L’attentato a Trump e l’imprevisto che salva dallultima spallata

Il profeta Osea ammoniva al versetto 8,7: «E poiché semineranno vento, raccoglieranno tempesta». Oggi siamo a quel punto lì. Come certifica il tentativo di assassinare Donald Trump. L’America si è spaventata. E la paura, seppur a fatica, sta richiamando oltreoceano al senso di responsabilità perduto: dagli stati disuniti alla Stati Uniti. Quella pallottola ha fallito. Solo un caso? La certezza della speranza porta a riconoscere come nella Grande Storia sono numerosi gli accadimenti andati in modo diverso dal prevedibile. Ma l’imprevisto buono nulla toglie alla nostra responsabilità di uomini impegnati a costruire relazioni a fin di bene. Questo è essenziale. Come dimostra il Meeting per l’Amicizia fra i Popoli.


19 luglio 2024
Editoriale

La conferma: la cultura dell’odio occupa ormai stabilmente il centro della scena. Quella pallottola che cerca la testa di Donald Trump e per un non nulla ne scalfisce appena l’orecchio destro è la tragica rappresentazione di un mondo orientato secondo un corso della storia sbagliato. Quel quasi assassinio ha significato qualcosa. Quel quasi è in noi e tra noi, e pesa tanto. Quel quasi è un momento che turba.Quando tra molti anni, guarderemo indietro, questo sarà uno di quei momenti. Un centimetro e il mondo sarebbe cambiato radicalmente”, così il notevole scrittore americano Jonathan Safran Foer sul Corriere della Sera. Dicono quelli che la sanno lunga: l’America a stelle e strisce è abituata agli attentati ai suoi presidenti. Naturalmente sbagliano. È sempre sbagliato abituarsi.Equesta volta è diverso. Con il mondo così vicino al precipizio, ogni giorno falciato da mille fattacci, la morte di Trump avrebbe determinato l’ultima spallata. La fine violenta di questa civiltà. D’altronde, quando la cultura dell’odio viene continuamente alimentata non può stupire questo progressivo precipitare. Il profeta Osea ammoniva al versetto 8,7: «E poiché semineranno vento, raccoglieranno tempesta».

Il tempo insalubre

In questi giorni si legge di tutto un po’. Dalle farneticazioni dei soliti complottisti, agli alfieri del millenarismo, alle analisi più o meno azzeccate di storici, sociologi, esperti di geopolitica, fino ai politici che, incuranti di quel che è accaduto, faticano a riconoscere ciò che la realtà mostra. In pratica si continua a dividersi su qualsiasi questione. Forse qualcosa di diverso viene proprio dagli Usa dove si sono levate voci autorevoli per affermare che l’unità del Paese è un valore che va recuperato, più importante di qualsiasi campagna elettorale. La delegittimazione dell’avversario politico, ridotto a nemico, oggettivamente delegittima il Paese. Dall’assalto a Capitol Hill all’attentato a Trump è stato un susseguirsi di episodi deprecabili: Stati disuniti. Adesso – la paura è stata tanta – vi è in non poche persone ragionevoli il desiderio di tornare agli Stati Uniti.
Quel proiettile che ha mancato il bersaglio grosso non può non far riflettere. Attribuire la circostanza a un colpo di fortuna o a una casualità è un esercizio riduttivo, poco sensato. E neppure conviene adagiarsi alla dittatura del “causa – effetto”. Nessuno ma proprio nessuno di noi è esente da questo tipo di reazioni. Sono tutte espressioni del tempo insalubre che viviamo e che, ciascuno con la propria dose di responsabilità, ha contribuito a determinare.

La pallottola deragliata

Una distanza piccolissima, millimetrica nella circostanza che ci provoca a interrogarci, rappresenta lo spazio dove si incuneata la speranza. Quel proiettile non l’ha uccisa (e così non ha assassinato Trump) perché è deragliato, è uscito dal suo binario di morte. Questa è una possibilità concreta, un’interpretazione non certo campata per aria. Decisamente più interessante – perché più umanamente attraente – del cedere alla legge del caso o del colpo di fortuna. Nella Grande Storia quanti gli episodi che testimoniano della “speranza incuneata”. E per restare alle pallottole che non hanno chiuso la partita, come non ricordare il ferimento di papa Giovanni Paolo II in piazza San Pietro. Quella volta la speranza in azione lavorò benissimo, il Santo Padre si salvò e da lì ne vennero anni che incisero in profondità, cambiandola radicalmente, la Storia. Anche lì tutto è nato dal caso? Oppure bisognerebbe finalmente lasciare aperto un pertugio alla possibilità che l’imprevisto possa succedere?

Meeting di Rimini: Un ponte di speranza

Ma l’imprevisto non è il caso. E per quanto si voglia rendere normalità la cultura dell’odio con i risultati che tutti viviamo, l’imprevedibile continua ad abitare qui. Perché la speranza che si incunea nella vita non ha alcuna intenzione di mollare la presa su di noi. Vediamo di non continuare a deluderla. Insomma, un’altra cultura è possibile.
A proposito di un’altra cultura possibile. Dal 20 al 25 agosto, c’è il Meeting di Rimini. Mai come oggi è cosa buona giusta nominarlo per intero: Meeting per l’Amicizia fra i popoli. Un ponte di speranza che devia la dialettica delle pallottole.