La trappola dei bonus (cioè malus)
Questa è anche l’Italia dei bonus, quella dei sussidi concessi dallo Stato. I cui risultati sono in larghissima misura deludenti: non rispondono alla piaga del disagio sociale e sono pericolosi per la sostenibilità dei conti pubblici. Eppure si va avanti così, con il valzer delle politiche assistenziali “a pioggia”. Con il caso emblematico del superbonus 110% per il risparmio energetico. Un autogol clamoroso perché i debiti dello Stato sono i debiti degli italiani.
26 aprile 2024
Populismo e demagogia
di Gianfranco Fabi
Le motivazioni di fondo sono encomiabili e largamente condivisibili: aiutare le persone e le famiglie in difficoltà, incentivare il risparmio energetico e la difesa ambientale, ridurre le disuguaglianze, sostenere le buone pratiche, dare una spinta ai consumi e quindi all’intera economia. Ma, pur con qualche lodevole eccezione, i risultati sono stati e continuano ad essere largamente deludenti sul fronte della lotta al disagio sociale oltre che pericolosi per la sostenibilità dei conti pubblici lasciando per di più aperta la strada a truffe, frodi e raggiri che hanno favorito i più furbi e spregiudicati.
Parliamo dei bonus, i sussidi concessi dallo Stato che hanno avuto una vera e propria esplosione negli anni della pandemia e che sono in gran parte di volta in volta prorogati rimasti confermando la regola che in Italia nulla è più definitivo del provvisorio.
Le forche caudine dell’Isee
E infatti anche in questo 2024 ci sono bonus per tutti, elargizioni il più delle volte legati a precisi (e bassi) limiti di reddito.
Si va dai bonus per le utenze domestiche (acqua, luce, gas e telefono) a quelli per i giovani (bonus libri, cultura, gite scolastiche, merito). Non mancano i bonus per pagare gli asili nido, gli affitti, le tasse scolastiche. Così come ci sono agevolazioni per comprare un’auto nuova, per ristrutturare la casa, per rinnovare i mobili, per le biciclette elettriche. E come dimenticare gli animali domestici: le relative spese godono di una detrazione Irpef del 19% riservata a coloro che hanno un Isee (Indicatore della Situazione Economica Equivalente) non superiore a 16mila euro.
Proprio l’Isee è la chiave di volta del sistema dei bonus. È una cifra indicativa che tiene conto del reddito, del patrimonio (mobiliare e immobiliare) e delle caratteristiche di un nucleo familiare (per numerosità e tipologia). Tutti (o quasi, come vedremo) i bonus sono accessibili solo con Isee basso: oltre a quelli citati, ad esempio, il bonus sociale bollette o prestazioni così come l’Assegno di inclusione (che dal 2024 ha preso il posto del Reddito di Cittadinanza insieme al Supporto Formazione e Lavoro). Anche il cosiddetto Assegno unico universale, che viene concesso alle famiglie con figli a carico, deve passare sotto le forche caudine dell’Isee: se è basso si può arrivare a un importo mensile di quasi duecento euro a figlio, sé è alto si ha diritto a poco più di 50 euro per figli con meno di 18 anni che diventano 27 tra i 18 e i 21 anni.
Logiche illogiche
Le logiche che stanno alla base di questa ondata di bonus sono essenzialmente due. Da una parte dare dei soldi a chi ne ha bisogno costituisce un modo per collegare la politica di welfare con la ricerca di quel consenso che è sempre uno degli obiettivi prioritari della politica. In secondo luogo, si evita così di dover affrontare i problemi reali delle persone che un metodo richiederebbe, certamente difficile, quello del rapporto diretto tra lo Stato e i cittadini. Tutto si riduce ad una prassi burocratica, a moduli da compilare e firmare, a dichiarazioni da presentare; è per questo che gli uffici di servizio sociale dei Comuni (i benemeriti Enti comunali di assistenza del secolo scorso) sono stati in gran parte progressivamente smantellati.
Con in più un problema non secondario: legare gli interventi assistenziali all’Isee vuol dire incentivare l’evasione fiscale e contributiva così come il lavoro in nero. Per l’evasore il beneficio raddoppia: non solo si evitano le imposte, ma si può ottenere un reddito aggiuntivo con facilità e senza particolari controlli.
