Claudio Chieffo: “Sapere cantare Dio è la cosa più bella”

L’ottantesimo anniversario della nascita dell’artista romagnolo porta in libreria il volume “La Ballata di Chieffo Storia di un cantautore” (edito da Volontè&Co) scritto dal giornalista, critico musicale e scrittore Walter Gatti. Un lavoro nuovo, di scavo e circostanze inedite, per conoscere un uomo e un autore di canzoni di profondo significato. Che ha saputo far proprio un felice convincimento di Sant’Agostino: “Il cantare è proprio di chi ama”. 


14 marzo 2025
Missione e bellezza
di Enzo Manes

Foto in copertina del Libro La ballata di Chieffo – Storia di un cantautore di Walter Gatti

Diceva Sant’Agostino: “Il cantare è proprio di chi ama”.  Didascalia essenziale che calza a pennello per descrivere l’avventura artistica – e perciò umanissima – del cantautore Claudio Chieffo. Ed è in questa direzione che viaggiano le pagine del libro “La Ballata di Chieffo Storia di un cantautore” (edito da Volontè&Co) scritto dal giornalista, critico musicale e scrittore Walter Gatti (collaboratore fedele di questa rivista). Freschissimo di stampa, il lavoro esce in occasione dell’ottantesimo anniversario della nascita di Chieffo, il 9 marzo 1945, in quel di Forlì, Romagna profonda. E morto dopo una malattia incurabile il 19 agosto del 2007.

Il palco del Club Tenco negato

Chieffo è stato un eccellente cantautore che però non ha avuto un posto al sole nell’olimpo della canzone d’autore nostrana. Si sa, quello è un ambientino un po’ così; per farne parte i meriti artistici vengono sempre un attimo dopo. Il problema è l’attimo prima. Fatalmente. D’altronde se scrivi canzoni aggrappato alla certezza che il cuore della musica è il mistero quell’ambientino si irrigidisce. E ci mette un attimo a metterti da parte. Come è successo più volte per le sue mancate partecipazioni al Club Tenco. Ogni anno il nome di Claudio Chieffo veniva proposto perché le sue ballate avevano indubbia qualità poi, improvvisamente, il cantautore romagnolo spariva dalla lista. Cancellato. Tu chiamali se vuoi pregiudizi… Pregiudizi in un attimo!
Già perché Claudio Chieffo non ha mai tenuto in seconda fila la sua fede cattolica, la sua amicizia con don Luigi Giussanile canzoni di Claudio Chieffo sono veramente una meditazione, non c’è una sola parola non centrata») e la sua adesione al movimento di Comunione e Liberazione. Ma con altrettanta certezza non ha mai collocato in prima fila il suo essere cantautore cattolico, anche se molte sue canzoni sono cantare durante la Messa e negli appuntamenti di catechesi e incontri di Comunione e liberazione. L’etichetta di cantautore cattolico gli è stata appiccicata addosso, per comodità o per scomodità.
Succede quasi sempre così: scrittore cattolico, poeta cattolico, intellettuale cattolico. La cultura dominante non va mai per il sottile…
Walter Gatti entra mani e piedi dentro questa parte non irrilevante dell’avventura musicale di Claudio Chieffo. Tuttavia, proprio perché sono pagine che viaggiano, che ballano con un autore che ha amato le ballate, nel libro vi è tantissimo altro. Semplice e interessante. Passaggi così: «Claudio – che nel frattempo ha finito il liceo e si è iscritto alla facoltà di lettere a Bologna che finirà in tempi brevissimi – scrive nel suo diario: “la più grande scoperta che sto facendo in questi giorni è che nulla ha senso senza Dio”
E poco dopo aggiunge: “Spero di riuscire a fare una canzone per poter comunicare agli altri la forza, la vita, la gioia che è in me. Sapere cantare è bellissimo. Sapere cantare Dio è la cosa più bella».

Ha cantato sette volte per il papa

E nel tantissimo altro vi è il racconto dettagliato di come è arrivato a scrivere canzoni (alla fine saranno centoquaranta) lui che comunque ha continuato a fare il professore di lettere fino alla pensione; perché ha scelto di scrivere canzoni a partire da fatti della vita quotidiana; perché ha scritto non pochi brani pensando a suoi cari amici, a volti precisi e indimenticabili come, tra gli altri, don Giussani, don Francesco Ricci (sacerdote di Forlì che lo ha spronato a scrivere canzoni provocandolo sul terreno della fede incarnata nella Storia), don Pigi Bernareggi, don Luigi Negri, la cantautrice Adriana Mascagni, il pittore statunitense Bill Congdon, Giorgio Gaber. E ancora: i numerosissimi concerti, veri e propri accadimenti, in Italia e all’estero (per dire, ha cantato sette volte davanti al papa); la sfida discografica, dopo le registrazioni diciamo così più artigianali, la decisione di affidarsi alla collaborazione di eccellenti professionisti del suono e degli strumenti. Va detto che il lavoro in studio soprattutto con la cura degli arrangiamenti ha permesso, rispetto alle produzioni degli inizi, la nascita di dischi di ottima resa. Il che ha dato più incisività alla potenza delle sue canzoni, sincere fino al midollo come, giustamente, ha messo in rilievo Gatti.

