L’esperienza di Navalny: un appello rivolto a tutti

Aleksej Naval’nyj, “Io non ho paura, non abbiatene neanche voi”, Scholé Morcelliana 2024, curato da Adriano dell’Asta e Marta Carletti è il primo libro del grande dissidente russo uscito dopo la sua morte avvenuta in circostanze che rimangono oscure. Ma che fanno pensare a un ruolo attivo del regime putiniano. Pagine dense e intense che ci permettono di incontrare il vero volto di un personaggio troppo utilizzato per scopi poco limpidi. Qui si ritrova quel che realmente ha detto. Il suo tortuoso cammino. La sua domanda di bellezza. Il suo impegno con la vita come testimonianza di verità. Perché l’umano è irriducibile alla macchina del potere.


4 ottobre 2024
Pensiero che opera
di Andrea Caspani

È in libreria da pochi mesi il libro Aleksej Naval’nyj, “Io non ho paura, non abbiatene neanche voi, Scholé Morcelliana 2024, curato da Adriano dell’Asta e Marta Carletti, che costituisce la prima pubblicazione dopo la morte repentina del grande dissidente russo, avvenuta il 16 febbraio 2024 in circostanze ancora oggi oscure, ma che fanno pensare a un ruolo attivo del regime putiniano.
Il libro è prezioso in primo luogo perché colma un vuoto, in quanto, pur non essendo né una biografia né una analisi della lotta politica di Navalny e del suo gruppo contro il regime di Putin, ci permette di accostare il pensiero e l’esperienza di vita di Navalny direttamente in prima persona.
Infatti il libro, introdotto da una brillante prefazione di Dell’Asta che delinea la dinamica esistenziale di Navalny, consiste in un’ampia raccolta dei suoi scritti pubblici e privati, a partire dal 2010, quando annuncia che ha vinto una borsa di Yale per approfondire la legislazione anticorruzione fino all’ultimo post scritto alla moglie due giorni prima della morte, che ci permettono di incontrare un personaggio di cui si è parlato tanto, ma che si è ascoltato poco per quello che realmente ha detto.

Una scelta morale personale

La memoria di Navalny rischia purtroppo di rimanere affidata alle lotte e alle tante iniziative creative ed originali che ha avviato negli anni del suo crescente impegno contro la corruzione e l’autoritarismo del regime putiniano.
Questo piano di osservazione però non permette di scavare in profondità sul “caso Navalny”. Il “caso Navalny”, come dice lo stesso titolo del libro: “Io non ho paura, non abbiatene neanche voi”, si caratterizza infatti per essere una proposta rivolta a tutti noi: è l’invito a non avere paura di vivere una vita impegnata: «La vita è un rischio. E se non corri rischi sei solo un insulso agglomerato di molecole assemblate in modo casuale, che galleggia nell’universo».
Ma cosa dovremmo imparare a non temere noi, che siamo ‘vaccinati’ contro l’autoritarismo di Putin e soprattutto che viviamo liberi in un paese dell’Occidente democratico?
A nostro sommesso avviso proprio questa è la sfida del libro, farci capire che la grandezza della testimonianza di Navalny non è solo nella sua coraggiosa resistenza al regime di Putin, ma è nella testimonianza della necessità di operare una ‘scelta morale’ personalela scelta morale oggi è più importante della scelta ideologica o politica») per non perdere la vita vivendo, occorre cioè trovare un motivo per rischiare nell’agire altrimenti non si avrà mai una vita degna di essere vissuta e alla fine ci si dovrà limitare  a ‘sopravvivere e mangiare’ (come diceva già Havel).

Il percorso di una coscienza matura

Navalny ci invita dunque a non avere paura di ricercare sempre e comunque il senso della vita e di aspirare a una verità da porre in essere nei rapporti privati e sociali che sola può costituire la premessa per la riaffermazione del valore della politica come servizio alla costruzione del bene comune per il proprio popolo.
Ci fa capire bene tutto questo la sottotraccia del testo, perché i brani riprodotti (sia quelli privati sia quelli pubblici) intrecciano le prese di posizione con la documentazione, spesso espressa in brevi incisi o metafore, del percorso di una coscienza sempre più consapevole del fatto che nella vita si deve rispondere all’appello al Vero e al Bello che scaturisce dalla profondità dell’animo: “Rinunciare alla coscienza alla fine dei conti porta a rinunciare al raziocinio”, come dirà alla fine del suo processo per estremismo.
Il caso Navalny insomma consiste nel comunicarci il percorso di una coscienza che matura un impegno per la vita che sfocia in un impegno politico originale.
Questa posizione scaturisce da una attenta leale osservazione della realtà problematica del suo paese e dalle scelte che matura confrontando le proprie aspirazioni alla Verità e alla Giustizia con le possibilità concrete di azione.
Si comprende così come Navalny non sia una figura esente da contraddizioni e da un’evoluzione continua del pensiero e delle posizioni politiche, come il testo documenta bene.

