E così di nuovo all’inizio

Inizio, già. Inizio di un nuovo anno scolastico ma anche inizio di un nuovo ciclo dalla prima alla quinta; eppure anche inizio di un nuovo percorso, nuovo perché mai uguale. Succede ogni volta così: Cambio io, cambiano loro, anche se gli argomenti sono gli stessi le lezioni non lo sono mai. “Ancora una volta d’accapo”. Un professore rammenta una poesia incontrata da giovane delle superiori grazie al prete dell’oratorio. Un ricordo che accende pensieri. E che lo provoca a come vivere l’avventura del nuovo inizio… Con una prima che lo provoca alla sfida in campo aperto. Va bene così…


13 ottobre 2023
Punto e d’accapo
di Paolo Covassi

©Diego Loffredo, 2022

Quando ero giovane, uno studente delle superiori, il prete dell’oratorio ci fece leggere una poesia. Io facevo un istituto tecnico, non ero particolarmente “sensibile” alla letteratura, ma mi ricordo che tornato a casa scrissi quella poesia su un post-it e, per parecchio tempo, la tenni appesa davanti alla scrivania che usavo (poco) per studiare. Non mi ricordo chi fosse l’autore (anzi, se qualcuno la riconoscesse mi piacerebbe saperlo) e neanche il titolo; sono passati molti anni e non sono neanche sicuro di ricordarla correttamente, ma più o meno diceva così:
E così di nuovo all’inizio
il cammino sembrava sicuro
la meta vicina
e invece
ancora una volta
d’accapo
Attingendo
da otri più ricche
l’origine amata
Non so cosa mi colpì, sicuramente non la capii del tutto, però per qualche motivo pensai che valesse la pena tenerla davanti agli occhi.
Ovviamente non ho idea di che fine abbia fatto quel post-it, non sono neanche sicuro che il testo fosse così come l’ho scritto… inutile che andiate su google, ci ho già provato anch’io. Niente.
Questo testo, che evidentemente aveva qualcosa di importante da dire a un ragazzetto di quindici/sedici anni, mi è tornato in mente questo settembre, all’inizio del nuovo anno scolastico. Anzi, mi è tornato in mente al termine del primo giorno di lezione. Per il terzo anno consecutivo ho “preso” una prima: due anni fa mi era andata piuttosto male, classe difficile… l’anno scorso mi è andata bene, quest’anno un disastro. Intenibili il primo giorno di scuola, quando di solito anche i più scapestrati vivono un minimo di timore e di spaesamento. Annate così, senza un vero motivo… tornando a casa sotto un sole estivo, più adeguato alla fine della scuola che all’inizio, ecco che compare alla memoria il primo verso: “E così di nuovo all’inizio…” inizio di un nuovo anno, certo, ma anche inizio di un nuovo ciclo (generalmente li porto fino in quinta), inizio di un nuovo percorso che, contrariamente a quanti credono tutti, non è mai uguale. Cambio io, cambiano loro, anche se gli argomenti sono gli stessi le lezioni non lo sono mai. “Ancora una volta d’accapo”.

©Diego Loffredo, 2022

In dialogo con il mio “alter ego docente”

Cammino e per un po’ sento prevalere il peso, la stanchezza, la sensazione di non farcela ha il sopravvento: cedere al lamento (attività in cui i prof, ahimè, eccellono) è un attimo ed è come sperare di salvarsi dalle onde aggrappandosi a un salvagente di ghisa. Meglio smettere. Constatato quanto sia sterile il lamento si passa al contrattacco: strategie e tattiche dell’insegnante tipo per resistere a un anno di scuola con “quelli lì”. Il dialogo che avviene con il mio “alter ego docente” è più o meno di questo tipo:
“Da domani, bisogna far capire chi comanda”
“Giusto! Bravo! Pugno di ferro…”
“Sì sì, pugno di ferro. Sguardo duro, comportamento altero, espressione severa… inflessibile”
“Inflessibile e glaciale. Feroce!”
“Beh, feroce, non esageriamo”
“Sì! Feroce! Devono temerti! Devi essere il Severus Piton dell’istituto!
“Io? Severo? Ma dai… severi si nasce e io, modestamente, non lo nacqui”
“Eh vabbé, allora arrangiati”
Sì, meglio. Al di là di quello che pensa chi vende corsi di formazione, le strategie e le tattiche non sono quasi mai risolutive… sì, magari c’è quel meccanismo che ti aiuta, che ti fa sfangare l’ora, ma se quando ti presenti in classe non sei “tu”, se menti, se provi a ingannarli mostrando una faccia che non è la tua i ragazzi se ne accorgono. E non perdonano. Specie questi. Ancora una volta d’accapo… e quindi? Quindi ora ci penso.
E ci ho pensato, pure troppo. È già il giorno dopo ieri e mi aspettano due ore nella fossa dei leoni… mentre mi guardo allo specchio per essere sicuro di non suscitare indignazione negli studenti per il mio outfit (bisogna pensare davvero a tutto!) mi vengono alla mente altri versi:
[…] e io sol uno m’apparecchiava a sostener la guerra
sì del cammino e sì de la pietate,
che ritrarrà la mente che non erra.
(Inferno, canto II, vv. 3-6)

