Intanto l’uomo muore

Due guerre in corso, la repressione degli oppositori politici, la negazione delle libertà fondamentali, i femminicidi di Stato. Questo è la brutta fotografia di una larghissima fetta di mappamondo insanguinato. E l’Occidente piazzaiolo, che fa? Si divide anche davanti a tali evidenze. Mantenendo viva un’espressione che suona a conferma di un profondo deficit di umanità: “Il nemico del mio nemico è mio amico”. Le nostre piazze che strepitano solo contro gli Usa e Israele, nei fatti sono alleate della Russia di Putin, della Palestina di Hamas, dell’Iran degli Ayatollah. Cattive amicizie imperano.  


8 marzo 2024
Editoriale

@Luca Kleve Ruud

C’è un’espressione che va per la maggiore anche oggi con due guerre in corso. Forse, proprio per quello. La conosciamo tutti ritenendola, sbagliando, solo un proverbio: “Il nemico del mio nemico è mio amico”. Diversi l’attribuiscono al generale e filosofo Sun Tsu, autore del celebre “L’arte della guerra”.
Il punto che ci interessa non è risalirne alla paternità (o maternità, così siamo tutti tranquilli e sereni) ma prenderne atto della sua drammatica attualità, segno manifesto di un profondo malessere umano.

Nemico secondo ragione amico secondo ideologia

La guerra d’aggressione di Putin all’Ucraina, a distanza di due anni dall’invasione dell’Armata russa, vive in Occidente un pericoloso ribaltamento della realtà. Per cui il nemico del mio nemico, ovvero la Russia rispetto alla Stati Uniti diventa mio amico perché gli Usa mi stanno sulle scatole, più di tutto.
E così, a farne le spese, è l’Ucraina, oggettivamente la vittima. Che l’impero americano abbia le sue responsabilità sul palcoscenico globale è difficile da contestare se non si vuole cadere nell’analoga miopia. Ma di qui a ritenerlo il Paese colpevole di tutte le peggiori nefandezze è francamente troppo. Eppure va così. E la Russia di Putin, a suo modo, è funzionale a mantenere ben spolverata l’ideologia dell’ostilità sempre e comunque verso il mondo a stelle e strisce. Lo vedi benissimo anche rispetto alla realtà dell’Iran.
Ci sarebbero tutti i motivi per manifestare ogni giorno in solidarietà con il popolo iraniano oppresso da un regime dispotico che ha nel mirino soprattutto le donne e ha impiccato, nell’accondiscendenza di tutti, decine di giovani che chiedono libertà. Ma siccome quel Paese da anni ingaggia una lotta continua contro Washington ecco che, da nemico secondo ragione diventa amico secondo ideologia.
Lo stesso vale per la guerra in Terra Santa. I terroristi di Hamas, quelli dello scempio del 7 ottobre e degli ostaggi innocenti, diventano nei fatti amici proprio perché tengono alto il vessillo antisionista e antiamericano. Già, il nemico del mio nemico… eccetera eccetera. E così le povere ragazze iraniane, la povera popolazione civile in Ucraina, i poveri oppositori russi stritolati dalla ferocia del Cremlino, le povere popolazioni d’Israele e della Palestina non avvertono forme dirompenti di solidarietà, per usare un eufemismo: piazze vuote.
Al nichilismo del ventunesimo secolo preme solo l’utilità di quelle vittime. Sangue che deve continuare a scorrere. L’Occidente che scende per le strade non piange e non chiede giustizia per quei corpi innocenti. Per le popolazioni umiliate e offese. No, manifesta con slogan e gesti inequivocabili contro Rocco e suoi fratelli. E cioè: Stati Uniti e alleati. A Mosca, a Teheran, in Qatar dove stanno belli comodi i capi di Hamas – i vertici del terrore fondamentalista islamico – si plaude. Si ghigna per l’essere riusciti ancora una volta a dividere l’Occidente.

fiori per Navalny

Dal Giordano al Mediterraneo, cioè l’annientamento di Israele

Contestare l’amministrazione Usa e il governo israeliano è legittimo (e si può fare anche dall’interno). Fa orrore, invece, l’urlare per le strade lo slogan “from the river to the sea”, reclamando così per la Palestina il territorio che va dal fiume Giordano al Mediterraneo. In pratica: i cortei in Occidente fanno il tifo per l’annientamento dello stato d’Israele. Uno strano modo di domandare la pace. Quel pacifismo soffre di strabismo. Dice di indignarsi per la povera gente di Gaza come invece reclama, quasi supplicando, papa Francesco.
Ma con quelle parole e quei gesti fa il gioco dei terroristi di Hamas e degli Ayatollah, gli integralisti che praticano i femminicidi di Stato. Uno dei capi di Hamas ha parlato chiaro: i morti a Gaza servono. Ha detto proprio così: “Il sangue delle donne, dei bambini e degli anziani. Siamo noi che abbiamo bisogno di questo sangue perché risvegli dentro di noi lo spirito rivoluzionario, ci spinga ad andare avanti”.
Che si possa pensare di costruire la pace con alleati di questo tipo, con amici tagliagole trovati tatticamente sul campo, è l’esito drammatico di uno sfaldamento strutturale della persona. Questi puntano all’eliminazione di Israele e per raggiungere il proprio scopo accettano, anzi caldeggiano, il disumano sacrificio del popolo palestinese. Allora, com’è possibile stare con loro? E com’è possibile stare con chi ha avvelenato gli oppositori politici, con chi ha ammazzato i giornalisti coraggiosi che hanno raccontato le schifezze fatte dall’esercito russo in Cecenia, con chi ha spedito i dissidenti nei Gulag provocandone la morte? Con chi continua a lapidare donne?
La situazione è questa: Mosca chiama Teheran. Teheran chiama Doha. Doha chiama Mosca. E via così. In spregio a tutto, soprattutto alla pietà. Intanto l’uomo muore nel frastuono di piazze occidentali che gli voltano le spalle. Piazze affollate di donne e uomini, di corpi e anime che, consapevoli o no, stanno anche loro morendo.   

Ciò che è rimasto di una casa di Kfar Aza dopo l’assalto di Hamas del 7 ottobre. I terroristi hanno dato fuoco alle abitazioni con i civili dentro – Reuters