Giovanni Truppi: “E giù ancora a cercare la felicita’”

L’artista napoletano è una delle poche proposte “cantautorali” originali, luminose e stranianti della produzione italiana. Nelle sue canzoni riporta a galla domande apparentemente banali, ma clamorosamente universali. Brani curati che prendono le sembianze del pop, oppure del soul, oppure ancora rimandi al jazz o all’ elettronica. Un universo sonoro che presenta soluzioni ironiche che lo apparentano a Jannacci, altre che fan pensare al crossover dei Red Hot Chili Pepper. Insomma, una pietra luccicante nell’orto un po’ così della musica nostrana.


10 maggio 2024
Canzoni d’autore
di Walter Gatti

Giovanni Truppi

Qual è lo stato di salute della canzone d’autore nel nostro Paese? Bella domanda. Difficile la risposta. Facciamo una premessa: la canzone – la canzone bella importante – non la fanno “solo” i cantautori. Anzi: per parecchi anni ci siamo crogiolati nell’assurda convinzione che la grande canzone la fanno solo loro, i “singer-songwriters”, per poi doverci ricredere, visto che gli “autori”, o le band (anche quelle “leggere” del pop) non sono da meno, visto il contributo offerto nei decenni alla musica italiana da personaggi come Beppe Dati (“Gli uomini non cambiano” e “Oggi un Dio non ho”), Maurizio Fabrizio o Pacifico (“In cosa credi”).
Ma una cosa è certa: oggi il cantautorato italiano sembra piuttosto in svendita a prezzi di saldo. Merito di un gusto che si è spostato sempre più sulla velocità e superficialità della fruizione o merito di un’epoca in cui (come direbbe Freak Antoni) non c’è gusto in Italia ad essere intelligenti (o poeti).

Chi detta legge

Certo i tempi cambiano e i rapper-trapper imperversano e con loro le belle ragazze dalle ugole d’oro. Il cantautorato della prima generazione è un poco fuori dalla mischia (da Gino Paoli ad Antonello Venditti), Niccolò Fabi e il Capossela continuano a contaminare a più non posso e con saggezza dischi e concerti, Davide Van De Sfroos prosegue con il suo sogno folk rock, mentre tra le fessure emergono ogni tanto i bei prodotti dei vari Michele Gazich, Ginevra de Marco, Edda, Paolo Benvegnu, Amerigo Verardi, Bugo, Mauro Giovanardi (con o senza La Crus), Vittorio Cane, Massimo Priviero, Andrea Chimenti.
Oggi – i miei figli me lo insegnano – i cantautori “indie” sono quelli che dettano la linea tra chi non ce la fa proprio ad appassionarsi ai nomi di Elodie o Geolier: Calcutta, Gazelle, Brunori, è tutta gente che ci mette dell’impegno, che racconta con discrezione un mondo di percezioni, speranze e paure. C’è poi ad esempio il Mobrici che parla di presente e futuro e responsabilità personale (Avere figli oggi o non averne mai nessuno, Ma noi che cosa siamo se non figli del futuro? E allora questo futuro che cosa cazzo ce l’abbiamo a fare? Per essere felici di essere primi a una cena aziendale Io non so se ne farò, ma nel dubbio mi dimeno un po’, Figli del futuro) e poi di incertezza del vivere con echi lontanissimi da Leopardi (Ma noi che cosa siamo Se ci sentiamo niente già di nostro? Sophia).
Il tutto sembra uno spezzatino interessante ma frammentario di cose serie e di cazzate, di frammenti e di frantumi, di risate e di desideri di scomparire, che poi paiono essere gli ingredienti abituali di una generazione di giovani e semi-giovani che vivono tra aperitivi, start-up e fluidità di pensiero. Insomma: avevamo Dalla e Paolo Conte, e ora non più. Ma d’altra parte avevamo anche Kubrick e Tarkovskij e ora abbiamo… già chi abbiamo…?

Napoli 2022 – @diegoloffredo74 Instagram

Una pietra che luccica

Ma scavando e zappando, il nome che pare scintillare come pietra luccicante nell’orto della canzone italiana è quello di Giovanni Truppi, 43enne napoletano che è una delle poche proposte “cantautorali” originali, luminose e stranianti della produzione nostrana
In circolazione dal 2010, con un disco quasi autoprodotto, Truppi – che la musica la conosce fin da bambino, e che sa suonare strumenti autentici, e non programmi caricati su un pc – ha una testa insolita. Come quella di un… “cantautore d’una volta”. La canzoncina che ha dato il titolo al suo esordio, C’è un me dentro di me, era una sorta di scat per sola voce e ritmo (scandito dalle mani) che diceva e ripeteva (per oltre due minuti) una lampante verità: “C’è un me dentro di me, Che ne sa molto più di me, C’è un me dentro di me, Che ne sa molto più di me”.
Passano tre anni, ed il napoletano se ne esce con il suo secondo disco, e tra le altre cose ci infila un flash bislacco per voce e chitarra elettrica, La lotta contro la paura:

