Dalla parte del popolo. Vasilij Grossman

Esce per la prima volta in Italia “Il popolo è immortale” (Adelphi) romanzo del grande autore russo incentrato sui primi mesi della durissima offensiva dell’esercito nazista in territorio sovietico. Un libro che anticipa i temi di “Stalingrado” e “Vita e destino”. Un affresco epico che entra dentro la drammaticità di un conflitto che si consuma metro dopo metro. Pagine addolorate, ricche di umanità, con lampi di bellezza che rischiarano quelle notti buie.


5 luglio 2024
Il racconto della guerra
di Enzo Manes

Dmitri Baltermants, Kerch, Crimea, Gennaio 1943

La guerra tocca ogni forma di vita. Com’è drammatico tutto ciò, com’è disarmante e affilato questo pensiero di Vasilij Grossman che traccia il cammino addolorato e accerchiato di “Il popolo è immortale”, romanzo dell’autore russo uscito a puntate tra luglio e agosto del 1942 (poi, in versione ampliata, rivisto da Grossman, nel 1945) su “Krasnaja zverza”, il quotidiano dell’esercito sovietico, che significa “Stella rossa”. E, per la prima volta, è ora disponibile in edizione italiana con la traduzione di Claudia Zonghetti per i tipi Adelphi (assai utili, istruttive e preziose le numerose annotazioni collocate in appendice a cura di Robert Chandler e Julija Volochova).

L’abbaglio di Hitler

“Il popolo è immortale” avvia l’impegno di Grossman con il racconto della guerra; l’invasione tedesca della Russia di Stalin, la resistenza del popolo, l’inevitabile smarrimento dell’umano, l’incubo dei totalitarismi che lo circondano. Sono temi che prenderanno ancor più vigore in “Stalingrado” e “Vita e destino”. Diventano una trilogia che è un corpo unico, un passaggio fondamentale di conoscenza.
La storia è nota. Hitler mette piede in Unione Sovietica nelle prime ore del 22 giugno 1941. Lui pensa di arrivare a Mosca e chiudere la partita in pochi mesi. A Mosca in un lampo. Non andrà così. Seppur all’inizio tutto parrebbe semplice con le truppe russe colte completamente di sorpresa, per via di Stalin che ignora ben ottanta segnalazioni dei suoi servizi segreti. Non andrà così per una semplice ragione: «L’esperienza di quasi tutte le guerre che la Germania ha combattuto dimostra che non sa gestire una guerra lunga. Basta guardare la mappa per capire come mai i tedeschi parlano di guerra lampo. Una guerra lampo la vincono, una guerra lunga la perdono».

A sinistra – Copertina de Il popolo è immortale di Vasilij Grossman

Corrispondente di guerra

«Fu in quel giorno e in quel momento preciso che Ignat’ev capì con tutto il cuore cosa stava accadendo nel suo paese, e cioè che la quella guerra si combatteva perché il popolo e i lavoratori potessero vivere e respirare». “Il popolo è immortale” concentra l’attenzione su precise vicende umane nei primi durissimi mesi dell’invasione dell’esercito nazista. I russi che indietreggiano, i soldati coraggiosi disposti al sacrificio, i graduati non proprio tutti all’altezza, i civili smarriti costretti alla fuga precipitosa dalle proprie case. La marcia sofferente dei contadini. I sentimenti che non battono in ritirata. La natura umanizzata che prova a mantenersi viva aggredita sul suo campo dalla faccia feroce della violenza. Grossman racconta prendendo di volta in volta una direzione. Lui che a 35 anni è fervente comunista e sa di avere come compito quello di esaltare l’impresa eroica dell’esercito sovietico. Ma è così debordante il suo talento che l’elemento retorico, pur presente, non prende in alcun modo il sopravvento. Gli riesce di fare il corrispondente di guerra senza fare ombra alla realtà, anche alla più minuscola delle situazioni. Un corrispondente che vuole dire, azzardare, dettagliare. Anche, se non soprattutto aspetti che, secondo canoni artefatti, non meriterebbero spreco d’inchiostro. Solo in conclusione dell’assaggio che qui riportiamo, la fugace concessione a un pulviscolo di propaganda, scrive pur sempre per il giornale dell’esercito: «La vita del fronte avvicina le persone a gran velocità. Un giorno con qualcuno è già ti sembra di sapere tutto di lui: cosa gli piace mangiare, su che fianco preferisce dormire, se – dio non voglia – digrigna i denti nel sonno, dove è stata sfollata la moglie, così come ogni tratto del suo carattere, se è egoista oppure coraggioso e sincero; a volte si scoprono cose che dell’amico più caro non si imparerebbero nemmeno in dieci anni di vita in tempo di pace. Salda è l’amicizia forgiata dal sangue e dal sudore della battaglia». 

