Quella volta insieme a George Foreman, fuoriclasse del ring

Il 21 marzo, pochi giorni fa, la morte di una leggenda della boxe, il due volte campione del mondo dei pesi massimi che finì al tappeto, nel 1974, in un match epico con Muhammad Alì. Dove “Big George” era nettamente il favorito. Questo è il racconto di un breve ma intenso dialogo avvenuto con lui in una strana mattinata milanese. Tutta la gentilezza di un gigante che sul quadrato, tra ganci e montanti, ha concluso quasi sempre gli incontri per ko: 68 su 81 Tranne una volta. Quella volta. La più importante. Ma il pugile texano non l’ha mai maledetta. Come non ha mai maledetto Alì, divenuto il suo più grande amico. Una storia di boxe. Una storia di vita. Tra violenza giovanile, guantoni e Vangelo     


28 marzo 2025
Leggendario
di Enzo Manes

George Foreman

«Devoto predicatore, devoto marito, padre amorevole, orgoglioso nonno e bisnonno, ha condotto una vita segnata da fede granitica, umiltà e determinazione». Questo il post scritto dai familiari di George Foreman, il grandissimo campione di una boxe che non c’è più da troppo tempo, morto appena pochi giorni fa, il 21 marzo. A Houston, Texas. Aveva 76 anni.
L’ho incontrato a Milano, George Foreman.  In una circostanza piuttosto strana, niente a che vedere con il ring che aveva abbandonato ormai da qualche tempo. Era arrivato dagli Stati Uniti per promuovere una linea di bistecchiere per barbecue che portava il suo nome. Era uno dei suoi business, quello. Ne sono state vendute oltre 100 milioni. Era un campione anche in quella attività.
In una location un po’ ovattata, giustamente “fumosa” lui mise in piedi una presentazione da consumato imbonitore televisivo. Però, quella mattina, fregava a nessuno essere lì per bistecchiere e barbecue. Si era lì per lui, George Foreman, due volte campione del mondo dei pesi massimi, nel 1969 medaglia d’oro all’Olimpiade di Città del Messico. Quella mattina eccoli lì i molti cantori del pugilato che gli volevano bene. Io stavo accanto a Maurizio Mosca con cui collaboravo per le sue trasmissioni tra il pallone e lo spettacolo pop ma che – forse pochi lo ricordano – si era fatto notare per il racconto vibrante della boxe sulla “Gazza”, quella che accendeva passioni al Madison Square Garden e lui era lì per gli incontri memorabili, Griffith – Benvenuti, per dire.

La famiglia Foreman

“La rissa nella giungla”

Con “Big George” fu un bellissimo e rapidissimo incontro. Durato forse una quindicina di minuti, il tempo di cinque round, dopo la sua funambolica presentazione/dimostrazione. Ovviamente si è tornati al match, all’evento di una notte, al “Rumble in The Jungle”, la “rissa nella giungla” del 30 ottobre 1974 (un avvenimento così unico e irripetibile nella storia dello sport ma non solo come lo è stato Italia – Germania 4 a 3), alla sfida sul ring di Kinshasa, allora Zaire, dove Foreman vi salì da favorito e invece lo vinse Muhammad Alì, addirittura per ko all’ottavo round. “Il mio sbaglio fu quello di pensare, anche solo per un attimo, che avrei vinto sicuramente io. Mi sentivo forte, molto forte, venivo da incontri vinti facilmente. Forse troppo”.
Ma che match è stato quello, George. Gli dico che allora io avevo 14 anni ma che c’ero anch’io ipnotizzato davanti al televisore con mio padre che non se ne perdeva uno di quell’incrociare di nobili guantoni. E con noi, quella notte da mille e una notte, un miliardo di telespettatori nel mondo. Dimmi George, è stata dura riprendersi dopo quel ko? Foreman, sguardo fisso, dà l’impressione di ripassare la scena e chissà quante volte ha rivisto le sequenze di quel film così spettacolare, duro e puro, mi risponde così: «Beh, è stato il mio primo ko, ho perso in Africa con tutto lo stadio che tifava per Alì, in pratica mi vedevano come un bianco che andava ucciso».

