L’economista Leonardo Becchetti: oltre ai soldi, l’Europa ha bisogno di relazioni

Sta facendo molto discutere il Report sulla competitività europea redatto e presentato da Mario Draghi. In quel corposo documento vengono indicate criticità e proposte per evitare il declino inesorabile dell’Europa. Abbiamo chiesto un commento all’economista promotore del movimento dell’economia civile, una voce assai ascoltata da papa Francesco


20 settembre 2024
Dopo il report Draghi
Conversazione con Leonardo Becchetti a cura di Nicola Varcasia

È un mix di considerazione e disincanto lo spirito con cui Leonardo Becchetti, economista dell’Università di Tor Vergata, promotore del movimento dell’economia civile ha accolto il Report sulla competitività europea redatto da Mario Draghi su invito della presidente della Commissione Ue, Ursula Von der Leyen e presentato il 9 settembre scorso. Il documento era molto atteso, anche per la sua possibile valenza politica. Dal cilindro dell’uomo del Whatever it takes è spuntata la proposta di un investimento annuo aggiuntivo di 800 miliardi per evitare il declino dell’Europa. Utili, forse necessari, ma non in grado di risolvere magicamente ogni questione

Professore, partiamo dal positivo.
Antitutto il tema del debito comune europeo, su cui sono stato sempre a favore. Già ai tempi del quantitative easing, quando Draghi era nelle istituzioni, avevamo promosso un appello firmato da più di 500 economisti per caldeggiare questa idea

Perché è importante questo passaggio?
L’Europa deve poter utilizzare le sue economie di scala. Per effettuare grandi investimenti occorre mettere insieme la forza e le risorse di cui l’Unione può disporre. Già con il Pnrr abbiamo sperimentato che andare sul mercato insieme comporta dei vantaggi, ad esempio, interessi più bassi per sostenere lo sviluppo. Non solo sono d’accordo con la prospettiva del debito comune europeo, ma l’avevamo ampiamente anticipata. Finalmente ci sono arrivati anche economisti più mainstream

C’è un Draghi di lotta e uno di governo?
Un conto è esprimersi da libero pensatore, come adesso è Draghi, un altro è quando ricopri un ruolo nelle istituzioni, perché l’istituzione può annunciare una cosa solo quando ha deciso di farla

L’Europa ne esce sferzata rispetto ai suoi ritardi.
Infatti, l’altro punto di visione su cui concordo è il fatto che la vera competizione è con la Cina e l’India da una parte e gli Stati Uniti dall’altra. Non possiamo fermarci all’antitrust tra paesi europei, il gioco non è tra noi, ma tra l’Europa e gli altri grandi protagonisti. Per questo bisogna favorire la creazione di campioni europei

Cos’altro ha visto di apprezzabile nelle indicazioni del report?
Anche se non è propriamente nelle corde iniziali di Draghi, il tema della transizione ecologica. Magari non si colgono a fondo tutte le differenze, ad esempio tra le rinnovabili, asse portante della transizione, e la cattura di Co2, aspetto viceversa molto periferico della questione, ma è importante che il fenomeno generale sia emerso in tutta la sua importanza

Cosa pensa della questione difesa, terzo binario su cui dovrebbe correre la competitività in Europa assieme all’innovazione e alla transizione energetica?
È un discorso molto delicato, che va oltre il report di Draghi. A mio avviso, l’Europa ha commesso tanti errori in questo periodo. Poteva fare di più e molto meglio per far terminare i conflitti in Ucraina e in Israele il prima possibile. Invece di puntare sulla cooperazione tra Paesi e sulla diplomazia, l’Europa ha acuito il conflitto. Perciò il bisogno di più difesa è stato anche indotto dagli errori. Al tempo stesso, sono convinto che la difesa come deterrente sia importante anche per la pace. Nella stagione più importante, quella della Guerra Fredda, la deterrenza, cioè la difesa non utilizzata, è stata decisiva per arrivare ai risultati

