Oppenheimer, il film, l’Atomica: vittoria Usa o sconfitta dell’umanità?

Quel che dice, sottende e oscura il grande film di Christopher Nolan. Una sola prospettiva, un’unica chiave di lettura: affascinante, ma non esaustiva. Non c’è spazio per le vittime. Marginali, quasi che quei morti, quei moltissimi morti, siano stati un danno collaterale. Un sacrificio necessario alla buona causa. Una distrazione preoccupante. Forse è questo oscuramento il maggiore fallimento della pellicola come denunciato da una parte dei giornali statunitensi. Allora, oltre alla visione del lavoro di Nolan, conviene leggere il libro/testimonianza di Takashi Paolo Nagai intitolato “Ciò che non muore mai”. Per entrare in rapporto con un pensiero di vita. Con la speranza che non finisce incenerita dalla Bomba.


29 settembre 2023
Non solo Prometeo
di Alessandro Banfi

L’interpretazione fondamentale è quella del “Prometeo americano”.  
Non è che la bomba atomica, con i suoi dilemmi e le sue tragedie, non ci sia. Ma l’asse portante del grande film di Christopher Nolan, mega produzione di Hollywood, sulla biografia del direttore del Progetto Manhattan prende spunto da una particolare biografia americana di J. Robert Oppenheimer, quella di Kai Bird e Martin J. Sherwin. Una biografia che nel titolo appunto usa l’immagine del semidio dell’antichità. Il Prometeo punito perché aveva portato il fuoco agli uomini.
Nel mito antico l’ardimento prometeico fece fare un grande salto di civiltà agli uomini del suo tempo. Possiamo dire lo stesso della bomba atomica? Ecco insinuarsi il primo dubbio più che sul film, sull’operazione culturale che sottende, ecco l’ombra di uno spostamento di senso.
Il tema proposto come centrale della pellicola è infatti questo: fu il fisico J. Robert Oppenheimer un patriota?

Chistopher Nolan, shooting di Oppenheimer

La Bomba sui civili: giusto così?

Il fuoco della bomba atomica è un fuoco malvagio che distrugge per generazioni. È discutibile che rappresenti un progresso. Ma l’accostamento con Prometeo implica la positività assoluta della scoperta: quasi un tassello necessario dell’evoluzione. In questa chiave colpiscono le polemiche sorte, nel silenzio dei mass media italiani, in Giappone dove il film non è ancora arrivato nelle sale (ma arriverà) e dove già si sottolinea come le vittime vere della bomba, gli uomini e le donne di Hiroshima e Nagasaki siano ignorate. Al massimo stilizzate in qualche flash di ricordi e di rimorsi che appaiono nella mente del fisico.
Non a caso Emily Zemler su Los Angeles Times ha scritto che il film «non mostra mai il bombardamento di Hiroshima o Nagasaki, per esempio, o le conseguenze su entrambe le città. Il numero delle vittime viene menzionato una volta di sfuggita. Inoltre, a parte una frase usa e getta, non vi è alcun riferimento all’effetto che i test atomici hanno avuto sui nativi americani del Nuovo Messico, noti come “downwinders”, coloro che subirono il vento atomico. Sebbene i critici riconoscano la fedeltà di Nolan alla prospettiva di Oppenheimer, sottolineano la contrastante mancanza di rappresentazione della perdita di vite umane giapponesi come uno dei fallimenti più significativi del film».
Critica molto severa ma certo fondata. La questione, come sempre, è capire che conseguenze culturali può portare un’operazione artistica di questa portata. Molti americani, nota ancora l’articolo del Los Angeles Times, hanno un’idea vaga della bomba atomica. Qui “la vedono” e si tratta di un’occasione unica per formarsi un’idea e un giudizio. L’impressione è infatti che in qualche modo la scelta della atomica sia legittimata, accettata, un male inevitabile… Anche se poi nel film ci sono passaggi inquietanti, che possono far riflettere chi vuole farlo.
C’è nella pellicola il racconto della riunione con i militari in cui vengono stabiliti gli obiettivi giapponesi: le città su cui sganciare la bomba.

Un fotografo catturò due fotografie identiche di Hiroshima, una prima e una dopo la bomba atomica, mostrando al mondo l’effetto devastante di un conflitto nucleare.

E un generale americano dice una frase del tipo: “Non su Kyoto che ci sono andato con mia moglie in viaggio di nozze…”. In un attimo appare la ferocia della casualità della guerra: qui sì, qui no. La bomba provocò 100mila vittime civili uccise sul colpo, tra cui 8.500 bambini appena arrivati a scuola…  Non si discute quasi nel film della decisione di colpire i civili e in quelle dimensioni. Perché non un obiettivo militare? Se ne sarà mai parlato prima di quel 6 agosto 1945?
Una parte considerevole della vicenda cinematografica è centrata sui tormentati processi che il fisico J. Robert Oppenheimer dovette subire negli anni del maccartismo. Qui il racconto fatalmente diventa “soggettivo” e lo spettatore finisce per immedesimarsi nella leale difesa del proprio operato da parte del fisico che fu direttore del Progetto Manhattan.
Il trauma della bomba atomica e il senso di colpa vengono sopraffatti dalle ingiuste accuse poco liberali di un’inchiesta amministrativa che appare come una persecuzione politica, a pochi anni di distanza da quel “successo” scientifico e militare che fu l’impresa di Los Alamos.

Cillian Murphy-Oppenheimer

E poi c’è un libro che …

Una domanda che per noi resta è: gettare la bomba atomica fu una vittoria americana o l’inizio di una sconfitta per l’umanità? Per chi volesse ricordare davvero, a completamento del film, ci sono il Museo Memoriale della Pace di Hiroshima (qui) e il Museo della Bomba Atomica di Nagasaki (qui).  
E poi c’è il libro Ciò che non muore mai, l’appassionante racconto autobiografico che propone Takashi Paolo Nagai: vita di un uomo che è stato vittima della bomba atomica di Nagasaki, costata la vita a sua moglie.
Non sembri assurdo accostare al grande film hollywoodiano l’esperienza di questo uomo, perché proprio delle persone in carne ed ossa sentiamo l’assenza. L’astrazione permette qualsiasi operazione ideologica, per raffinata che sia, ma la realtà del singolo ci inchioda alla sincerità degli eventi. La storia siamo noi, diceva una vecchia canzone di Francesco De Gregori, pensando alla coscienza collettiva di un popolo mobilitato da una giusta causa.
Ma la storia invece è degli ultimi, delle vittime, degli oppressi, dei perdenti. Dunque, andare al cinema sì per vedere Oppenheimer: ma please, mettete in tasca il libro di Takashi Paolo Nagai. 

Oppenheimer learning from Einstein