

Il film si chiude con le straordinarie immagini del funerale e del milione e mezzo di partecipanti. Un omaggio vero a un uomo che ebbe l’indubbio coraggio di riconoscere apertamente l’impraticabilità del comunismo nell’unica versione storicamente realizzata. E di operare una frattura con i regimi che la impersonavano, mettendo a rischio la sua stessa vita. Non solo in terra bulgara ma, come temeva, pericolosamente a tiro dei sicari delle Brigate rosse nel proprio paese. Il resto è storia. Compresa l’evoluzione/involuzione del suo partito in movimento radicalprogressista, sapientemente orchestrato dal duo Scalfari – De Benedetti, profetizzato da Augusto Del Noce. Berlinguer rimane un’icona, santificata da quel che resta della sinistra. Ma appartiene a un mondo ormai lontano. Come la sua bellissima vela latina da pescatore sardo per gite in famiglia o in solitaria nel mare di Stintino. Col timone rigorosamente a barra e una sola mano a tenere la rotta.