La magnifica nazionale ungherese tra pallone, propaganda e carri armati

Tutto era pronto a Berna, nei Mondiali di calcio del 1954, per celebrare il trionfo della nazionale magiara, al tempo vero e proprio mito. Praticamente imbattibile. Tutto stava filando via liscio. Fino alla finalissima contro la Germania Ovest (qui video-sintesi della partita https://www.youtube.com/watch?v=Sfy1h7m-SYE ) già umiliata nella prima fase della manifestazione. Invece, quel 4 luglio 1954 si consumò la delusione più terribile: i tedeschi d’occidente vinsero. Per il popolo ungherese un dolore grande. Che avrebbe trovato il suo culmine nell’invasione dei cingolati sovietici. Mentre i calciatori della nazionale che nei giorni della violenza sovietica non erano in patria, si rifiutarono di tornarvi. Giocarono dappertutto. E con il lutto al braccio in segno di protesta contro il regime: “Torneremo a casa quando di nuovo sorgerà il sole sull’Ungheria”.


24 maggio 2024
Calcio danubiano
di Enzo Manes

Puskas (nazionale Ungherese) in azione contro la nazionale tedesca

Settant’anni fa. Il 4 luglio 1954, se il pallone avesse rotolato secondo logica, il regime comunista ungherese avrebbe dato fiato alle trombe della propaganda in piena Guerra fredda per celebrare il trionfo della nazionale di calcio campione del mondo. I gerarchi del paese satellite – il più vicino al patriarca Unione Sovietica – avevano predisposto tutto per festeggiare nelle piazze controllatissime la vittoria di una squadra che esprimeva un calcio tecnico e tattico, costruita in gran parte sui giocatori della Honved Budapest – in lingua ungherese “difesa della patria” – il club dell’esercito.
Fin dal 1949 il regime aveva imposto che i migliori talenti del calcio magiaro indossassero la maglia della squadra della capitale. La Honved divenne un laboratorio calcistico straordinario. E la nazionale ungherese una squadra formidabile: tecnica, fantasia, innovazione, spirito di gruppo. Nel mondo si favoleggiava su quella formazione di talenti e su un’interpretazione del gioco del calcio mai veduta prima con quella lucentezza. Un miracolo a mostrare, insomma. Nel 1952 quella squadra vinse la medaglia d’oro all’olimpiade di Helsinki: 2 a 0 all’Jugoslavia, paese avversato dal regime di Budapest.
Ecco perché anche in Occidente non vi erano dubbi sull’esito finale che avrebbe avuto, due anni dopo, il Campionato del Mondo di football in programma in Svizzera. Eppure la storia del calcio avrebbe dovuto suggerire un filo di cautela. Quattro anni prima – nell’edizione del mondiale brasiliano dopo i 12 anni di stop per via della Seconda guerra mondiale – il favoritissimo Brasile perse al Maracanà, davanti a 200mila tifosi, dall’Uruguay per 2 a 1, una sconfitta vissuta come dramma da tutto il popolo. Un lutto mai superato.

L’Honved del 1956-57

La grande attesa per i “potenti magiari”

Nella neutrale Svizzera era forte l’attesa di veder giocare la mitica nazionale ungherese – i mighty magyars, cioè i potenti magiari – guidata dal commissario tecnico Gusztav Sebes che, nella sua lunga carriera di calciatore, era stato un discreto centrocampista. In panchina, un innovatore.
Nella sua nazionale vi era una certa interscambiabilità dei ruoli. La squadra si muoveva in modo armonico, la staticità non era contemplata. Gli interpreti erano formidabili. In particolare: Kocsis, Puskás e Hidegkuti.
La fase iniziale del torneo confermava la magia della scuola danubiana seppur le vittorie con Brasile e Uruguay furono complicate; le nazionali sudamericane erano forti per davvero. Anche i tifosi delle altre formazioni si arrendevano con soddisfazione a quella meraviglia. In Ungheria il popolo era orgoglioso e felice. Almeno in quello libero dalla stretta del Partito.
Gli inglesi che avevano inventato il gioco del calcio si vedevano messi all’angolo dalla una nazionale sorta oltre cortina. Ne misurarono lo splendore in due sfide – quasi un’anteprima del Mondiale – che ebbero il sapore della sentenza: a Londra nel 1953 gli ungheresi piegarono i britannici con un fragoroso 6 a 3; l’anno successivo, a Budapest, finì con un umiliante 7 a 1. Con tanti saluti ai “maestri” inglesi. E un arrivederci a Berna.