Il quotidiano violato

Una guerra mai vista prima, fa dire Grossman a Sergej Aleksandrovic Bogarev, uno dei personaggi cardine del romanzo, commissario di battaglione che prima dell’invasione tedesca era professore di marxismo in una prestigiosa università di Mosca. Bogarev che si domanda, davanti alla giostra tragica di un quotidiano continuamente violato, se la guerra, quella guerra lì straziante e indigesta, sarà l’ultima necessaria e macabra rappresentazione a cui è chiamato il popolo, quello in prima linea come quello nelle retrovie che non sono mai tali. Quel desiderio così umano gli esce dal cuore all’alba del conflitto, siamo appena al 1941, eppure per il commissario di battaglione qualcosa già non torna. E come potrebbe quando il procedere inarrestabile dello scontro pesa come un macigno su tutto ciò che è vita, respiro, normalità. Il macigno dell’ingiustizia che rotola giù travolgendo affetti e cose.
Le non poche commoventi pagine del romanzo sono il tentativo di stare dentro l’acuta drammaticità di quei giorni non soggiacendo, però, alla logica della deriva. Lì Grossman dà il meglio. Ecco allora l’indimenticabile capitolo intitolato “I tedeschi”. Gli invasori stanno per irrompere in quella casa dove c’è nonna Marija Timofeevna e il nipotino Lënia. La donna sa che per lei è finita e così, in fretta e furia, spedisce il figlio di suo figlio dal pastore del villaggio, toccherà a lui impegnarsi, tra non pochi pericoli, per farlo ricongiungere al papà, un abile commissario, l’uomo che i tedeschi stanno cercando: «Marija Timofeevna abbracciò il nipote e lo baciò sulle labbra. Poi gli disse: ‘Vai, e di’ a tuo padre: tua madre ti saluta con rispetto, un rispetto enorme. E tu, nipotino mio, ricordati della nonna, non dimenticarti di me’».  Lei, la nonna, settantenne, non se la sente di scappare, non vuole proprio abbandonare la sua casa. Perciò resta: la sua memoria è in quel rifugio. Ha coraggio, dignità, passione e non teme l’arroganza sulfurea dei soldati tedeschi. Li fronteggia a testa alta. Li apostrofa con veemenza e quindi, uno di loro, addirittura l’ufficiale, lo schiaffeggia. Quell’atto ne anticipa la sua morte. Lei sapeva che sarebbe finita così. Però suo nipote è in salvo. Prossimo a ritrovarsi nell’abbraccio di suo papà. Prossimo a portargli in dono le ultime parole di Marija Timofeevna.

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Stalin dimenticato

Ciascuno può ritrovarsi nelle più diverse angolature proposte dal racconto. Un’angolatura nella scrittura semplice di Grossman è un dettaglio che si dilata; un’angolatura è ricchezza, è sguardo, è circostanza appropriata. E i personaggi su cui l’autore costruisce la trama, anzi le trame, sono lava incandescente di quel popolo che non ci sta. Angolatura delle angolature. Quel popolo che è inarrestabile resistenza all’illusorio procedere del nemico aggressore. Quello stesso popolo – sovietico ma non troppo – che verrà tradito come Grossman racconterà nelle stagioni a seguire. E, qui è là, già si segnala il peso umanamente insopportabile del piegarsi a quell’ortodossia. Un’audacia che traspare dentro l’epica del racconto. Pagine di grande letteratura in un romanzo “sovietico” per necessità. E non è banale che mai Giuseppe Stalin meriti di essere richiamato in un dialogo, in una descrizione, in qualsiasi pensiero. Grossman, l’allora fervente comunista, si prende un anticipo di rivincita. D’altronde, la verità è la verità. Come il popolo, infine, sa riconoscere. «Se Hitler vinceva, il mondo poteva anche dimenticarsi il sole, le stelle e una notte così bella».