Il Campione del mndo più anziano della storia

Quel accidente di Alì, sublime artista del quadrato, aveva preparato a puntino l’ambiente. Sapeva di essere sfavorito. Per giorni e giorni si era lanciato in una campagna durissima contro il rivale tacciandolo di tradimento del popolo nero, di farsela con i bianchi. E altri colpi sotto la cintura. Aveva preso come esempio il fatto che Foreman si fosse avvolto nella bandiera Usa dopo la conquista della medaglia d’oro olimpica nell’edizione dove i velocisti Usa Tommie Smith e John Carlos avevano ostentato il pugno chiuso avvolto in guanti neri sul podio al momento della premiazione e dell’inno americano. Insomma Alì ci aveva costruito su un film, naturalmente esagerando assai, Foreman non era quell’uomo rappresentato dal furbo e guascone avversario. Non era un impegnato, certo; ma neppure indifferente alle sorti del proprio Paese che amava moltissimo. Ma il popolo congolese non aveva motivi per mettere in discussione le parole di un mito come Muhammad Alì. «Quella sconfitta poteva sotterrarmi, ci ho sofferto per un po’, poi mi sono ripreso. Maledetto Alì», ma me lo dice ridendo di gusto.

Muhammad Ali plays around with George Foreman

Il ring e il ring della vita

Ma vi sentite ancora, azzardo? «Certo. Siamo ottimi amici. Nessun rancore, ci mancherebbe. Il ring non è mai l’inferno e nella vita ti puoi sempre tirare in piedi, non finisci mai al tappeto per sempre». Quella volta non mi dice che è diventato il suo migliore amico, il fratello più caro. Lo dirà negli anni a venire. E lo dimostrerà con i fatti. Come quella sera quando lo sorregge per farlo salire sul palco per la premiazione degli Oscar, lui, il caro Muhammad colpito dal Parkinson, a ritirare il premio per il film documentario “When we were kings”, quando eravamo re.
L’omaccione che ho a un metro ha voglia di parlare, i suoi modi sono bonari, più sbrigativi sono quelli dell’organizzazione che hanno fretta di portarselo via, dicono di un volo per la Germania che non può attendere, che in agenda c’è un’altra presentazione. Sarà…
Adesso George anticipa le domande per non deludermi, per non sprecare i pochi minuti che restano. Mi spiega che il Vangelo lo ha completato quando correva il rischio di smarrirsi, che fa parte di una chiesa evangelica, che battezza bambini e che ha fondato una realtà per recuperare dalla strada ragazzi in difficoltà, come da giovane lo è stato lui sempre impegnato in risse ed altre turbolenze «ma non è facile tenerla in piedi, costa tanto». Anche per questo motivo è tornato a combattere e nel 1994, si è ripreso la corona dei pesi massimi a 45 anni suonati. Tre anni dopo, fine. E questa volta per davvero. “Adesso sono felice così, ringrazio Dio tutti i giorni”.

George-Foreman and Muhammad Ali 17th October 1989

George ha avuto cinque figli tutti che portano il suo nome e sette figlie, ma Frida, la terza, si è suicidata in casa nel 2019, aveva 42 anni. Una morte che gli ha fatto male. Molto. Ma Big George non si è spento dentro quel dolore. Si spento lentamente negli anni a seguire senza maledire nulla della vita. Lui che un giorno decise di abbassare per sempre i guantoni perché – disse – glielo aveva domandato Dio: «Dedicati alle buone azioni e chiudi con i pugni». Lo ha scritto in una autobiografia uscita nel 2007 dal titolo “God in my corner”, cioè Dio nel mio angolo, quello dove si sedeva tra un round e l’altro al suono del gong della campanella.
Già. Dio con lui sul ring della vita.