La “ballata del potere” e il perdono

La vicenda di Claudio Chieffo ha attraversato straordinari e complicati momenti della storia. Italiana e no. La sua fedele amicizia con il sacerdote Francesco Ricci gli ha destato l’attenzione verso l’Europa orientale. E certamente la salita al soglio pontificio di Karol Wojtyla ha contribuito in misura decisiva a saldare quel rapporto con persone di quei Paesi che hanno patito i terribili misfatti del totalitarismo di marca sovietica. Purtroppo, un franchising ideologico alquanto efficace.
Nelle sue canzoni Chieffo non si limitava a denunciare la gravità dei problemi, non vedeva solo le offese prodotte da altri, lasciava intravedere la possibilità di uno sguardo diverso, autenticamente umano. Ad esempio, nella “Ballata del potere”:

Forza compagni, rovesciamo tutto
E costruiamo un mondo meno brutto

Per un mondo meno brutto, quanti giorni e quanti mesi
Per cacciare alla malora le carogne dei borghesi
Ma i compagni furon forti e si presero il potere
E i miei amici furon morti e li vidi io cadere

Ora tu dimmi come può sperare un uomo
Che ha in mano tutto, ma non ha il perdono

Come può sperare un uomo quando il sangue è già versato
Quando l’odio in tutto il mondo nuovamente ha trionfato
C’è bisogno di Qualcuno che ci liberi dal male
Perché il mondo tutto intero è rimasto tale e quale

Questa è una delle sue canzoni più note e, per così dire, spartiacque.  Una volta, fa sapere Gatti, venne cantata da giovani studenti universitari di Comunione e liberazione nell’aula magna della Statale di Milano durante un’assemblea sessantottina. I militanti del Movimento studentesco stavano apprezzando la canzone seppur intonata da quello strano gruppo di cattolici, “forza compagni, rovesciamo tutto e costruiamo un mondo meno brutto”. Poi la ballata svicolava dalla pura retorica dei troppi componimenti di lotta al tempo piuttosto in voga: “Ora tu dimmi come può sperare un uomo che ha in mano tutto, ma non ha il perdono”. L’apprezzamento iniziale sfiorì in fischi e insulti. I compagni non avevano alcuna intenzione di fare i conti con quella possibilità. Non avevano tempo da perdere con simili quisquilie. Il fatto è che il potere è il potere. Inguaia tutti. Per questo, dice la canzone, c’è bisogno di Qualcuno che ci liberi dal male. Qualcuno con la maiuscola. Perché da soli non ci si libera affatto. Chieffo, come in tutte le sue canzoni, non è mai stato reticente. Raccontava cantando la vita, appunto sincero fino al midollo, nel suo rapporto serrato con la fede cattolica

Claudio Chieffo con don Luigi Giussani

Canzone per Gaber

Nel libro sono davvero numerose le testimonianze che via via aiutano a conoscere Claudio Chieffo, uomo e artista. Marito, padre, amante di Bob Dylan, della west coast californiana, del folk irlandese, delle chitarre. Voci inconsuete affiorano e dicono tra le righe di pagine dense che collocano il racconto in una preziosa cornice storica. Voci fuori dal coro si direbbe. Quelle di Francesco Guccini e Giorgio Gaber, a dir poco i vertici della canzone d’autore e del Teatro – canzone. Gatti riporta episodi assai significativi di dialoghi e rapporti con Francesco e Giorgio per nulla di convenienza. Per niente scontati. D’altronde, cosa poteva venirne a un Guccini e a un Gaber da parole di circostanza con un “defilato” per eccellenza?
Un uomo sincero che osava cantava che “era un uomo cattivo, ma cattivo, cattivo, cattivo, eppure così cattivo e il Signore lo salvò”. Ne venne qualcosa di imprevisto, di essenziale, di vero, cioè la bellezza di un incontro che spacca le ipocrisie e abbatte i muri che sono, di norma, assai spessi e alti e alti. Con Guccini, nel corso degli anni, anche quattro serate tra pensieri e canzoni. Anche con Gaber pensieri e canzoni: «Nelle canzoni di Claudio c’è un’onestà, una pulizia, un amore naif che fa pensare. Siamo profondamente diversi, non solo per le sicurezze che lui ha e che io non ho, ma soprattutto perché nelle sue canzoni lui non fa mistero delle sue certezze».
Il 1° gennaio 2003 Giorgio Gaber moriva. L’11 febbraio 2003 Chieffo ultimò di scrivere un brano per il suo caro amico: “Canzone del melograno”. Che termina così:

Segui il raggio di luce e la luce di porterà
dove il dubbio ritorna domanda e rinasce il cuore:
nel giardino c’è Dio che ti aspetta e ti vuole parlare
puoi sederti vicino vicino ad ascoltare…

Chieffo con David Horowitz

La confessione del musicista Mark Harris

Il musicista, compositore e arrangiatore Mark Harris – ha collaborato con Alice, con Fabrizio De André, Enzo Jannacci, Eugenio Finardi, Mia Martini, Pino Daniele, Eros Ramazzotti, Alan Sorrenti, Renato Zero (e suonò al Festival del CMC “Andiamo al largo”) – grande amico di Chieffo (da sentire l’album “Chieffo & Piano”), lo ha accompagnato per anni, suonando le tastiere, nei concerti. E mai gli ha nascosto lo stupore per quel che succedeva in quelle memorabili serate. Uno stupore che lo portava a dirgli: “Caro Claudio, tu non hai un pubblico, tu hai un popolo”.   
Già. Quel popolo che canta la sua liberazione. Come nella sua canzone – inno, dice Gatti che è quasi una “risposta” al “Pueblo Unido Jamas Serà Vencido” di Quilapayun, Sergio Ortega e degli Inti Illimani. Questa la seconda e conclusiva strofa:

Il cantastorie ha cominciato a raccontare,
il tessitore ha cominciato a dipanare,
sento la vita che mi scoppia dentro al cuore
cammina l’uomo quando sa bene dove andare…
Il popolo canta la sua liberazione, il popolo canta la sua liberazione…