Alcide De Gasperi a teatro: l’ideale, la politica, la democrazia, l’Europa
La drammaturga Angela Demattè ha scritto un testo per lo spettacolo teatrale “De Gasperi: l’Europa brucia” appena passato da Milano al teatro Carcano. Una sfida affascinante. L’incontro ravvicinato con un grande protagonista della politica come servizio a settant’anni dalla morte. Una lezione alta di un uomo delle montagne che credeva nel popolo. Una lezione, non solo politica, che continua a essere di grande attualità. Intervista.
8 marzo 2024
Racconto di uno statista
Conversazione con Angela Demattè a cura di Enzo Manes
Lo statista Alcide De Gasperi muore nel 1954, settant’anni fa. Nella ricorrenza vi sono molti modi per ricordarne la figura. La drammaturga Angela Demattè – Premio Riccione per la stesura di “Avevo un bel pallone rosso” – ha scritto un testo per lo spettacolo teatrale intitolato “De Gasperi: l’Europa brucia” per la regia di Carmelo Rifici (scuola Luca Ronconi) con Giovanni Crippa, Emiliano Masala, Livia Rossi, Francesco Maruccia e con uno straordinario Paolo Pierobon nei panni del padre costituente, del politico italiano e primo presidente del Consiglio dopo la fine della Seconda guerra mondiale. Abbiamo dialogato con lei.
Angela Demattè, immagino che per scrivere il testo di “De Gasperi: L’Europa brucia”, lei abbia in un certo senso dovuto incontrare l’uomo, il politico, il padre costituente, lo statista. E anche se non soprattutto il suo conterraneo delle valli trentine. Chi è allora Alcide De Gasperi per come lo ha conosciuto e frequentato?
Un uomo dalle moltissime vite. Studi in filologia, scopre presto la passione per la politica: parlamentare dell’Impero austro – ungarico. Una fede cattolica solida che spende nella concretezza delle scelte. Poi parlamentare italiano, quindi perseguitato dal regime fascista.
Un protagonista del risveglio dell’Italia dopo il ventennio, europeista convinto al tempo della guerra fredda. Un uomo che crede nella democrazia, nel popolo. Incontrarlo ha significato per me raccontarne la complessità, l’educazione, la cultura, la correttezza, il suo voler essere a posto con la coscienza.
Un uomo che fatica ad accettare i compromessi pur sapendo che la politica è anche quello. Si può dire che io nell’indagare la sua persona abbia indagato anche me stessa. Appunto, da conterranea, terra di valori semplici, eppure forti. Un bell’incontro, insomma. Proprio perché quella di De Gasperi è una figura complessa. Che, nel testo dello spettacolo, non ho voluto assolutamente scioglierla e risolverla in un modo o nell’altro. Il teatro non ha quel compito, i dilemmi perciò rimangono intatti. Il teatro è chiamato a farli vivere.
Cosa l’ha motivato a scrivere questo testo? Quali obiettivi avevi in mente?
La curiosità per gli ideali di Gasperi e il suo modo di tradurli in politica. Il suo non concepirsi da solo, il realismo nell’esercizio di un compito nobile e gravoso.
Anche nella disponibilità a domandare aiuto, volente o nolente. Lui credeva fortissimamente nella libertà, nella democrazia, nell’Europa. E questi ideali, nell’arco temporale tra il 1946 e il 1954, vivono la prova di misurarsi con la politica.
Con le difficoltà, con le drammaticità, con le incomprensioni. Con le evidenti contraddizioni che gli pesavano eccome. Lui aveva in mente la libertà ma, invece, nella vita quotidiana si stava innestando la tentazione desiderio di benessere. Cioè il confondere la libertà con il potere d’acquisto. È il pericolo del consumismo profetizzato da Pasolini che De Gasperi non aveva colto. E oggi, più che mai, divenuto pratica di normalità. Anche se i giovani qualche speranza la offrono.
Ho fatto alcune interviste al Centro commerciale di Arese. Ebbene, i giovani mi hanno detto di sentirsi liberi anche se in tasca non hanno molti soldi da spendere. Non si sentono per quel motivo mortificati. Per me è un segnale da raccogliere.
De Gasperi quale concezione aveva della politica? Come si misurava con essa nel suo faticoso corpo a corpo quotidiano?
La intendeva come servizio al popolo. Si sentiva rappresentante di tutto il popolo. Quella convinzione lo ha accompagnato fino alla fine. In politica sapeva bene che bisogna usare delle strategie. Assumersi responsabilità.
Tuttavia, lo faceva avendo coscienza del proprio limite. Infatti, scriveva in continuazione bigliettini a Dio, erano quasi preghiere dove domandava al Padreterno di illuminarlo nelle decisioni da prendere. Aveva chiaro che il governo è del popolo e su questo, nel suo agire, non vi sono mai state scalfitture. Non è un caso che per tali convincimenti alla fine verrà estromesso dalla Democrazia cristiana.