Ungheria Budapest anniversario nel 2016 Foto Ansa

Ungheria – Germania Ovest: scende in campo la Guerra fredda

Poi, ecco che il pallone che fin lì rotolava secondo la creatività magiara, si indispose. Prese a circolare per altre vie, in modo non previsto. A Berna, nella finalissima. L’Ungheria contro la Germania Ovest. Uno scontro fra mondi separati. Sulla carta senza storia o, meglio, con una storia già scritta. Perché, nel primo turno, le due nazionali si erano incontrate: 8 a 3 per i magiari: goleada alla Germania e anche all’Occidente in generale. A Budapest avevano preparato bene il terreno. Il regime aveva azionato le rotative della propaganda per diffondere proclami e scaldare il cuore delle masse. Lo sport, è vicenda nota, viene assai utilizzato dalle dittature. Vedi i Giochi Olimpici del ’36 nella Berlino di Hitler. Poi c’è un nero, Jesse Owens, che mandò all’aria i piani dell’ideologia nazionalsocialista conquistando quattro medaglie d’oro tra velocità e salto in lungo.

La sconfitta prima dei carri armati di Mosca 

Allora, Berna: 4 luglio 1954, la partita del trionfo annunciato della scuola magiara. Otto minuti appena e Puskás metteva le cose in chiaro: 1 a 0. Arrivava il secondo gol per un comico errore del portiere tedesco. Si attendeva l’inevitabile grandinata di gol.
Il paradiso poteva attendere, però. Fu un’attesa che rimase tale. Perché i tedeschi reagirono. Fecero 3 gol, Puskás e soci ne sbagliarono in quantità. Anzi, no. A un minuto dalla fine riuscirono a pareggiare ma l’arbitro, incredibilmente, annullò la rete per un fuorigioco inesistente. E così la Germania Ovest divenne campione del mondo.
Per quell’Ungheria la sconfitta fu un’atroce condanna. Aveva perso il popolo e ne era uscito sconfitto il regime. In patria il popolo si sfogò conquistando la piazza, primo gesto di ribellione a quel che sarebbe avvenuto due anni dopo.  Durante l’insurrezione dell’autunno del 1956 con il rumore dei carri armati sovietici per le strade, il regime aveva imposto alla squadra dell’Honved in tournée all’estero di tornare immediatamente a casa. I giocatori si trovavano in Spagna. Le stelle del club si rifiutarono: “Continueremo a giocare in giro per il mondo fino a quando non tornerà a splendere il sole sull’Ungheria”.
Un braccio di ferro a cui i media occidentali diedero grande evidenza. Un clamoroso autogol per i burocrati di Budapest. L’8 dicembre 1956 l’Honved giocò a San Siro su invito del Milan. I magiari si presentarono in campo con il lutto al braccio. Un gruppo di comunisti romagnoli partiti dal paese di Alfonsine avevano una missione da compiere: convincere i calciatori a rientrare a Budapest. Mentre, allo stadio, prima della gara, alcuni profughi d’oltre manica avevano omaggiato il fuoriclasse Puskás e tutti i campioni della Honved con un lancio di fiori dalle gradinate. 

Germania, la squadra posa con la Coppa Rimet (del mondiale) 1954

La pagina meravigliosa del calcio ungherese

I campioni della Honved mai più vestirono la maglia della nazionale ungherese. Il regime, per diversi anni, impedì che in pubblico si pronunciassero i loro nomi. E provò, con metodo scientifico e repressivo, a cancellarne la memoria. Impresa maldestra. Perché i padri raccontarono ai figli. I figli ai nipoti. E con la fine dell’esperienza tragica del socialismo reale riprese a circolare la pagina meravigliosa del calcio ungherese, della Honved e della nazionale. Gesta immortali. Anche perché mai più il calcio magiaro sarà capace di stupire di nuovo in Europa e nel mondo. Come se l’avvenuta repressione del ’56, avesse spento definitivamente quei momenti di gloria, di pura creatività ed espressione corale. Di calcio libero e bello.