La scuola sono quei nomi e quei cognomi

Pensieri di un professore a scuola quando l’anno scolastico è appena terminato. Tutto è pulito, le aule vuote, il silenzio. Il deserto. Un qualcosa di diverso, di “sbagliato” dalla scuola che è vita. Normalità delle lezioni, degli intervalli. I suoi “quintini” lasceranno quell’aula, quei corridoi. E lui, il prof “vi guarderò le spalle. Buoni esami, buone vacanze, buon inizio”.


7 Luglio 2023
Altro che nostalgia
di Paolo Covassi

Martedì 20 giugno. I miei passi rimbombano nell’enorme atrio della scuola. Lucido. Mai visto così lucido. Mi viene da camminare in punta di piedi, come se stessi attraversando le navate deserte di una cattedrale. Sarà il caldo, ma sembra perfino di sentire le voci dei monaci che cantano l’ora media. La lucentezza del pavimento sembra amplificare il silenzio, così totale, denso, sbagliato. In questa afosa solitudine il corridoio è ancora più lungo(?), d’altronde perché venire a scuola in un giorno del genere? Beh, io devo perché ovviamente mi sono dimenticato un certo numero di firme, moduli e altre questioni burocratiche…

Che silenzio eh professò?

I gradini che portano all’auditorium, la colonna tra le finestre, il calorifero prima delle scale… guardo ognuno di questi angoli e mi sembra di vedere i ragazzi che normalmente, all’ingresso o all’intervallo, stazionano a chiacchierare con i loro amici o a ripassare che alla prima ora quella d’inglese interroga. A distogliermi dai miei pensieri nostalgici ci pensa la Rosy: “che silenzio eh professò? Che pace! Pensa se fosse sempre così come ci stiamo bene!”
“Desertum fecerunt et pacem appellaverunt” (fecero un deserto e lo chiamarono pace)
“Proprio come dite professò, ‘na pace che si sta d’incanto”
Sorrido, annuisco, saluto con la mano. Non mi sembra il caso di stare a discutere con la Rosy… colpa mia che ho tirato fuori una delle poche frasi latine che conosco. Certo, dal suo punto di vista non ha mica tutti i torti: pavimenti puliti, vetri immacolati, porte chiuse, sedie e banchi in ordine. Come direbbe Montale, “tutto è O.K. e tutto / è per il meglio e inutile”. Chissà se è il caldo o il silenzio a smuovermi in pensieri così profondi. Salgo al piano di sopra e vado a sbrigare le mie incombenze in segreteria. Il passaggio dal clima amazzonico del corridoio alla segreteria con aria condizionata antartica mi crepa anche i bulbi oculari, firmo veloce che cominciano a intorpidirsi le falangi e torno a nuotare nel 98% di umidità del corridoio. Un saluto veloce in vicepresidenza che stanno organizzando la maturità (pardon, esame di stato) e vado verso le scale.
Guardo oltre le porte gialle antifuoco e vedo i banchi pronti per la prima prova… penso ai miei alunni di quinta e alle facce che faranno di fronte alle tracce del tema, oltre al fatto che per la prima volta dopo cinque anni non sarò io a correggere i loro “elaborati”. Mi riparte quel filo di nostalgia che è indissolubilmente legato a ogni fine di anno, specie se c’è una quinta di mezzo. Non scendo, passo tra i banchi: immagino Fabio, Daniele, Mohammed e Hilana, Marika e Riccardo, Alex e Federico…
La scuola sono nomi e cognomi: quei nomi e quei cognomi! Mi viene in mente la canzone di un amico: “Penso a tutti gli amici che ho incontrato, a quelli che non ho saputo amare”. Anche con gli studenti è così. Non sempre però si riesce ad abbattere quella parete che separa “noi” da “loro”; si chiama libertà.
Qualcuno, addirittura, proclama che ci deve essere questo distacco, questa distanza, perché noi siamo professori e loro studenti. Non lo so, forse è vero, hanno ragione a pensarla così… ma io conosco l’effetto che può avere una parola in più spesa in corridoio, un commento diverso dal solito su un tema o un messaggio su whatsapp (regalo della pandemia). Ripenso ai primi anni, a come erano loro e a come ero io, perché grazie a Dio anche i professori cambiano, crescono (e, speriamo, migliorano).
Le faccette smarrite dei primini non ci sono più, hanno lasciato il posto a volti di ragazzi che parlano di università, di lavoro… ripenso anche al tempo trascorso a casa, in dad, cercando di far passare insieme a qualche nozione anche la passione, il valore che ogni singolo ragazzo rappresenta. Come mi arrabbiavo quando qualche alunno mi diceva che “ho fatto i compiti ma solo perché è lei” o “ho portato il libro per lei” come se fosse una cosa eccezionale. “Lo devi fare per te!” rispondevo… invece hanno ragione, le cose migliori sono sempre quelle che si fanno per gli altri. In fondo è un segno di fiducia e di stima, forse perfino di affetto, il fatto di fare qualcosa per qualcuno che te lo chiede.