Adulto, aderisce al cristianesimo

Per questo, ai malati di ideologismo politico è stato facile classificarlo, etichettandolo, a seconda delle fasi che ha attraversato, come un ‘fascista xenofobo’, un nazionalista, un fustigatore dei vizi dei politici ed infine come un grande patriota russo.
Nessuna di queste definizioni è di per sé totalmente sbagliata, perché Navalny ha attraversato tutti questi stadi, ma nessuna di queste definizioni coglie la straordinaria dinamica di maturazione di quest’uomo, che progressivamente diventa consapevole che il suo impegno necessita di un orizzonte culturale e un fondamento certo del senso della vita. È così che riscopre la grandezza e la profondità della cultura russa e l’appartenenza della Russia all’Europa (il contrario di quanto afferma la visione del ‘mondo russo’ celebrato dal patriarca Kirill in supporto al disegno imperialistico di Putin) e aderisce al cristianesimo.
La verità della fede cristiana è ritrovata quando è ormai adulto: già nel 2012 non ha paura di affermare “sono credente, mi piace essere cristiano e ortodosso”, ma umilmente riconosce: “Sono un tipico credente post-sovietico, e non ne vado fiero: digiuno, sono battezzato in chiesa, ma in chiesa ci vado raramente”.
Si comprende perciò che la fede è divenuta nel tempo un ancoraggio prezioso per tutto il suo impegno di vita, ma non è mai stato il fondamento ideologico della sua azione: “Non credo che la mia religiosità si possa convertire in un capitale politico, sarebbe ridicolo. Non la ostento né la nascondo, è quella che è”.
La sua esistenza in definitiva non è fatta a compartimenti stagni, le svolte esistenziali personali si intrecciano con le scelte politiche pur senza sovrapporsi.

La presentazione del libro a Milano cura del CMC alla Fondazione Feltrinelli con Anna Zafesova, Francesca Gori e Adriano Dell’Asta, curatore del libro.

2021: ritorno in Russia

Così diventa un innovatore in politica perché sa trasformare i social in strumenti di lotta politica ed insieme elabora una modalità di azione che mette in primo piano la presenza personale.
In un contesto in cui non era più possibile organizzare un partito tradizionale inventa infatti forme di comunicazione politica efficaci (ad esempio i video contro la corruzione) e azioni politiche vincenti (ad esempio l’invito al voto intelligente a favore degli oppositori di Putin), riscoprendo così il nesso tra parole e vita.
Allo stesso modo ha compreso che perché il nesso tra parola e vita sia pienamente efficace occorre che l’azione politica sia fondata sul coinvolgimento personale, ovvero che il primo elemento della politica è la testimonianza personale e che quindi la persona stessa (compreso il proprio corpo) è il primo strumento di lotta politica.
Questo ci fa comprendere la profonda motivazione morale del suo ritorno in Russia agli inizi del 2021, dopo essere sopravvissuto all’avvelenamento da parte dei servizi putiniani nel 2020 solo grazie alle cure ricevute all’estero.
Il libro documenta comunque in tanti passaggi come Navalny fosse un appassionato amante della vita in tutti i suoi aspetti, un uomo normale con le sue passioni  (si sa che amava la fantascienza, i film e le serie) che non aspirava certamente a diventare volontariamente il martire che è diventato: dai brani emerge che non si lamenta mai di quel che gli accade in carcere, anzi sa prendere gli eventi con ironia (spesso paragona la sua prigionia ad un viaggio spaziale e chiama Putin «il nonno nel bunker») e colma di parole affettuose e nostalgiche la moglie e i figli.

Un messaggio universale

Leggendo in continuità questi scritti si nota come l’iniziale impegno a fare il bene del proprio paese lottando contro la corruzione e l’autoritarismo si trasformi lentamente nell’impegno a «vivere senza menzogna» (il riferimento al leit motiv dell’impegno esistenziale dei dissidenti sovietici è esplicito, come emerge dallo scambio epistolare qui riportato con un celebre prigioniero di coscienza del periodo sovietico, Anatolij Scaranskij).
Quello che colpisce è che Navalny diviene progressivamente consapevole che non cambierà il mondo con la sua politica, ma che questo non può condurre alla rinuncia ad una vita impegnata nella ricerca della verità e al servizio della Bellezza (esemplare è il passaggio in cui si dice disposto anche al sacrifico personale per l’avvento di una ‘Russia bellissima’). Commoventi sono infine le affermazioni sulle potenzialità razionali e di bene che ci sono per tutti e il suo dispiacere che molti non ne vogliano usare.
L’esperienza di Navalny diventa così non solo un appello ai russi a proseguire la resistenza morale e civile a Putin, ma un messaggio universale, rivolto a tutti noi, che si può sintetizzare nella risposta che dà a un’intervista in cui gli si chiede di indicare cos’è più utile all’uomo oggi: «Partecipare alla battaglia del bene contro la neutralità». In definitiva Navalny ci insegna che ancora oggi l’umano è irriducibile alla macchina del potere, ma che per fare ciò è necessario l’impeto della nostra libertà.

Alexei-Navalny assiste in piedi dentro la gabbia di vetro la sentenza farsa che lo condanno a 20 anni nella prigione in Siberia.

Punti di contatto

Un nota bene finale: la recente mostra dedicata a “Franz e Franziska Jägerstätter: non c’è amore più grande, presentata al Meeting 2024, ha mostrato un percorso di coscienza che sorprendentemente ha molti punti di contatto con l’esperienza di Navalny, pur in un contesto molto diverso e senza alcun riferimento ad una progettualità politica.
Nella mostra si narra infatti di come un umile contadino austriaco, in forza di un percorso di maturazione della sua coscienza di fede, sia stato capace di obiettare alla pretesa totalitaria del nazismo, finendo per offrire la sua vita per amore della Verità incontrata.
Per chi volesse comprendere la dinamica esistenziale che ha caratterizzato l’esperienza di Franz rimandiamo al catalogo della mostra (edito da LEV) e all’articolo di Sante Maletta, Franz Jägerstätter di fronte al male totalitario, apparso in LineaTempo 37(https://lineatempo.ilsussidiario.net/2024/franz-jaegerstaetter-di-fronte-al-male-totalitario/763).