Peraltro per qualche arcana decisione politica non è stato previsto un limite di Isee, l’unico bonus che avrebbe meritato di essere collegato al reddito: il superbonus 110% per il risparmio energetico che di fatto permetteva che le ristrutturazioni a fini energetici venissero pagate integralmente dalla Stato (anzi, con un 10% in più per coprire anche le spese di gestione contabile). Un provvedimento varato dal Governo Conte 2 alla fine del 2020 che è andato a beneficio di tutti e soprattutto dei ricchi proprietari che hanno potuto ristrutturare senza spese le loro case, villette e addirittura castelli. E che hanno ottenuto un triplice beneficio: non hanno pagato i lavori di efficientamento energetico, avranno un significativo risparmio sulle prossime bollette e si sono visti rivalutare il proprio patrimonio immobiliare. Con un effetto che gli esperti chiamano “regressivo”, cioè l’esatto contrario di quella progressività della tassazione (più cresce il reddito, maggiore è l’aliquota impositiva) prevista dalla Costituzione. Un provvedimento che avrebbe dovuto pesare non più di 40 miliardi in dieci anni sul bilancio pubblico e che invece in solo tre anni ha superato la folle quota di 200 miliardi.
Robin Hood al contrario
Con un peccato originale che una persona dotata non tanto di sapere economico, ma di sano buon senso, avrebbe dovuto capire fin dall’inizio e cioè l’effetto Robin Hood al contrario, con le tasse di tutti che servono a pagare le spese dei ricchi. E come non meravigliarsi quando di fronte alle prime timide critiche Conte precisava: “E’ gratis per le famiglie, non per lo Stato”, come se lo Stato fosse un’entità astratta e non invece proprio l’insieme dei cittadini e delle famiglie. “È curioso notare – ha commentato l’economica Veronica De Romanis nel suo ultimo libro “Il pasto gratis” – che nel pensiero di Conte lo Stato non siamo noi, ma qualcosa di estraneo ai nostri destini, un’entità sovrannaturale. Le sue disavventure e i suoi debiti non ci appartengono. E invece è bene non scordarlo mai: i debiti dello Stato sono i debiti degli italiani”.
Si può ricordare come lo stesso ministro dell’economia del Governo di Mario Draghi, Daniele Franco, ha definito il superbonus “una truffa tra le più grandi che la Repubblica abbia mai visto”.
Una truffa dal punto di vista penale: la Guardia di finanza ha scovato centinaia di crediti d’imposta richiesti da società fantasma che non hanno eseguito alcun lavoro. Ma una truffa anche dal punto di vista politico: perché il meccanismo del superbonus ha fatto schizzare in alto i prezzi dei prodotti e dei lavori per l’edilizia con una evidente distorsione del mercato dato che chi paga è un soggetto terzo rispetto al committente e all’esecutore.
Un drammatico miraggio
Senza dimenticare che il superbonus è stato congegnato in modo da costituire surrettiziamente un cavallo di Troia nel sistema della moneta unica europea. I lavori venivano pagati infatti attraverso crediti di imposta che le banche potevano acquistare e cedere in misura all’inizio illimitata. Si è venuta così a creare una moneta parallela la cui circolazione era fuori dal controllo della Banca centrale di Francoforte. Il gioco non poteva durare e infatti la Bce ha gentilmente e discretamente obbligato l’Italia a contabilizzare tra i debiti i fondi creati con il superbonus. Con il risultato che i 200 miliardi non solo rischiano di minare la sostenibilità del debito pubblico italiano, ma costringono a una politica di bilancio che non potrà che penalizzare la spesa sociale.
Anche per i bonus dovrebbe quindi valere la regola della modica quantità. C’è qualcosa che non va nelle politiche assistenziali “a pioggia”: se è vero, come è vero, che l’evasione fiscale continua ad essere, almeno a parole, un’emergenza, e se l’area dalla povertà continua ad aumentare. Una povertà che tuttavia non è solo economica, ma è anche, e forse soprattutto, nella solitudine, nella mancanza di cure sanitarie, nell’emergenza abitativa. Contro cui i bonus sono un drammatico miraggio.