Milan Kundera: un uomo non buono per tutte le stagioni

La morte di un grande scrittore trattata secondo i meccanismi arrugginiti dell’industria culturale. Questo autore ha significato molto nella cultura della seconda parte del Novecento. Ha vissuto dall’interno l’infatuazione e la tragedia dell’ideologia oltrecortina. Quindi l’esilio a Parigi. E una vita allertata dal desiderio di dire cose autentiche nella forma del romanzo. Un’arte assecondata senza inutili e pericolosi strattonamenti. Con spirito leggero. Come la libertà.


21 Luglio 2023
Editoriale

Milan Kundera

Muore uno scrittore di fama e gli si fanno le pulci.

Funziona così l’insostenibile pesantezza di una componente non marginale della critica nostrana. Così non si rende un buon servizio all’arte della critica letteraria e, ovvio, non lo si rende alla verità dello autore. Con Milan Kundera, nato a Brno (dunque moravo), morto a 94 anni a Parigi dove era riparato dalla Cecoslovacchia nel 1975, è andata pressappoco a quel modo lì.
Più che dei suoi libri, del loro valore letterario (inteso come luminosa e originale capacità nel far fluire il racconto pienamente realizzata nell’accensione creativa di storie, personaggi, vite che mai sfuggono la missione di dire cose) ci si è persi in altro.
In questi giorni abbiamo letto di tutto anziché quello che meritava si leggesse. Kundera, per lo più, è stato ridotto a vicenda di costume. Ai suoi libri acquistati invece che letti; al suo essere scrittore sconosciuto, ribalzato dalle case editrici, fino all’inaspettato successo di un titolo: “L’insostenibile leggerezza dell’essere”.

Andre Kertesz – Foto esposta nella Mostra al CMC nel 2019 – Ministeere de la Culture Meediatheeque de l’architecture et du patrimoine Dist Rmn-GP © Donation Andre Kertesz

Uno scherzo ma non è uno scherzo

Ai tempi di “Quelli della notte” programma del geniale Renzo Arbore andato in onda nel 1985 sulla seconda rete Rai per 32 puntate, il bislacco ma non banale Roberto D’Agostino, citava il titolo di quel libro alla stregua di tormentone per mettere insieme ragionamenti lunari da cazzeggio alto e basso. Il successo dell’opera nelle italiche librerie è venuto da lì. Vero così? Ci permettiamo di dire che è questione poco interessante. Distrae dal punto. Dall’essenziale. Non favorisce l’incontro con uno scrittore che nei suoi libri ha saputo abbinare a una profondità di pensiero (e non sono aforismi buttati giù per compiacere, facili e futili) una sorprendente levità narrativa.
Già nel suo primo romanzo “Lo scherzo”, uscito nel 1967, c’è il Kundera autentico, cesellatore raffinato della parola che non si perde in vuoto estetismo, preoccupato di assicurare il fluire del racconto e dell’imprescindibile scopo di tenere desta l’attenzione del lettore su persone e fatti a cui tiene molto.
L’autore, con humor e, appunto, leggerezza che significa respiro, fa emergere il malessere dell’umano quando resta impigliato nella burocrazia violenta espressione evidente e triviale di un regime comunista vieppiù sgangherato.
L’anno dopo sarà il tempo della Primavera di Praga. E non sarà uno scherzo, quello; piuttosto l’inizio della lunga agonia di quel regime malato di sovietismo. Per la simpatia di Kundera verso la Primavera verrà espulso dal Partito. “L’insostenibile leggerezza dell’essere” va sui quei giorni, su quel tempo, sulla sua insostenibilità.
Kundera era stato comunista, stalinista convinto. Il peggio, insomma. In quella fase ebbe a scrivere cose brutte, con elogi goffamente poetici al dittatore moscovita. Artisticamente malsane. D’altronde la storia è nota: lo scrittore asservito ai regimi ne esce sempre con le ossa rotte. Magari famoso a corte, certamente insoddisfatto se non si scorda del tutto di essere un uomo. Con “Lo scherzo” avviene un suo esplicito recupero di sensatezza. Kundera scrive un romanzo incauto, lieve eppure inaccessibile alla miopia del regime cecoslovacco.

Andre Kertesz – Foto esposta nella Mostra al CMC nel 2019 – Ministeere de la Culture Meediatheeque de l’architecture et du patrimoine Dist Rmn-GP © Donation Andre Kertesz

L’esilio parigino

Nel 1975 l’esilio. A Parigi prosegue a scrivere senza ergersi a paladino di alcunché. Per ritrovarne i pensieri ci sono altri suoi romanzi che continuano a uscire. Ne ha per il comunismo, per il capitalismo, non sopporta molto di quel che vede e sente. In “Immortalità” – concluso nel 1988 e uscito in Francia due anni dopo, scrive quasi interrogandosi: «Come vivere bene in un mondo con il quale non si è d’accordo». L’eventuale risposta, come è dei grandi romanzieri, non può essere ridotta a disegno programmatico. A un a priori. Alla teoria che è sempre grigia. L’eventuale risposta il lettore è costretto a intercettarla nelle pagine del romanzo, nello scorrere dei fatti, nei dialoghi, negli amori, nella leggerezza che fa alzare in volo i pensieri che restano.
Kundera ha condotto una vita appartata. Non ha certo contribuito al dibattito pubblico partecipando ai riti imposti dall’industria culturale. Interviste sempre più rade, infine a scegliere il definitivo silenzio.
In quel silenzio fecondo ha scelto la vita con l’amata moglie, ha fatto i conti con il dolore per il distacco forzato dalla sua terra, ha cercato di dire il possibile in favore del mettersi faticosamente dalla parte dell’umano proprio perché l’umano non è solo una parte.
Prova ne è il suo ultimo scritto pubblicato in Italia sul finire del 2022. Titolo irresistibile: “Un occidente prigioniero” (pubblicato per Adelphi, come tutti i suo i libri che possiamo trovare). Concetti acuti, verità urticanti, richiami al senso di responsabilità. Un pamphlet contro la rinuncia; un pamphlet teso ad affermare la necessità di costruire un’Europa plurale, forte, sincera, che guarda con realistica speranza più in là.
In “.CON”, quando il testo è uscito, ne ha scritto Alessandro Banfi. Adesso vale la pena rileggere o leggere quel suo articolo. Come conviene rileggere o leggere per la prima volta i libri di Milan Kundera. Un uomo e uno scrittore non proprio buono per tutte le stagioni. Un viaggiatore della vita con il desiderio di raccontare. Sapendolo fare con grazia.