La lotta contro la paura
Comincia dalla salatura della pasta
Prosegue poi con la cottura della stessa
Per la signora Pina
Questa cucina è diventata un campo di battaglia
Chissà la sua famiglia come la prenderà se sbaglia
Chissà se il piccolo Renato
Di fronte a un piatto di spaghetti scotto e troppo saporito
Non si lamenterà
Ma dirà “mamma grazie perché
Mi insegni ad essere un uomo coraggioso”

Dal particolare all’universale. Molto naïve, certo come molti dei cantautori indie, ma immensamente intenso. Nel buon Truppi in un qualche modo c’è la riscoperta che la canzone può portare a galla domande apparentemente banali, ma lamorosamente universali. C’è in tutto il suo produrre musicale un atteggiamento poetico che si insinua in temi piccoli e grandi, che prende le sembianze del pop, oppure del soul, oppure ancora che si intinge di jazz o di elettronica.
Un atteggiamento che l’ha portato pure a Sanremo nel 2022 (senza lasciare traccia, of course) con una canzone, Mio padre, tua madre, Lucia, che aveva scritto insieme a uno che di canzoni se ne intende, Pacifico.
Una canzone che diceva cose importanti (“lo so che per quello che vogliamo fare noi un per cento è amore e tutto il resto è stringere i denti) e che è finita al millesimo posto delle classifiche. Non è particolarmente canticchiabile, e in questo senso s’apparenta più con il Bersani dei bei tempi, più che con un Lucio Dalla (di cui comunque è debitore). L’anno scorso Truppi ha pensato bene di uscirsene con il suo quinto disco in circa quindici anni di attività. Un disco che già dal titolo – Infinite possibilità di essere finiti – sembra condurre in una sfera differente da quelle abitualmente frequentate dagli autori che hanno oggi successo nelle classifiche, nei like, nella fuffa, nei download. Un disco pieno zeppo di sfide e di mancanze, di squarci immensi e impercettibili.
Squarci e fratture impercettibili come quelle che riguardano il sesso appena consumato:
E’ c’è qualcosa che mi manca
ogni volta che vengo,
E non dipende da me
e non dipende da te
(Alcune Considerazioni),
Oppure che interrogano la dimensione della propria singolarità-comunità:
Il fatto che ci siano sempre meno luoghi
In cui posso incontrare e conoscere persone anche molto diverse da me
Posti come la parrocchia o la sezione di un partito
E’ un fenomeno che mi spaventa
Mi spaventa talmente tanto
Che a volte considero di frequentare la chiesa vicino a casa
Solo per recuperare quel tipo di dimensione dell’esistenza
(Infinite possibilità)
E Truppi non si fa (e non ci fa) mancare neppure quei frammenti di pensiero che riguardano la ricerca della felicità:
Guardavo la mia vita cercando di capire
Se guardandola da fuori mi sarebbe sembrata bella
E mi sembrava di sì, ma intanto cercavo la felicità
Ogni volta che mi mancava qualcosa
Pensavo: sarà questa la felicità
Poi ce l’avevo e capivo che non era quella E
 giù ancora a cercare la felicità
(La felicità).

Nell’universo sonoro di Truppi ci sono soluzioni ironiche che lo apparentano a Jannacci, altre che fan pensare al crossover dei Red Hot Chili Pepper. Nel suo cantato c’è l’insolito e c’è il sussurrato. Nella sua poetica c’è il banale e c’è lo scomodo, c’è il corretto e lo scorretto, c’è il giovane ed il vecchio, c’è il sociale ed il politico visto che c’è pure una canzone che mette alla gogna la borghesia (Borghesia, Anche se avevi la forza,  Se avevi l’energia, Alla fine hai perso tutto…Hai chiuso gli occhi, e ora la vita Ti aspetta fuori) con un approccio che sembra attualizzare Claudio Lolli (Vecchia piccola borghesia per piccina che tu sia non so dire se fai più rabbia, pena, schifo o malinconia) a dimostrazione di una sensibilità non superficiale ne modaiola.

Napoli 2022 – @diegoloffredo74 Instagram

L’insolito che prende in contropiede

Finché ci sono personaggi come il Giovanni Truppi da Napoli, possiamo continuare ad attenderci anche dal cantautorato italico cose belle, insolite, che prendono in contropiede l’ascolto. L’unica speranza è che lentamente canzoni come le sue emergano e circolino, contribuendo ad una resistenza umana, artistica e culturale a un mondo sempre più assuefatto alla bruttezza dei suoni, all’inutilità delle parole, alla banalità dei temi, alla ripetitività delle melodie. Magari portando ad un rinascimento musicale che sarebbe in fin dei conti il miglior recupero archeologico di quella cosa che abbiamo per anni definito “canzone d’autore”.