Immergendosi nei suoi documenti, in particolare testi e discorsi, cosa l’ha colpita del suo linguaggio? E quanto ritiene la cura della parola fondamentale nel fare politica?
La parola conta di più di quanto pensiamo. Il linguaggio è una forma di potere molto forte. De Gasperi ne aveva grande coscienza. E assai accurato nella preparazione dei suoi discorsi che costruisce con la figlia Maria Romana (.CON ha realizzato il Podcast con Maria Romana De Gasperi, qui
https://www.centroculturaledimilano.it/thevoice-maria-romana-de-gasperi-mio-padre-alcide-la-politica-per-il-bene-comune/ ). Le parole hanno suoni, significati, e lui le sapeva usare. È stato un grande retorico, probabilmente aveva ben in mente la lezione di Shakespeare. Faceva propaganda, va detto non secondo un’accezione negativa, ma oggettiva. Anche quello prevedeva il gioco politico. Ma i politici di quegli anni attingevano sempre dal reale. Ecco perché De Gasperi riteneva fondamentale la ricerca sempre della parola giusta.
Il linguaggio che adottava nei suoi discorsi doveva essere convincente e pragmatico. E nello spettacolo questo aspetto viene fuori molto bene attraverso i dialoghi e le battute grazie al lavoro del regista Carmelo Rifici e degli attori. La costruzione di questo spettacolo è stato un confronto continuo dove è emerso il valore della coralità.
Quale Europa corre nei pensieri di De Gasperi e quali difficoltà vive nel provare a tessere la tela dell’unità di quel corpo fragile, appena agli albori ancora con la ferita viva della guerra?
Lui ha quella grande intuizione insieme ad Adenauer e Schuman. Tutti e tre cattolici, tutti e tre uomini di confine, tutti e tre di lingua tedesca. Nella prima circostanza di assenza della guerra, quei politici pensano a un’Europa comune, con radici comuni, cristiane ma anche laiche, con una politica comune. E ritengono fondamentale la creazione di un esercito che permetta di tenere unito saldamente il continente. De Gasperi vivrà come una grave e dolorosa sconfitta l’impossibilità a veder realizzato quel progetto di sicurezza difensiva.
Nell’allestimento, con De Gasperi ci sono sulla scena altri quattro personaggi: la prima figlia Maria Romana, Palmiro Togliatti, segretario del Partito Comunista Italiano, l’ambasciatore americano Clement Dunn (Giovanni Crippa) e un giovane di Matera. Con ciascuno di loro De Gasperi anima discussioni, affronta problemi gravosi, anche un certo travaglio personale nel vivere da politico un’esperienza assai complessa e controversa. È come se in quelle vivaci conversazioni, come nei celebri discorsi primo fra gli altri quello pronunciato nel 1946 alla Conferenza di pace di Parigi, lei abbia voluto porre l’attenzione sul contenuto drammatico della democrazia in Occidente, questione così attuale. È così?
Certo. Ricorriamo a De Gasperi capo del governo italiano per ragionare sul nostro concetto di democrazia oggi. In ogni dialogo dello spettacolo quello è il filo rosso.
E si tratta di un vero e proprio dilemma. Nell’accesissimo confronto con Togliatti, come con l’ambasciatore degli Stati Uniti, c’è tutta la questione di cosa si intenda per democrazia occidentale.
Non dimentichiamo che Togliatti gravita ancora su Mosca e l’Italia ha degli obblighi con il Patto Atlantico a guida statunitense. Si comprende allora che la democrazia non è un modello immutabile, ma è sempre in cammino, proprio perché non è un sistema perfetto. Nell’antica Grecia ne emergeva la necessità per superare la tirannia. Poi ha la democrazia ha dovuto continuamente muoversi nel rapportarsi con la realtà. Così al tempo di Gasperi, della guerra fredda, e così adesso.
Che cosa lei dice e ci dice oggi il suo De Gasperi?
Mi commuove. La sua voce vera è struggimento. A me continua a insegnare moltissimo, mi trasmette determinazione, mi provoca a lavorare per la verità come bene di tutti. A non chiudere gli occhi di fronte allo spadroneggiare dei ricchi, a far mio il suo profondo senso di giustizia.
De Gasperi era una persona umile, intransigente con sé stesso, non si perdonava niente e non certo per moralismo. Si adoperava nel tentativo di trovare soluzioni per chi quelli che non ce la facevano. Pensava agli ultimi: la carità cristiana che innerva la politica. Il tema della giustizia sociale e delle ineguaglianze è drammaticamente attuale. La povertà è diffusissima e la politica non se ne occupa come dovrebbe. Va recuperato lo spirito della politica come servizio. Questo mi comunica oggi De Gasperi. Spero lo stesso per molti altri. A cominciare da chi lo ha incontrato e lo incontrerà assistendo, partecipando, a questo spettacolo.
Le date dello spettacolo ad oggi (in aggiornamento):
LAC Lugano, 9 marzo 2024
Teatro Gobetti, Torino, 12 – 17 marzo 2024
Teatro Vascello, Roma, 19 – 24 marzo 2024