Che traccia si può trovare nel Report dei temi dell’economia civile?
Sappiamo bene che Draghi non parta con questa sensibilità. Però possiamo dire che il discorso della cooperazione tra stati europei sia un’applicazione del tema dell’intelligenza relazionale al rapporto tra stati. Sono tutti problemi di fiducia e di cooperazione. Pensiamo al tema della sfiducia tra paesi del nord e paesi del sud, cicale e formiche, che risale addirittura ai tempi della Riforma Protestante. Tornando al punto, chiaramente, non c’è tutta quella finezza che noi mettiamo, ad esempio, sul tema del benessere e di come il Pil non sia l’unico indicatore utile per giudicare l’andamento dell’economia

Leonardo Becchetti a un Forum di Economia Civile di Lopiano – Italia

Su cosa vede questo report lontano dall’orizzonte dell’economia civile?
Posso fare un esempio, il tema del bottom up (la pressione che i consumatori possono esercitare nell’acquisto di prodotti di cui si dubita la provenienza o la lavorazione, ndr) e della partecipazione, a cui sicuramente Draghi non pensa. Ma già l’aver considerato con decisione i due temi a cui abbiamo accennato, debito comune e cooperazione tra stati, è positivo rispetto alle mie aspettative

Ci sono applicazioni più ampie?
Il principio dell’intelligenza relazionale si applica ai rapporti tra le persone, tra le imprese e tra gli stati. Come fattore per costruire la pace. Per lo meno Draghi ha capito che si può applicare al discorso della cooperazione all’interno dell’Europa: senza un’intelligenza relazionale e un di più di collaborazione e di fiducia, l’Europa muore

Non è un po’ esagerata la cifra di 800 miliardi annui aggiuntivi di investimenti per la competitività?
Sembra una cifra enorme, in parte lo è, ma suddivisa per i 27 stati dell’Unione inizia a spaventare di meno. Poi bisognerebbe vedere l’orizzonte temporale in cui verrebbe spalmata. Ma il punto, come dicevamo, è proprio quello di creare le condizioni per sfruttare il potenziale della Bce e della forza fiscale dell’Unione Europea

Tornando ai temi del vostro movimento, a cosa state lavorando nello specifico?
Dal 3 al 6 ottobre si terrà il Festival dell’Economia civile, quest’anno con il titolo L’ora di partecipare, dove affronteremo come di consueto tanti temi anche con grandi personalità, come il premio nobel Melissa Parke, Alberto Acosta e molti altri. C’è poi il grande lavoro sul Manifesto degli economisti dell’economia civile, con 350 colleghi italiani che lo hanno firmato e ogni anno si riuniscono. Ne abbiamo creata anche una versione internazionale con Jeffrey Sachs

Voi avete anche lanciato Piano B, uno Spartito per rigenerare l’Italia, che cos’è?
Non un partito, appunto, ma uno spartito. Oggi ci sono gli spartiti – liberista, radical chic o populista – mentre manca lo spartito relazionale. Noi lo abbiamo costruito a partire da 18 contributi a cura di altrettanti protagonisti della cultura, dell’economia e della società civile, in cui ciascuno nella sua disciplina ha spiegato l’apporto dell’approccio relazionale, con una visione straordinariamente comune. Parliamo di protagonisti come Cartabia, Bentivogli, Giovannini, Magatti, Rosina, Vittadini

Qual è l’obiettivo e come si sta allargando il vostro movimento?
Dallo Spartito, è nato un laboratorio per far lavorare assieme società civile, politici e intellettuali e costruire soluzioni che si applicano a tutti i settori, sulla base del paradigma relazionale. Cerchiamo di declinare il discorso dell’economia civile nel mondo accademico e nel mondo politico

Un vostro punto di forza è anche la capacità di organizzare eventi.
È un aspetto molto importante, insieme al fatto di avere delle reti di buone pratiche che crescono e mostrano nel concreto che una nuova economia non solo è possibile ma è già in atto