Non luoghi ©Giovanni Polizzi

Quel silenzio in aula che fa “scuola”

Continuando a vagare per la scuola deserta sono arrivato in una delle mie classi, ricordo ancora quando i ragazzi hanno dipinto il murales sul muro in fondo. Mi era sembrato uno di quei progetti strampalati che ogni tanto si fanno a scuola, invece era stato proprio bello lavorare insieme.
Ora faranno l’esame e i miei “disadattati di quinta”, come li chiamo affettuosamente, non li vedrò più. Si passa da vedersi tutti i giorni, a non poterne più, a non sopportarsi vicendevolmente a sparire, ognuno per la sua strada, come è giusto che sia.
Quanto mi hanno fatto arrabbiare i miei quintini… e ora che ci penso non era per il poco studio, il disordine e il macello in classe, la poca voglia di seguire… no, quello che mi faceva arrabbiare era il loro accontentarsi. Se avessi proposto il sei politico senza interrogazione quattro quinti di loro avrebbe accettato: l’importante era non far fatica.
Si è passati dal massimo risultato con il minimo sforzo (che poi non è così sbagliato, anzi) al minimo sforzo e basta. Eppure… eppure il silenzio che si creava in certi momenti diceva che il loro desiderio era pari al mio e a quello di tutti, solo che non lo sapevano. Quando leggevo certe poesie come San Martino del Carso (è il mio cuore il paese più straziato) o recitavo “sotto l’azzurro fitto del cielo qualche uccello di mare se ne va, ne sosta mai, perché tutte le immagini portano scritto: più in là”.
O quando leggendo “Ho sceso dandoti il braccio … e ora che non ci sei è il vuoto ad ogni gradino” e la voce mi si rompeva, perché pensavo all’amica scomparsa improvvisamente… quello era il silenzio che rendeva queste aule “scuola”. Attimi, momenti statisticamente irrilevanti, con i ragazzi che si danno di gomito per capire se il prof. si è davvero commosso leggendo Madre di Ungaretti… eppure sono proprio quei momenti in cui vedi brillare gli occhi e aprirsi le bocche allo stupore che fanno di questo bistrattato mestiere il lavoro più bello del mondo.

Foto ©José Martin

Buoni esami… buon inizio

Mi avvio verso l’uscita, attraverso di nuovo questo lungo e silenzioso corridoio, che a settembre si riempirà di nuovo di vita e quasi (sottolineo quasi) spero che questa estate passi in fretta. Tornato nel cortile mi arriva un messaggio, tre quintini in una piscinetta gonfiabile e una didascalia: “oggi si studia così”. Che somari! Meno male che se ne vanno… dannazione, non è vero, già mi mancano! Rispondo: oggi pomeriggio gelato e megaripassone totale.
Vi ho accompagnato fin qua, ora vi guarderò le spalle. Buoni esami, buone vacanze, buon inizio.