Monsignor Perego: l’Italia non attrae più i migranti

Le parole d’ordine sono diventate invasione, clandestini e criminalità. Però, tra i dati del Rapporto CARITAS Immigrazione 2023 ne emerge uno che sorprende: da dieci anni il nostro Paese ha sempre lo stesso numero di immigrati, di poco superiore ai 5 milioni. Dialogo illuminante e competente con l’Arcivescovo di Ferrara-Comacchio, presidente CEMi (Commissione Episcopale per le Migrazioni) e Fondazione Migrantes. Un uomo di Chiesa assai stimato e sostenuto da papa Francesco.

      


1 dicembre 2023
Deficit di inclusione
Conversazione con monsignor Gian Carlo Perego* a cura di Nicola Varcasia

Il tema dell’immigrazione è in cima alle trasmissioni televisive e all’agenda politica. E forse anche alle nostre domande e paure. Racconti quotidiani sul “problema immigrati” lasciano il passo a eventi dalla tragicità definitiva, come lo è stato quest’anno la strage di Cutro. Ma non si può rinunciare a comprendere fatti così epocali come le migrazioni dei popoli senza uno sguardo umano e una conoscenza più approfondita del fenomeno. Ne abbiamo dialogato con Monsignor Gian Carlo Perego, Arcivescovo di Ferrara-Comacchio e Presidente CEMI (Commissione episcopale per le migrazioni) e Fondazione Migrantes che, proprio di recente, ha pubblicato il Rapporto Immigrazione 2023 assieme alla Caritas Italiana.

Monsignor Perego, le chiediamo un giudizio generale sul quadro che emerge dal Rapporto Immigrazione 2023.

Il 32° Rapporto Immigrazione di Caritas Italiana e Fondazione Migrantes segnala la fatica delle migrazioni nel nostro Paese: una fatica per accogliere gli arrivi a Lampedusa e non solo, per valorizzare le competenze, per tutelare i più deboli e i minori, per avviare processi di inclusione e integrazione nella scuola, sul lavoro, nella vita sociale, politica e culturale.
È una fatica che cresce nonostante la crescita del movimento migratorio internazionale, ormai arrivato a 300 milioni di persone, di cui 110 milioni fatto di persone in fuga da guerre, cambiamenti climatici, miseria e sfruttamento. I dati del Rapporto Caritas-Migrantes 2023 vedono l’Italia da dieci anni avere lo stesso numero di immigrati, di poco superiore ai 5 milioni, con quasi il 60% degli immigrati concentrati in quattro regioni: Lombardia, Veneto, Emilia e Piemonte.
È un dato che fa riflettere, perché sono le regioni più ricche che hanno più immigrati, come anche in Europa, dove il 76% dei 36 milioni di immigrati sono presenti in cinque nazioni (Germania, Regno Unito, Spagna, Italia, Francia). È vero che in questi 6 anni 1 milione di cittadini migranti in Italia hanno chiesto e ottenuto la cittadinanza italiana e vanno aggiunti tra coloro che sono arrivati nel nostro Paese, ma è vero anche che l’Italia degli immigrati cresce poco rispetto ai due decenni precedenti e che quasi il 30% dei nuovi cittadini italiani hanno lasciato subito l’Italia per andare in un altro Paese europeo.
L’Italia ha perso la capacità di attrarre i migranti, mentre sempre più italiani, giovani e adulti emigrano all’estero: un segnale che nei prossimi anni graverà sul nostro debito economico e demografico pesantemente.

La nave Cassiopea e trasferimenti a Lampedusa

Quali sono i dati principali da osservare per comprendere meglio un fenomeno come quello dell’immigrazione senza cadere nella polarità tra il “va tutto benissimo” e la retorica della “invasione”?

Segnalare la fatica dell’immigrazione in Italia indica la necessità di rivedere i percorsi di ingresso, rimasti tali – cioè attraverso i decreti flussi – da 20 anni, anche se i migranti sono passati da 1 milione a 5 milioni, con un tasso di irregolarità al 10%, cioè 500 mila persone. Significa fermarsi sul dato della difficoltà ai ricongiungimenti familiari. Invita a guardare alla scuola, necessariamente sempre più interculturale, che non ha mediatori; come anche a una organizzazione dell’insegnamento della lingua italiana agli adulti (i CPA) debole, con pochi insegnanti per migliaia di alunni.
Anche  la fatica per gli immigrati è a trovare casa, con bandi sempre più che premiano la residenza ed escludono sia loro che le giovani coppie che cambiano regione. Purtroppo, dedichiamo troppe pagine di giornali sui fatti che riguardano i migranti irregolari e criminali (30 mila in carcere) e poche ai 2 milioni e mezzo di lavoratori, ai 500 mila imprenditori, alle 2 milioni di famiglie, al milione di alunni nelle scuole e nelle università provenienti da 190 Paesi del mondo: una ricchezza economica, sociale, culturale e religiosa straordinaria. In ordine poi ai richiedenti asilo e rifugiati, cioè a coloro che attraversano la via balcanica o il Mediterraneo per arrivare in Europa, non si sottolinea mai che l’Italia è un Paese di passaggio – purtroppo, dico io – perché  le persone vanno in altri Paesi europei, Germania e Inghilterra e Francia in particolare. L’Italia è al 17 posto per accoglienza di richiedenti asilo e rifugiati.

Rispetto a quanto si sta facendo in Italia, quali sono le soluzioni praticabili per migliorare il nostro sistema di accoglienza?