©Diego Loffredo, 2022

Passare l’anno, stare bene in classe, diventare amici

Non sono un granché come docente, non ho ancora idea di cosa fare in classe fra mezz’ora (tutta la pseudo-programmazione si è sbriciolata di fronte all’evidenza del materiale umano disponibile) ma quanto meno ho il senso del drammatico! Sorrido di me stesso e mi viene un flash, infilo nello zaino un block notes residuo di uno dei miei precedenti lavori e vado. Ho deciso che tenterò di fare come un ben più famoso e bravo docente che scrive sul Corriere tutti i lunedì. Di solito non ci provo a proporre nelle mie classi quello che fa lui: è giovane, bello, autorevole, carismatico… e non ultimo lavora in uno dei licei più esclusivi di Milano (sempre a proposito di materiale umano…) ma stavolta ci provo.
Entro in classe, faccio l’appello cercando di memorizzare almeno due o tre nomi, quindi non provo più di tanto a ottenere il silenzio ma li sfido: siamo qui insieme, non ci siamo scelti… non abbiamo neanche scelto noi stessi, figuriamoci i nostri compagni di classe. Però abbiamo un viaggio che ci aspetta, un percorso da fare insieme: cosa augurate per voi stessi in questo anno? Cosa ai vostri compagni?
E distribuisco i fogli staccandoli dal blocco… fogli Mercedes, come notano subito. Mentre penso “speriamo in bene…” li guardo, sui loro banchi a rotelle (sì, ancora loro, i maledetti). Qualcuno sbircia, qualcuno chiede per la quinta volta cosa deve fare, uno si rifiuta, gli altri bene o male ci stanno, ci provano.
Capisco che hanno scritto qualcosa di loro stessi quando annuncio che li avrei letti pubblicamente: sguardi preoccupati, tentativi di far sparire i fogli. Tranquilli, tutto anonimo… e poi la curiosità di sapere cosa hanno scritto gli altri ha il sopravvento. Mentre leggo c’è brusio, a ogni frase volano commenti più o meno ripetibili, solo uno scrive delle stupidate, gli altri hanno risposto seriamente e man mano scrivo alla lavagna accorpando le risposte simili.
Alla fine i punti sono pochi, sempre gli stessi, sia per sé che per gli altri: passare l’anno, stare bene in classe, diventare amici.
“Vedete? – incalzo superando il perenne rumore di fondo – intanto nessuno di voi ha augurato cose negative agli altri, anzi, e poi in fondo desideriamo tutti le stesse cose. Partiamo da questo vostro desiderio di bene che ci accomuna.
E’ vero, non ci conosciamo, ma in fondo non siamo estranei”. Man mano che parlo l’attenzione aumenta; sto parlando di loro, non a loro. Intervengono, a volte in maniera disordinata, ridiamo, poi cala il silenzio perché c’è quello che parla sottovoce, così fino al suono della campanella.
Due ore sono volate. Sarà un anno faticoso, senza dubbio, ma mentre escono tra gli arrivederci sento un “le voglio bene prof!”. Non so neanche chi sia stato. Mentre li guardo andare via felici che un altro giorno di scuola sia finito penso che magari sono proprio loro le mie “otri più ricche” e che questa è stata la mia origine: qualcuno che ha parlato a me e mi ha voluto bene.