Se parliamo dei migranti economici, sarebbe importante superare l’impasse dei decreti flussi, attivando lo sponsor, cioè l’incontro tra la domanda e l’offerta di lavoro, oltre che, con una sanatoria o decreto di emersione, far uscire dall’irregolarità 500.000 lavoratori immigrati.
Questa situazione, che si trascina da vent’anni, con varie sanatorie dei diversi governi di destra e di sinistra, ha generato insicurezza sociale, oltre che illegalità, l’impossibilità di ricongiungimenti familiari, la perdita di enormi risorse per lo Stato, non essendo state pagate le tasse e versati i contributi previdenziali e sanitari. Più in generale, modificare la legge Bossi-Fini, incentrata sulla sicurezza per una legge che, alla sicurezza, aggiunga capitoli importanti, anche di spesa, per i processi di promozione e di integrazione e favorisca la cittadinanza.
Per quanto riguarda i richiedenti asilo e i rifugiati, promuovere una grande azione europea, tra Stati e società civile, per il soccorso in mare Mediterraneo e per l’accompagnamento e la tutela di chi viaggia via terra, arrivare a un sistema unico di accoglienza, diffuso sul territorio nazionale, in tutti i comuni, in collaborazione con il mondo del Terzo Settore e dell’Associazionismo.
Sarebbe importante anche arrivare alla chiusura dei CPT, veri e propri carceri senza tutele, per il rimpatrio diretto, per chi è in carcere, nel proprio Paese: gli accordi che il Ministero della Giustizia sta stilando con vari Paesi sono utili per questo.

In tema di integrazione, le esperienze e i modelli di alcune grandi città europee tendono a disorientarci e a spaventare (banlieu, quartieri ghetto): ci può essere una via più italiana all’integrazione?

La presenza degli immigrati nel nostro Paese è molto diffusa nelle piccole città e può essere meglio controllato. Nelle poche grandi città (Milano, Torino, Bologna, Roma, Napoli, Palermo), abbiamo da una parte la crescita di nuove periferie residenziali e gli immigrati che occupano i centri storici (Palermo) oppure la presenza degli immigrati nei paesi satelliti.
Credo che oggi sia molto importante che il piano urbanistico abbia grandi attenzioni a realizzare anzitutto i beni comuni (scuole, sedi di quartiere, luoghi di culto, biblioteche, palestre, giardini, servizi), con figure e custodi del quartiere (vigili di quartiere, educatori, associazioni sportive) prima che le persone abitino le periferie, evitando grattacieli e concentrazioni etniche.
Sarebbe anche importante un nuovo piano casa popolare – sul modello di quello dell’ex ministro Fanfani – che favorisca l’accesso all’abitazione con costi calmierati, così da permettere i ricongiungimenti familiari oppure per gli immigrati che abitano in campagna e lavorano in campagna un nuovo piano casa agricola, come avvenne negli anni ’60.

Anche in casa nostra non mancano i problemi: per aumentare la sicurezza urbana (vedi i casi molto mediatizzati degli scippi in metropolitana), il nuovo pacchetto sicurezza del Consiglio dei Ministri mira ad aumentare le possibilità di detenzione per le donne incinte. Non stiamo perdendo di vista l’umanità?

Capisco che la sicurezza è importante per ogni persona e si deve curare con attenzione, ma nel rispetto della dignità delle persone che delinquono e della loro condizione. La detenzione di donne in gravidanza piuttosto che la cura della loro situazione rafforzando le visite domiciliari, assicurandosi condizioni idonee di vita (penso alle donne rom che vivono nei campi o in case disastrate) non è certamente la risposta.
I pacchetti sicurezza del decreto Cutro non risolvono alcun problema, solo aggravano la percezione sbagliata del mondo migrante in Italia.

Questo sarà ricordato come l’anno della strage di Cutro, assieme a tanti altri episodi drammatici: il Papa ha condannato con fermezza i trafficanti, ma anche invocato: «I viaggi della speranza non si trasformino mai più in viaggi della morte! Le limpide acque del Mediterraneo non siano più insanguinate da tali drammatici incidenti!» (Angelus 5 marzo 2023): è realmente possibile un dialogo con i principali Paesi di provenienza?

Fermo restando il diritto delle persone di migrare, è possibile certamente creare le condizioni per una vita migliore nel loro Paese investendo risorse nella cooperazione allo sviluppo, nella pace – a fronte di 30 guerre in atto – in programmi sanitari ed educativi, evitando lo sfruttamento delle risorse dei paesi poveri.
Lo ha ricordato papa Francesco al messaggio indirizzato quest’anno al Festival delle migrazioni di Modena e nel messaggio per la Giornata mondiale del migrante e del rifugiato (Il diritto di migrare e restare).
L’Europa dal 2007 ha creato un piano Africa, rinnovato a Cotonou nel 2022 di 150 miliardi di euro e l’impegno per 450 milioni di vaccini, la collaborazione per la sicurezza e la pace. Questo piano va implementato e non indebolito con piccoli meschini piani di 4 milioni di euro – come il piano Mattei – solo strumentali e utili agli interessi economici del nostro Paese.
La Cei dal 2017 al 2022 ha creato l’iniziativa Liberi di partire e liberi di restare’ impegnando 30 milioni dell’8 per mille alla Chiesa Cattolica per realizzare 80 progetti di assistenza a chi si mette in viaggio da condizioni impossibili di vita e per favorire progetti di sviluppo nei paesi di partenza dei migranti.

*S.E. Mons. Gian Carlo Perego
Arcivescovo di Ferrara-Comacchio
Presidente CEMi e Fondazione Migrantes